Oggi sono in vena di bontà:

(Tratto da qui: https://www.facebook.com/profile.php?id=100034186196365)
Ma soltanto io provo un gran senso di pace quando vedo un gatto che mangia o che dorme? Qui c’è il gatto Sirena che, dopo essersi rifocillato con piacere, si mette a dormire dentro a una scatola. Perché i gatti adorano le scatole, per le quali sono disposti a dimenticare anche le cucce più belle e più morbide che ci siano. Ogni tanto, l’ammetto, vorrei poter dormire anch’io dentro a una scatola.
E adesso sì, anche l’estate astronomica è arrivata, baldanzosa e fiera come soltanto lei sa essere. A noi tocca viverla o tollerarla, a seconda dei casi. Ma è certo che, per molte persone, l’estate è sinonimo di spensieratezza o, almeno, del ricordo di essa – di quando la spensieratezza, cioè, era possibile.
Ogni anno, quando comincia questa stagione, ripenso al periodo in cui, da adolescente, potevo girovagare in montagna senza alcuna meta, senza uno scopo preciso, passando da una località all’altra per il puro gusto di farlo, per lasciar trascorrere il tempo, forse persino per perderlo, perché m’illudevo di averne davanti ancora tanto, infinito. E il piacere, in questi miei vagabondaggi, era proprio nell’assenza, cioè nella mancanza di un fine consapevole. Che poi un fine ci sia sempre, è chiaro; ma allora, immersa nell’estate con tutta me stessa, il fine era inconscio, inespresso, confuso – perché a quell’età non si vuole pensare, mentre si è in vacanza e i doveri si sono dissolti.
Era questo, per me, il senso profondo dell’estate: camminare per il piacere di muovermi, partire d’improvviso soltanto per poter dire di essere partita. Non c’era nulla da vedere, niente, almeno, di ciò che attira il turismo di massa, quello di chi sbava per essere alla moda. Eppure io mi divertivo, un po’ anarchica e sfrenata in quell’ansia di vagabondaggio. Correvo in Vespa attraverso piccole frazioni sconosciute, a volte abitate da una decina di persone al massimo, gente che sarebbe rimasta lì anche d’inverno, isolata da tutto e da tutti, un pensiero, questo, che mi atterriva; però lo superavo, perché sapevo che io, alla fine di agosto, me ne sarei tornata nel cosiddetto mondo civilizzato, in quella città di pianura che, pur essendo una provincia che più provincia non si può, a confronto sembrava una metropoli.
Tutto questo per dire che, a volte, arrivai anche lì, nel posto immortalato dall’immagine in alto: il paesello è Cargedolo, sconosciutissima frazione di Frassinoro, nell’appennino a sud di Modena, verso la Toscana. Perché poi c’era anche questo, di bello: poter raccontare di essere arrivata in Vespa fino in Toscana o quasi.