Diario di un sabato di fine autunno

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Ho  appena  terminato  di  fare  l’albero  di  Natale – quello  grande –  e  di  disporre  in  casa  altri  vari addobbi. Mi  manca  ancora  l’albero  più  piccolo, ma  rimando  quest’incombenza  all’otto  dicembre.

Eh  sì, siamo  arrivati  a  dicembre, al  primo  mese  d’inverno. Il  freddo  è  pungente, ma  l’atmosfera  è  ancora  autunnale: è  l’autunno  che  sta  morendo  adagio  e  che, mentre  si  congeda, dispiega  ancora  i  suoi  tanti  doni. Come  sempre, è  stato  troppo  breve; come  sempre, ci  sembra  di  non  averlo  vissuto  in  pieno, di  aver  perso  qualcosa  mentre  le  giornate  fuggivano  via  una  dietro  l’altra, sempre  più  diafane  e  malate, sempre  più  stanche  e  pensose.

Il  passaggio  al  Natale – perché  dicembre  non  è  altro  che  una  lunga, estenuante  preparazione  al  Natale – è  un  po’  faticoso, almeno  per  me, perché  è  un  trapasso  dalla  calma, elegante  sobrietà  dell’autunno  agli  eccessi  di  un  periodo  festivo  che  sembra  non  dover  terminare  mai. Ho  sempre  pensato  che  sia  opportuno  difendersi  da  tutto  questo  trambusto, ossia  viverlo  nel  miglior  modo  possibile  senza  però  caderne  vittime, senza  lasciarsene  travolgere.

Ma  intanto  cominciamo  ad  abituarci  all’inverno.

Di marzo e settembre

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Mi  accorgo  di  aver  scritto  poco  ma  la  ‘colpa’  è  di  febbraio, che  mi  annoia  e  non  mi  ispira. Però  non  mi  piace  restare  inattiva  e  dunque  mi  rimetto  al  lavoro.

Si  avvicina  marzo, mese  controverso  e  ambiguo  come  tutti  i  momenti  di  passaggio. Per  analogia, il  pensiero  corre  subito  a  settembre, che  ci  conduce  da  una  stagione  forte  e  prepotente  come  l’estate  a  un  periodo  delicato  e  struggente  come  l’autunno; marzo  ci  trasporta  invece  dall’implacabile  durezza  dell’inverno  alla  frenetica  e  instabile  gioia  della  primavera. Eppure, settembre  e  marzo  sono  realtà  differenti, che  hanno  ben  poco  in  comune. In  genere, settembre  è  più  mite  e  più  dolce  rispetto  a  marzo: molti  sono  i  giorni  ancora  pieni  di  sole, nonostante  i  primi  segni  di  declino, e  le  piogge  tendono  a  essere  pacate, quasi  a  volerci  accompagnare  con  misurato  garbo  ed  eleganza  verso  la  nuova  stagione.

Marzo, invece, spesso  non  si  preoccupa  di  esibire  belle  maniere: a  volte  si  trascina  per  giorni  e  giorni  in  un  vortice  di  grigio  e  di  freddo  che  sembra  senza  speranza; altre  volte, invece, decide  di  gettarci  addosso  d’improvviso  l’azzurro  e  il  verde  della  primavera  per  poi  precipitare  nuovamente  in  giorni  di  noia  e  di  piatta  oscurità. Tutto  dipende  dal  suo  mutevole  umore, insomma. Adolescente  vitale  e  un  po’  viziato, marzo  non  ha  la  maturità  di  settembre, ma  ci  affascina  ugualmente  per  la  sua  infantile  irruenza  e  per  quell’instancabile  ricerca  di  identità  che  sembra  spesso  risolversi  in  un  completo  fallimento. Quando  però  ci  regala  distese  di  margherite  e  di  viole  sui  prati, tendiamo  a  perdonargli  alcuni  eccessi. Proprio  come  si  perdonano  a  un  ragazzino  che  si  affaccia  ansioso  all’esistenza  senza  averne  compreso  ancora  l’enigmatica  complessità.

E  a  voi  piace  il  mese  di  marzo? Vi  affascina  o  lo  considerate  insignificante?

L’età diversa

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Talvolta  si  oscilla  fra  due  poli  opposti: il  desiderio  di  una  quiete  priva  d’increspature  e  il  sogno  di  un’estate  piena  di  voci  e  di  eccessi.  Ma  in  fondo, a  ben  guardare, non  ha  importanza,  perché  non  è  questo  il  fatto  decisivo. Ciò  che  davvero  conta, quello  che  fa  la  differenza, è  il  definitivo  tramonto  della  leggerezza  e  dei  sogni  di  un’età  diversa, svanita  nell’incessante  trascorrere  del  tempo.

Austera quiete


Questa è la prima giornata d’autunno davvero grigia e spenta. L’eccessivo calore e l’anomala lunghezza della scorsa stagione hanno seccato le foglie degli alberi, impedendo a ottobre di regalarci quell’atmosfera calda e dorata che lo rende unico. Eppure, l’austera quiete che accompagna il primo freddo conserva tutto il suo fascino: scompare l’irritante, confuso vociare dell’estate e subentrano silenzio, discrezione, raccoglimento. È finalmente tempo di quella calma dignità che l’estate tende a far scomparire.

Ben venga il grigio a ricordarci che, dopo l’ebbrezza del divertimento e degli eccessi, occorre tornare in sé per pensare, osservare, ricordare. Con intensità.

Desiderio di viola


Profondamente spirituale: così mi appare il viola. Un prato viola, un sentiero viola, persino alberi colorati di viola: questo vorrei vedere oggi, primo giorno d’estate grigio e fresco.

Dopo una primavera scialba e avara, che ci ha negato i suoi doni più belli, è ufficialmente arrivata la nuova stagione. Qui, in pianura, ci attendono giorni difficili e a tratti impietosi. Dovremo difenderci dall’aggressione dell’afa e del sole, così come soltanto tre mesi fa ci siamo difesi da una gelida e improvvisa nevicata. Dobbiamo difenderci spesso, forse anche troppo, come soldati sotto assedio stanchi a causa delle tante battaglie combattute.

Un prato viola, un sentiero viola, persino un tramonto tutto viola: questo vorrei vedere ora, nel giorno più lungo dell’anno, quando la notte stenta ad arrivare.