
Non amo le telenovelas ed evito di guardarle, però mi è capitato di vederne due a causa di mia nonna. La prima fu Bodas de odio, ossia Nozze d’odio, telenovela messicana prodotta dalla Televisa nel 1983 e poi, quando fu di nuovo mandata in onda in Italia nel 1994, ribattezzata con il titolo Matrimonio proibito. Proprio nel 1994, trovandomi in vacanza a casa di mia nonna che la guardava regolarmente, mi misi d’impegno, feci un fioretto e la seguii anch’io.
La storia, ambientata alla fine dell’Ottocento, è romantica e piena di passioni in parte scatenate ma soprattutto represse. Una gentil donzella aristocratica, Magdalena, s’innamora di un tenente dell’esercito privo di beni di fortuna. La famiglia di lei, piena di debiti ma orgogliosa del proprio alto lignaggio, non vuole saperne e, con vari intrighi che avrei la pazienza di spiegare soltanto dietro lauto compenso, e che quindi ora, mancando tale compenso, non spiego, lo fa rinchiudere in prigione e costringe la ragazza a sposare un uomo molto ricco, Alejandro Almonte, figlio illegittimo di un signore trapassato a miglior vita.
Il giorno delle nozze, la sventata e ingenua fanciulla viene raggiunta dal tenentino, guarda caso fuggito dal carcere proprio al momento giusto, e progetta di scappare con lui; ma il novello e freschissimo sposo Alejandro scopre tutto e, adirato per l’inganno – in effetti essere abbandonati subito dopo le nozze può suscitare qualche disappunto – la trascina con la forza nella sua bella dimora di campagna. Qui il matrimonio procede alla meno peggio quando, con un colpo di scena degno appunto di una telenovela, giunge d’improvviso l’immarcescibile tenente che, ingannando Alejandro, si presenta come il nuovo amministratore della proprietà.
La sciocchina, turbata dall’arrivo del tenentino sotto mentite spoglie e assalita da dubbi vari, non sa che pesci pigliare finché scopre di essersi innamorata dell’odiato marito.
A questo punto il matrimonio entra in una nuova fase, ma quando pare che i due colombi abbiano finalmente raggiunto la serenità scoppia la bomba: Alejandro scopre la vera identità dell’amministratore e così si scatenano fuoco e fiamme, fulmini e saette. In una scena latina che più latina non si può, in preda ai peggiori furori della rabbia e dell’orgoglio ferito, un violentissimo Alejandro caccia la moglie coprendola d’insulti e ripudiandola. Fra l’altro costei è pure incinta – e ti pareva! – e ovviamente Alejandro, che non ha scritto in fronte “Giocondo” o, in altri termini, non viene giù dal monte con la piena, non crede più che il figlio sia suo (in realtà lo è perché Magdalena è donna d’onore, ma lui avverte il fastidioso peso delle corna sulla testa).
Da qui scaturiscono numerose avventure, alcune delle quali decisamente surreali, che non posso trascrivere per non rischiare di far sorgere il mal di testa a chi legge.
All’inizio di quest’anno ho saputo per caso che, nel 2003, la Televisa aveva girato il remake di Bodas de odio intitolandolo Amor Real. In Italia Amor real non è mai stata trasmessa, ma io, visto che mia nonna mi aveva fatto sopportare la versione precedente, ho deciso di guardarla in omaggio ai vecchi tempi e per pura curiosità. Così mi sono precipitata su youtube dove varie utenti messicane hanno caricato tutte le puntate in lingua originale.
Questa versione è superiore a quella precedente sotto vari punti di vista – migliore caratterizzazione psicologica dei personaggi, maggiore logicità di alcune vicende – però la protagonista femminile, Matilde, a differenza di Magdalena è una piaga di proporzioni immani perché non fa altro che piangere in ogni occasione. Non piange soltanto quando ha motivo di farlo, ma piange sempre, si commuove a ripetizione e si dispera per tutto: si ha l’impressione che da un momento all’altro, visto il tanto piangere e quindi l’abbondante perdita di liquidi, possa seccarsi e dissolversi.
Ci si chiede poi come faccia il protagonista maschile, che qui non si chiama più Alejandro Almonte ma Manuel Fuentes Guerra, a perdere la testa per lei considerando appunto che frigna un’ora sì e l’altra pure. Ma si sa, quelli erano altri tempi e alle femmine competeva il ruolo di soggetti deboli, tremanti e lacrimanti.
A differenza di Bodas de odio, qui certe situazioni sono molto meno sfumate e più violente rispetto alla versione precedente, ossia le passioni sono più scatenate e a tratti scatenatissime. Non a caso talvolta Manuel diventa intollerabile, come accade dopo la rottura seguita alla scoperta della finta identità dell’amministratore: a parte la terribile scena madre in cui lui la caccia con infamia minacciandola anche di morte, prima della sua riconciliazione con Matilde bisogna sopportare una lunga tiritera di recriminazioni, litigi, insicurezze, dubbi amletici, urla rompi-timpani e atteggiamenti odiosamente maschilisti che stimolano nelle spettatrici più evolute il desiderio di bastonarlo sulla zucca.
Ammetto ora la dura verità: non ho guardato tutta la telenovela perché un simile coraggio mi manca, e poi perché, in fondo, che male ho fatto io per meritarmi questo? Ho quindi saltato il pezzo in cui Manuel deve darsi alla macchia e Matilde lo crede morto per ben tre anni, evitando così con gioia trenta puntate. Ma i pianti di Matilde, che singhiozza disperata persino quando Manuel le dice che la ama – giuro che è vero – resteranno per sempre nella mia mente come ricordi indelebili.
