Estate, cielo e mutamento

Forse è un bene che oggi il cielo sia distratto, l’azzurro scomparso sotto il peso di un colore indefinito. L’estate ha deciso di riposarsi un poco, dormire qualche ora per tornare a splendere radiosa.

Forse è un bene, dicevo, perché s’intravede la possibilità del mutamento. Dell’estate, infatti, molti amano le certezze, quello sfolgorio quotidiano di luce indomita e il brillare degli alberi al sole, giorno dopo giorno, come a proseguire in eterno. Così, il cielo riluttante e sbiadito di un pomeriggio di luglio qualsiasi ci racconta che persino l’estate, prima o poi, sarà costretta a oltrepassare l’orizzonte.

Cena estiva

Si sa, d’estate la sera compare tardi, come se non volesse saperne di arrivare; così, si apparecchia per una cena all’aperto quando il giorno è ancora trionfante e sembra non dover finire. Questa è una bellezza tutta estiva, un dono, cenare in compagnia di alberi e di fiori, mentre la luce si stempera adagio nella notte – e lunghe conversazioni, e noi che non possiamo dormire.

La nostra primavera

Il pomeriggio scorre radioso, di luce chiara che inonda le strade e sugli alberi brilla – la nostra primavera, quella che non ricordi.

Il pomeriggio scorre, passeggia assorto verso il tramonto; poi tace e s’addormenta, s’addormenta fra le morbide braccia della sera, tra le fitte pieghe nere del suo mantello stanco – poi s’addormenta, è vero, ma tu non riposi.

Giovedì

Il giovedì mi ha sempre fatto pensare alle ombre, in qualsiasi stagione, ombre intese come un affievolirsi della luce, il lento inizio del processo che conduce al termine della settimana. Non tutto si è concluso, c’è ancora spazio per azioni e progetti, non è ancora giunto il momento di fermarsi; ma il sipario comincia a calare, lo si voglia o no. E a volte questo pensiero è un conforto.

A giugno

È bello cominciare il lunedì con questo tempo incerto, con questa pioggia che desidera arrivare ma, per insondabili ragioni, d’improvviso si chiude in se stessa, come in attesa di non si sa cosa, lasciando il cielo disorientato e stanco. Così giugno scorre, i giorni passano e l’estate tarda a esplodere, cosa che mi rallegra e mi fa sperare. E poi queste giornate così lunghe, queste giornate che sembrano infinite, la luce che non vuole dissolversi – che colpo al cuore, e che sogni, e che fantasie.

A giugno bisognerebbe starsene in un bel giardino, dopo cena, quando la notte tarda ad abbracciarci.

Questo silenzio

C’è questo silenzio, intorno, e tutto immobile, tutto immobile tranne l’acqua – e il respiro lieve. C’è questo silenzio, e questo pomeriggio vuoto che non sa morire – la luce, il giorno interminabile, il tempo che verrà.

C’è questo silenzio, intorno, e l’inverno è arrivato e scomparso in fretta – debole, risentito, avaro. C’è questo silenzio, e la primavera come sfondo, la primavera che non so – si sfalderà d’improvviso e saremo travolti. C’è questo silenzio, intorno, e tu che passeggi e io che ti vedo – trasparente, muta, un velo.

C’è questo silenzio, e il non poter dire, e soltanto l’assenza.

L’estate è un’attesa

In città i giorni sono tutti identici, durante l’estate. L’afa è troppo tenace e l’eccesso di luce sembra, in alcuni momenti, una persecuzione o un’offesa. Si trascorre il tempo a difendersi, a chiudersi in casa o in luoghi in cui sia possibile il respiro.

Sembra un’assurdità: la stagione che invita all’allegria, alle uscite frequenti, all’estroversione e al divertimento non è altro che una parentesi in cui ci si rifugia il più possibile al chiuso, aspettando che tutto si concluda e che la vita torni possibile.

Quando l’adolescenza si è ormai dissolta sotto il peso del tempo, l’estate diventa soltanto una lunga, estenuante, malinconica attesa.

Ricordi a gennaio

Sono state giornate fredde, queste, ma anche soleggiate. Da sabato, però, l’umore del cielo è cambiato, e l’inverno ha assunto i suoi toni consueti. Mi chiedo se verrà la neve.

Nel tardo pomeriggio, al buio e con i lampioni accesi, camminare nel parco significa entrare in se stessi, guardare il mondo da un’altra prospettiva, porsi domande, cercare risposte e, soprattutto, vedere ciò che la luce del giorno dissolve.

E infatti qualcosa è accaduto: per la prima volta, venerdì scorso, passando davanti alla casa della mia infanzia, ho visto me stessa nell’atto di uscirne durante una freddissima mattina di gennaio di tanti anni fa. Era la mattina in cui, con la mia famiglia, mi trasferii in centro storico. Ricordo che fui la prima a lasciare la casa e che, mentre mi allontanavo dal cancello, stava cominciando a nevicare.

Ecco, mi sono improvvisamente rivista proprio come allora – ho quasi sentito la me stessa di allora – mentre camminavo voltando le spalle a quella casa, senza provare alcun sentimento di tristezza.

Non so perché, ma sono contenta di aver vissuto nuovamente quella scena.