Esistono giornate come questa, giornate fragili, indefinibili, acquerelli sfumati, evanescenti. Se ne vorrebbe intravedere il volto, intuirne l’essenza, contemplarne l’umore – se riso o pianto o pioggia imminente. Ma sono rannicchiate dietro a una nuvola, ferme, tormentate dall’ansia di sparire.
La primavera stenta, oggi, a muovere i suoi passi.
Se gli alberi non fossero soltanto scheletri scuri, questa giornata di febbraio sarebbe un perfetto frammento di novembre, uno di quei giorni autunnali stanchi, esangui, che narrano di lenta dissoluzione come di un fatto ineluttabile e persino rassicurante. Febbraio è così, assume coloriture differenti in maniera inaspettata, perennemente indefinito e incerto, forse a disagio nella sua mancanza d’identità.
Quest’atmosfera inattesa, questo sussulto d’autunno affascinante e commovente, mi ha colpita con rara intensità mentre passeggiavo, stamattina, nei pressi della strada in cui ho vissuto per tanti anni, in centro storico. Mi sono ritrovata di colpo nel passato, come in una di quelle tante giornate scure che hanno accompagnato i miei infiniti passi.
Comincio con una foto che ho già pubblicato. Via Castelmaraldo ripresa da via Emilia lo scorso dicembre:
E adesso passo alle foto scattate oggi. Ho voluto fotografare via Castemaraldo partendo dall’area della movida, da cui si risale per arrivare a via Emilia:
Torno indietro verso l’area della movida, adesso molto depressa a causa del Covid. Non descrivo il caos che si creava qui nei fine settimana, e non solo, quando il Covid non c’era: il delirio totale. Come si può vedere ci sono molti locali, birrerie e affini:
Proseguendo dritto lungo via Castelmaraldo, si arriva a piazza della Pomposa, con la sua chiesetta, Santa Maria della Pomposa, di origine medievale e poi rifatta tra Sei e Settecento:
Un altro scorcio della piazzetta fuori dalla chiesa:
Decido poi di lasciare la Pomposa e di proseguire lungo via Taglio. A sinistra, mentre percorro la strada, ecco Via Ganaceto:
Vado avanti lungo via Taglio:
Adesso sto per arrivare in via Farini:
Arrivati in via Farini, troviamo la chiesa di San Giorgio, dedicata alla Beata Vergine Ausiliatrice del popolo modenese. Non sono entrata perché c’era la messa:
Via Farini collega via Emilia e l’Accademia militare, che sorge su piazza Roma. In passato la piazza era usata come parcheggio, ma adesso questo scempio è finalmente terminato:
Dalla piazza vado in Corso Canal Grande, una delle vie più importanti del centro, perché sede del teatro comunale e del tribunale:
Questo è il teatro comunale:
Scelgo di terminare questo tragitto con gli alberi di viale Muratori, alberi che parlano ancora d’inverno, di chiusura, di pace interiore, di memorie che si perdono nel tempo:
Il sole sta tramontando ora, alle 16:36. Che merenda scegliere in un breve e freddissimo pomeriggio d’inverno? Tè, latte o cioccolata calda? Biscotti o torta? E che genere di torta?
Ma soltanto io apprezzo queste giornate brevi? Soltanto io mi lascio sedurre dall’oscurità invernale?
Il primo freddo autunnale è una conquista. Svanisce quel calore opprimente che avvolge le giornate durante l’estate, svanisce quella coltre giallastra e soffocante cui si resta appesi persino con i pensieri. E la vita ricomincia: i primi pasti caldi, le ombre della sera, le coperte sulle lenzuola, oggetti d’uso comune recuperati in fretta, con avidità, freneticamente, perché è tutto vero, non ci stiamo illudendo, la stagione è un’altra.
E allora cosa ci aspetta? Cosa vorremmo che ci regalasse l’autunno? Quali rivelazioni ci attendiamo da lui? Sarà un autunno tranquillo, senza scosse, fondato soltanto sull’introspezione? O porterà con sé inattesi mutamenti, trasformazioni radicali? Quali sono i nostri sogni d’autunno?
La prima cosa, quella per la quale da adolescente adoravo l’estate, era la lunghezza delle giornate, che in vacanza non volevano terminare. A volte mi scoprivo a guardare l’orologio stupefatta e quasi incantata, perché il tempo sembrava serenamente addormentato, forse persino dissolto e destinato a non tornare più. Certo, era una percezione soggettiva; però la ricordo come fosse una magia, quasi che il tempo rallentasse per ragioni inafferrabili – un mistero, un enigma insolubile connesso all’estate.
In questo tempo dilatato e rarefatto, ero spesso travolta dal dèmone della velocità. Sembra una contraddizione, lo so; eppure aveva un senso, un senso del tutto personale: correre in Vespa sulle strade di montagna, affrontare le curve senza alcun timore, sentire il vento sulla faccia e sui capelli, tutto questo era la vita che scorreva impetuosa nel sangue, che chiedeva di essere ascoltata, che reclamava attenzione; ed era anche la libertà – una sensazione profonda, persino fisica, una sensazione di libertà assoluta.
Del resto, che senso ha l’estate se non si possono sciogliere le proprie catene?
Ma che dispiacere quest’inattesa primavera a febbraio! L’inverno arranca, messo da parte da un sole troppo mite, da uno splendore inconsueto. E quanto durerà, allora, la bella stagione? Quanti mesi di caldo verranno? Se oso pensarci, mi metto a tremare. Certo, queste giornate sono spiazzanti.
Le giornate di ottobre, quelle vere, sono un capolavoro di elusività. Il cielo incolore e immobile sembra temporeggiare annoiato, come fosse esausto, incapace di scelta, o soltanto impigliato in un’attesa colma d’inafferrabili tensioni. Le foglie cadono e i viali cominciano a mutare colore – macchie dorate sull’asfalto, ad ammorbidire la spietatezza di strade troppo monotone e affrante per fingere compassione.
Le giornate di ottobre, quelle vere, sono un capolavoro di fiochi richiami, di preziosi ricordi – e quei pomeriggi, quei pomeriggi di tanti anni fa, quando l’autunno ci avvolgeva ancora di sogni e di calore, come a non voler finire, come a non voler sapere.
Ottobre è l’intenso grigio di giornate malinconiche eppure serene, giornate spente eppure vitali – stupefacenti nella loro placida solennità.
Ottobre è la pioggia che invita alla saggezza, la saggezza di stanze chiuse, di mura spesse e di case vecchie – e la dignità d’interminabili silenzi.
Ottobre è il sole lieve di giorni chiari e senza affanni, giorni di foglie colorate lungo le strade assorte e mute, giorni di quiete e di ricordi, di memorie che trapassano il cuore – mentre la sera cala misteriosa a custodirle.
Ottobre è uno scrigno, un oggetto polveroso chiuso a lungo in una soffitta buia. Ma arriva un giorno, un giorno particolare; arriva un giorno in cui si sale in quella soffitta e si cerca quello scrigno, per aprirlo, per comprenderlo, per coglierne ogni segreto. E allora si scopre un tesoro, un insieme di oggetti di squisita fattura – e poi lettere, vecchie cartoline, qualche foto ingiallita, il passato che ritorna e che invoca attenzione.
Ottobre è la verità, la verità che emerge adagio, con garbo, con infinita grazia – per non ferire.
Esitante, silenziosa, calma, malinconica: è la pioggia di certe giornate di aprile, giornate che sembrano ripiegate su se stesse, indefinite, incompiute; giornate che sono e non sono, che esistono e non esistono – ferme, irresolute, forse un po’ stanche. Ed è strana l’assenza di voci o il loro spegnersi a poco a poco, come se l’atmosfera riuscisse a imporre lo smorzarsi di ogni eccesso. Così, si è improvvisamente riconsegnati a quei momenti di sospensione che soltanto le mezze stagioni sanno regalarci: tregue fatte di omissioni, di pensieri profondi e di irripetibili alchimie; tregue che, a poco a poco, senza clamore, lasciano emergere importanti verità.