
Verso i dodici o tredici anni, quando trascorrevo l’estate in montagna, ogni mercoledì mattina partivo con mia cugina, che aveva un anno e mezzo meno di me, per andare ad acquistare alcuni giornali. La mia casa, infatti, si trovava in una piccola frazione nella quale le edicole erano assenti; così, per mantenere qualche contatto con il mondo, eravamo obbligate a recarci nel comune vicino, a soli tre chilometri di distanza.
Perché avessimo scelto il mercoledì come giorno da dedicare al nostro viaggio è cosa che non ricordo. Ricordo però che, immerse come eravamo nella quieta monotonia dell’estate in appennino, con le giornate che sembravano interminabili, questa piccolissima gita era anche un modo per spezzare la settimana, per fare qualcosa di diverso, per ritagliarci uno spazio di assoluta libertà senza la presenza di persone adulte accanto.
Partivamo in corriera intorno alle 9. Il viaggio era brevissimo, sette o otto minuti scarsi di una lunga serie di curve in salita; poi, l’arrivo nella piazza principale del paese e il nostro breve tragitto fino all’edicola, che era anche una bella cartoleria. Qui, compravamo una serie di settimanali con i quali speravamo di svagarci un po’ nei momenti di noia e, nel mio caso, compravo anche molti quaderni perché avevo la mania di scrivere, scrivere e ancora scrivere. Finito l’acquisto, tornavamo subito a casa. Non so perché non amassimo fermarci in paese, guardare qualche vetrina, magari sederci in un bar all’aperto come due turiste qualsiasi; so soltanto che avevamo sempre una gran fretta di andarcene. Solo che il tragitto di ritorno avveniva rigorosamente a piedi attraverso un sentiero, e credo che, in fondo, lo scopo reale della nostra gita del mercoledì consistesse proprio nel poter compiere questa lunga, bellissima passeggiata.
Il sentiero che conduceva alla nostra frazione era caratterizzato, a pochi metri dal suo inizio, da una discesa estremamente ripida, così ripida che, nonostante l’asfalto, il rischio di cadere era altissimo, tanto che occorreva procedere molto lentamente, con estrema cautela. Ma, per fortuna, questa terrificante discesa era lunga due o tre metri al massimo e, dopo di essa, non dovevamo fare altro che abbandonarci serenamente a uno splendido percorso ondulato, circondato da prati, fiori e alberi abbracciati dalla placida calma del sole estivo.
All’epoca ignoravamo che, dopo molti anni, avremmo rimpianto un rito così banale, così semplice, quasi insignificante; ignoravamo che l’avremmo rimpianto non solo per se stesso, ma anche e soprattutto per la spensieratezza e per il senso di libertà con cui l’affrontavamo. Con noi, non avevamo cellulari, non avevamo nessuno smartphone, non potevamo connetterci con il resto del mondo mentre camminavamo tranquille in mezzo all’estate e ai monti. Eravamo sole, noi due e basta con la natura circostante, con le nostre chiacchiere, con le nostre battute, con i nostri desideri. Eravamo là, quasi sperdute in un angolo remoto dell’appennino; ed eravamo contente perché intorno c’erano soltanto pace e silenzio.
(L’immagine è tratta da: http://www.escursionistaeditore.com/guide/escursionismo/italia-guida-ai-sentieri-dell-alto-appennino-modenese-dal-corno-alle-scale-all-abetone-er107.html)