Mattina di maggio. La giornata comincia con un’immagine che evoca pace, dolcezza e sogni dipinti di rosa: è il culmine della primavera, tenera ma intensa. Non scompaiono del tutto lacrime e malumori, ma il sentiero è tracciato, le svolte sono luminose e il cammino condurrà presto all’estate.
E si avverte una smania, una frenesia improvvisa, il desiderio di rompere gli argini, d’infrangere schemi, di arrendersi al tempo, di camminare fra le rose – e di parlare di niente, di respirare e basta.
Voglio la primavera delle corse sui prati, delle uscite improvvise, delle chiamate inaspettate, delle passioni ingovernabili. Voglio la primavera degli abiti a fiori, delle serate in compagnia, delle piccole fughe silenziose, dei diari nascosti nei cassetti – e dei pomeriggi piovosi a sfogliare ricordi.
Voglio intrecciare i fiori di maggio e farne tante promesse – tante speranze, per l’estate che verrà.
Aprile sa di dimenticanze, e giorni rarefatti e verde cangiante a perdersi negli occhi – il sonno, quanto sonno! E dormire e svegliarsi col vento a scompigliare i capelli – chiudila, quella finestra, e poi aprila di nuovo.
E sul balcone, e le nuvole sul volto – il tormento, l’orizzonte. Tu non arrivi, ma è come se lo fosse. Lo sguardo, intendo, quello che il tempo ha stravolto.
Sono appena rientrata da una passeggiata e i miei occhi lacrimano e bruciano. La primavera è anche questa, una stagione di allergie, piccoli fastidi e occhi rossi. Però mi sento come una bimba, piena di stupore di fronte alla rinascita della natura.
In via Savani, nel giardino di una villetta i glicini resistono ancora, ma con grande fatica:
Sono felice che sia arrivato questo lungo ponte d’aprile, perché in città diminuiranno il traffico e le persone. E poi perché il cantiere di fronte al mio palazzo sarà fermo per qualche giorno. Questa è la mirabile vista che si può apprezzare dal balcone della mia cucina:
Qui saranno edificati tre palazzi cosiddetti “di lusso”, che si sommeranno alla palestra già realizzata e visibile, nella foto, sullo sfondo a sinistra.
Ed ecco il cantiere da un’altra angolazione. Ho scattato la foto il 16 aprile alle 19 e 48, mentre il cielo faceva sognare:
Per fortuna mi consolo col balcone della camera da letto, che mi regala un panorama piacevole:
Cominciamo così, con le sfumature tipiche di aprile, delicate e vivaci al tempo stesso. Questa è una delle ville liberty che preferisco: si trova in via Vedriani, non lontano da casa mia, ed è una vera delizia per gli occhi, così raffinata ed elegante. I suoi colori si sposano alla perfezione con i dolci toni di questo mese primaverile:
Anche al Parco della Resistenza aprile racconta le sue storie, tutte dipinte di rosa, di verde e di fuxia:
Dopo la metà di ottobre, questo viale del parco è un fuoco di colori caldi e avvolgenti, un ardere d’intense passioni – l’anima brucia prima di dissolversi per sempre; adesso, invece, è uno spazio lieve come una carezza, quasi morbido, come di speranze che non vogliono svanire:
E poi i filari e gli alberi abbracciati dal sole, la luce dopo il buio e le tante ombre dell’inverno. Ma ad aprile il sole è un amico fidato, tranquillo e rispettoso:
E vorrei, per un pomeriggio soltanto, tornare bambina e meravigliarmi e sentirmi libera e felice con aprile accanto:
Succede anche questo, ad aprile. Succede che l’azzurro del cielo sia intenso e profondo, ma che una nuvola soffice – una soltanto – decida di non lasciarlo solo. Questo mese è un piccolo miracolo: ha tutta l’eleganza delle cose semplici e delicate, il tenerissimo ardore della vita che non teme di cominciare:
Lasciamo che aprile continui a narrare le sue emozioni, tutti quei sogni che non sa celare – e noi che, allora, eravamo allegri e tristi. Mentre il tempo, il tempo non passava.
Parecchi anni fa, durante la mia infanzia, per tante persone Pasqua era una festa solenne, una ricorrenza importante, un po’ perché, almeno in generale, il sentimento religioso permeava ancora l’esistenza di molti, un po’ perché lo stile di vita era assai diverso da quello attuale: non erano diffusi i viaggi low cost e i cosiddetti “eventi”, e le industrie del divertimento e del turismo non erano onnipresenti e troppo variegate; perciò, in genere, le persone aspiravano a divertimenti più semplici. Un bel pranzo in famiglia e qualche gita non molto lontana da casa componevano il quadro d’insieme della Pasqua.
Al giorno d’oggi, la Pasqua è spesso soltanto un modo per spezzare la routine e concedersi un viaggio, magari in regioni lontane e talvolta in aree del mondo che sarebbe più saggio non frequentare. In alcuni casi, si avverte intorno una frenesia, un bisogno compulsivo di fare qualcosa, di andare da qualche parte, di muoversi, perché tutti fanno così e poi che cosa penseranno gli altri di me se non parto, non vado, non brigo? La società dei consumi, insomma, ha raggiunto i suoi scopi.
Ma non intendo soffermarmi su questo. Niente discorsi pesanti, niente riflessioni profonde. Preferisco, invece, lasciarmi avvolgere dalla leggerezza della primavera, dalla sua luminosità, dal velo d’illusioni, sogni e ricordi che sempre porta con sé. Vivrò questi due giorni adagio, con un ritmo diverso dal consueto, per far sì che la nuova stagione entri davvero nel mio cuore.
Scrivo una frase e poi cancello. Cambio argomento, ricomincio, l’idea è buona – è vero – ma no, non mi va e cancello di nuovo. E pensare che non mi mancano i temi e neppure i concetti, tanto che potrei scrivere cinque post tutti insieme.
Ma mi sento così, mi sento incerta e stanca e strana e distratta, come di fronte a un bivio con mille strade ad aspettarmi: questo va bene, questo no, questo è troppo, questo non sarebbe compreso. Mi fermo, ripenso, provo ancora, eppure no, no, qualcosa non va.
Vorrei che piovesse, ecco. Vorrei che il cielo fosse denso di tinte scure – e i tuoni e lo scorrere dell’acqua sui vetri e finalmente in pace. Allora scriverei una parola dopo l’altra, senza pormi domande, cullata dalla pioggia, meravigliosa compagna.
Ma lo so, so cosa sta succedendo: è l’arrivo della primavera a stordirmi – l’ora legale, i pomeriggi troppo lunghi, la luce, la luce costante. Eppure passerà anche questo, perché è soltanto una questione di abitudine. Bisogna accettare la transizione, assestarsi, trovare un equilibrio, sopportare il mutamento.
Talvolta, il passaggio da una stagione all’altra è un piccolo fardello. Occorre imparare a portarlo con sé, a farlo proprio, e senza lamentarsi, per non avvertirne troppo il peso.
Uh, come mi sento frizzantina! Sono consumata dal desiderio di uscire, passeggiare e fare la monella, come se avessi ancora quindici anni. È la primavera, lo so: alzarsi col sole la mattina, i pomeriggi che si allungano, le prime fioriture, i pensieri che vagano lontano. Anche sotto casa mia il paesaggio sta cambiando:
E che sforzo fermarsi, ricomporsi, comportarsi da persona adulta, fingere di non vedere e di non ricordare. Ma io le rievoco tutte, quelle primavere, perché sono rimaste dentro di me, a comporre il mosaico dei miei anni, del mio cammino – e nessuno mai potrà strapparmele.
Voglio la primavera colorata d’azzurro e di viola, quella che non sai mai se è un regalo o una dannazione, se ti abbraccerà col suo calore o ti respingerà d’improvviso – a lasciarti precipitare nella notte dei pensieri cupi. Voglio la primavera dei pomeriggi nel verde, a raccontare storie e a parlare di nulla, a intrecciare sogni e a ridere di niente, come se il domani dovesse recare chissà quale consolazione – e tu e io, e i nostri capelli neri al vento e quella passione che ci ha devastati.
Ma poi no, voglio il presente. Voglio la primavera dei sentimenti quieti, del disincanto, voglio la primavera a tinte pastello – e la calma che segue la tempesta. Voglio proseguire lungo un sentiero di alberi e di ombre, senza fantasmi a corrermi accanto.
L’ho scattata al volo stasera, lungo viale Buon Pastore. Stava calando il buio e l’immagine non è di grande qualità; ma la bellezza e il colore insolito di questa Vespa sono evidenti:
Non credo di aver mai visto prima d’ora una Vespa tutta rosa. E mi colpisce perché evoca la primavera, il suo significato profondo, e il desiderio di correre al vento incontro all’ignoto.
Io, molti anni fa, ne guidavo una tutta bianca. Erano giorni di sogni e di giochi all’aria aperta, con l’azzurro del cielo nel cuore.
Marzo inizia così, l’inverno gelido e la neve a tenermi compagnia. Fra ottobre e la metà di febbraio ho viaggiato molto, rispettando gli orari dei treni e degli autobus che hanno reso possibili i miei spostamenti . A volte ho corso come una trottola impazzita, altre volte i taxi mi hanno salvata dalla stanchezza – di mattina presto e di sera tardi, col buio e il vuoto delle strade a farmi desiderare di tornare a casa in fretta. E, in questa girandola di spostamenti, affanni e coincidenze da rispettare, non ho potuto vivere l’autunno e l’inverno, periodi che richiedono presenza, attenzione, calma e lunghe ore da trascorrere in casa.
Ma, adesso che quell’intermezzo si è concluso, la stagione fredda sembra voler prolungare la sua presenza – quasi un regalo, un minuscolo dono per risarcirmi di ciò che ho perduto. Eppure avverto il desiderio di un mutamento, credo che la nuova stagione abbia il diritto di arrivare. La desidero e la temo, in realtà, perché il cambiamento è sempre un’incognita, uno strano groviglio di desideri e timori, di attese e delusioni, di momenti sereni e di battute d’arresto.
Però la voglio, la primavera; la voglio ingenua, frizzante, immatura e piena d’energia. Voglio rinascere anch’io, in fondo, e le desidero tutte davvero quelle tinte delicate, meravigliose, come di vita al suo principio: il verde, il lilla, il rosa e il celeste.
Il mutamento è inevitabile: stiamo per salutare la dolcissima stagione dei fiori. Bisogna abituarsi a nuovi colori, ad altre intensità, a giornate lunghissime e roventi, al desiderio di fuggire e al dovere di restare – di farsene una ragione.
Durante le fasi di passaggio, si oscilla fra l’ansia e il desiderio. Si vorrebbe dominare il futuro, costringerlo entro limiti e recinti, scrutarlo, indovinarne potenzialità e direzioni, sapere cosa ci porterà – cosa ci porterà l’estate, al di là del calore e delle nottate insonni.
Che rechi con sé con qualche dono, che sia clemente, che moderi un poco il suo narcisismo – questo speriamo.