Quello che voglio

Mattina di maggio. La giornata comincia con un’immagine che evoca pace, dolcezza e sogni dipinti di rosa: è il culmine della primavera, tenera ma intensa. Non scompaiono del tutto lacrime e malumori, ma il sentiero è tracciato, le svolte sono luminose e il cammino condurrà presto all’estate.

E si avverte una smania, una frenesia improvvisa, il desiderio di rompere gli argini, d’infrangere schemi, di arrendersi al tempo, di camminare fra le rose – e di parlare di niente, di respirare e basta.

Voglio la primavera delle corse sui prati, delle uscite improvvise, delle chiamate inaspettate, delle passioni ingovernabili. Voglio la primavera degli abiti a fiori, delle serate in compagnia, delle piccole fughe silenziose, dei diari nascosti nei cassetti – e dei pomeriggi piovosi a sfogliare ricordi.

Voglio intrecciare i fiori di maggio e farne tante promesse – tante speranze, per l’estate che verrà.


Frammenti di tranquillità

Alzarmi in una domenica d’aprile, il silenzio in sottofondo e il cielo inquieto, turbato, sgomento; e sentirmi in pace, invasa da una calma indefinibile ma pura, senza tormenti, senza increspature – un mare calmo, una collina fresca di rugiada.

Frammenti di tranquillità assoluta – e non desiderare altro. Mi sento fortunata ogni volta che accade.

E poi arriva

E poi arriva questo desiderio di pace dopo tanto chiasso, dopo le voci scomposte della settimana, tutto quel muoversi convulso, quel decidere istante dopo istante; ed è come se calasse un velo trasparente a smorzare, a diluire toni ed emozioni – e non sentire quasi, e camminare dormendo, neppure alzarsi.

Ma che ne sanno quelli che non hanno mai visto l’abisso?

Ricominciamo la settimana

Oggi è lunedì, l’inizio della settimana. Si pone dunque il problema del ricominciare, dopo la pausa della domenica. E allora facciamolo con allegria, attraverso un’immagine delicata, poetica e dolcissima: la teiera e il rosa che domina l’insieme possono regalarci un po’ di pace e rasserenarci. A volte basta davvero poco per illuminare una giornata.

Gatto in scatola

Ma soltanto io provo un gran senso di pace quando vedo un gatto che mangia o che dorme? Qui c’è il gatto Sirena che, dopo essersi rifocillato con piacere, si mette a dormire dentro a una scatola. Perché i gatti adorano le scatole, per le quali sono disposti a dimenticare anche le cucce più belle e più morbide che ci siano. Ogni tanto, l’ammetto, vorrei poter dormire anch’io dentro a una scatola.

 

Temporale a settembre

E  così  è  arrivato  anche  un  temporale: i  tuoni  e  la  pioggia  scrosciante  hanno  accompagnato  il  tardo  pomeriggio, oscurando  il  cielo. Ma  vi  è  una  strana  atmosfera  intorno, come  un  riflesso  giallastro  che  sembra  infondere  un  tono  particolare  al  grigio  che  permea  ogni  cosa.

Adesso  la  pioggia  appare  incerta. Il  suo  furore  iniziale  si  è  stemperato  in  una  danza  sinuosa  e  lenta, in  un  suono  delicato  e  misterioso. Sono  i  primi  regali  d’autunno: un  profondo  senso  di  pace, il  desiderio  di  ascoltare  se  stessi  all’infinito, il  raccoglimento  dopo  la  dispersione.

E  poi  sedersi, di  sera, mentre  la  pioggia  continua  a  cadere; sedersi  e  guardare  fuori, guardare  oltre  le  finestre, guardare  oltre  il  buio – immaginando  ciò  che  sarà.

Ricordi di un’estate remota

Verso  i  dodici  o  tredici  anni, quando  trascorrevo  l’estate  in  montagna, ogni  mercoledì  mattina  partivo  con  mia  cugina, che  aveva  un  anno  e  mezzo  meno  di  me,  per  andare  ad  acquistare  alcuni  giornali. La  mia  casa, infatti, si  trovava  in  una  piccola  frazione  nella  quale  le  edicole  erano  assenti; così, per  mantenere  qualche  contatto  con  il  mondo, eravamo  obbligate  a  recarci  nel  comune  vicino, a  soli  tre  chilometri  di  distanza.

Perché  avessimo  scelto  il  mercoledì  come  giorno  da  dedicare  al  nostro  viaggio  è  cosa  che  non  ricordo. Ricordo  però  che, immerse  come  eravamo  nella  quieta  monotonia  dell’estate  in  appennino, con  le  giornate  che  sembravano  interminabili, questa  piccolissima  gita  era  anche  un  modo  per  spezzare  la  settimana, per  fare  qualcosa  di  diverso, per  ritagliarci  uno  spazio  di  assoluta  libertà  senza  la  presenza  di  persone  adulte  accanto.

Partivamo  in  corriera  intorno  alle  9. Il  viaggio  era  brevissimo, sette  o  otto  minuti  scarsi  di  una  lunga  serie  di  curve  in  salita; poi,  l’arrivo  nella  piazza  principale  del  paese  e  il  nostro  breve  tragitto  fino  all’edicola, che  era  anche  una  bella  cartoleria. Qui, compravamo  una  serie  di  settimanali  con  i  quali  speravamo  di   svagarci  un  po’  nei  momenti  di  noia  e, nel  mio  caso, compravo  anche  molti  quaderni  perché  avevo  la  mania  di  scrivere, scrivere  e  ancora  scrivere. Finito  l’acquisto, tornavamo  subito  a  casa. Non  so  perché  non  amassimo  fermarci  in  paese, guardare  qualche vetrina, magari  sederci  in  un  bar  all’aperto  come  due  turiste  qualsiasi; so  soltanto  che  avevamo  sempre  una  gran  fretta  di  andarcene. Solo  che  il  tragitto  di  ritorno  avveniva  rigorosamente  a  piedi  attraverso  un  sentiero,  e  credo  che, in  fondo, lo  scopo  reale  della  nostra  gita  del  mercoledì  consistesse  proprio  nel  poter  compiere  questa  lunga, bellissima  passeggiata.

Il  sentiero  che  conduceva  alla  nostra  frazione  era  caratterizzato, a  pochi  metri  dal  suo  inizio,  da  una  discesa  estremamente  ripida, così  ripida  che, nonostante  l’asfalto, il  rischio  di  cadere  era  altissimo, tanto  che  occorreva  procedere  molto  lentamente,  con  estrema  cautela. Ma, per  fortuna,  questa  terrificante  discesa  era  lunga  due  o  tre  metri  al  massimo  e, dopo  di  essa, non  dovevamo  fare  altro  che  abbandonarci  serenamente  a  uno  splendido  percorso  ondulato, circondato  da  prati,  fiori  e  alberi  abbracciati  dalla  placida  calma  del  sole  estivo.

All’epoca  ignoravamo  che, dopo  molti  anni, avremmo  rimpianto  un  rito  così  banale, così  semplice, quasi  insignificante; ignoravamo  che  l’avremmo  rimpianto  non  solo  per  se  stesso, ma  anche  e  soprattutto  per  la  spensieratezza  e  per  il  senso  di  libertà  con  cui  l’affrontavamo. Con  noi, non  avevamo  cellulari, non  avevamo  nessuno  smartphone, non  potevamo  connetterci  con  il  resto  del  mondo  mentre  camminavamo  tranquille  in  mezzo  all’estate  e  ai  monti. Eravamo  sole, noi  due  e  basta  con  la  natura  circostante, con  le  nostre  chiacchiere, con  le  nostre  battute, con  i  nostri  desideri. Eravamo  là, quasi  sperdute  in  un  angolo  remoto  dell’appennino; ed  eravamo  contente  perché  intorno  c’erano  soltanto  pace  e  silenzio.

 

(L’immagine  è  tratta  da: http://www.escursionistaeditore.com/guide/escursionismo/italia-guida-ai-sentieri-dell-alto-appennino-modenese-dal-corno-alle-scale-all-abetone-er107.html)

Luce di maggio

Chiara, ferma  e  talvolta  indecisa, lievemente  turbata – ma  solo  per  un  attimo, solo  per  un  frammento  di  questo  tempo  infinito. E  poi  la  pace, il  complicato  mosaico  dei  pensieri, i  segreti  dell’anima  che  vacilla,  mentre  il  pomeriggio  scorre, freme, vive  a  dispetto  di  tutto  e  di  tutti.