Ricomincio

Ricomincio a scrivere in un freddissimo giorno di pioggia, mentre l’inverno infuria dopo alcune giornate miti. Del resto, un pomeriggio piovoso è l’ideale per scrivere – il cielo malinconico, il piacere di restare in casa avvolta dai pensieri.

Sono stati mesi molto intensi, per me, ricchi di eventi, di decisioni, di viaggi e di nuove relazioni. Una parentesi che si è conclusa da poco e che mi è stata utile sotto molti punti di vista. Ma, durante questo periodo così particolare, ho trascurato il mio blog a causa del poco tempo a disposizione e d’inevitabili momenti di stanchezza.

Adesso sono a casa e lascio che la domenica compia il suo corso, senza farmene intimorire. Il vento, fuori, è un urlo straziante, un furore violento; ma non m’importa, nulla m’interessa se non avvertire il trascorrere della giornata, sentirlo nel cuore, assecondarne le tinte scure. E io l’amo. Amo l’inverno come non mi era mai successo prima d’ora, come se si fosse svelato interamente, come se avesse gettato la sua maschera al momento giusto – sono io l’inverno, di gelo vestita.

Ricomincio a scrivere e ricomincio la mia vita.

Equinozio d’autunno

Il giorno magico è oggi. Dal punto di vista astronomico, infatti, nell’emisfero boreale l’autunno compare ufficialmente stasera, alle 20 e 21 ora italiana. Sono un po’ emozionata, quasi turbata da questo evento che è un inizio a tutti gli effetti e, come tale, un’incognita, un enigma, un intrico di sogni, speranze e timori.

Quest’anno immagino l’autunno vibrante d’intensità, di colori saturi, pieno di vita, caldo di passioni – i frutti raccolti in abbondanza, la bellezza della maturità, le tante consapevolezze, gli sguardi del sole mite.

Però, accanto a questo sfolgorio di luci e d’intenzioni, desidero anche l’autunno più smorzato, l’autunno dei toni polverosi, di veli grigiastri a ricoprire il rosso e l’arancione, dell’oro che si arrende alle giornate nebbiose e spente – i ricordi, i morti che tornano, le malinconie, l’ineluttabile sfaldarsi del tempo.

Dell’autunno bisogna accogliere tutto, ogni frammento, perché non si può mai eludere la complessità, specialmente dopo l’estate. Finita la leggerezza, si torna alla serietà. L’autunno ci chiede di riprendere il nostro posto, di accettare la routine, di chiudere porte e finestre. Ma lo chiede con garbo e senza costrizioni, perché sa che infiniti sono i suoi doni e i suoi consigli e il suo parlare sommesso e saggio.

L’autunno dialoga, non impone. Perciò merita di essere ascoltato.

Esistono giornate

Esistono giornate come questa, giornate fragili, indefinibili, acquerelli sfumati, evanescenti. Se ne vorrebbe intravedere il volto, intuirne l’essenza, contemplarne l’umore – se riso o pianto o pioggia imminente. Ma sono rannicchiate dietro a una nuvola, ferme, tormentate dall’ansia di sparire.

La primavera stenta, oggi, a muovere i suoi passi.

Novembre a febbraio

Se gli alberi non fossero soltanto scheletri scuri, questa giornata di febbraio sarebbe un perfetto frammento di novembre, uno di quei giorni autunnali stanchi, esangui, che narrano di lenta dissoluzione come di un fatto ineluttabile e persino rassicurante. Febbraio è così, assume coloriture differenti in maniera inaspettata, perennemente indefinito e incerto, forse a disagio nella sua mancanza d’identità.

Quest’atmosfera inattesa, questo sussulto d’autunno affascinante e commovente, mi ha colpita con rara intensità mentre passeggiavo, stamattina, nei pressi della strada in cui ho vissuto per tanti anni, in centro storico. Mi sono ritrovata di colpo nel passato, come in una di quelle tante giornate scure che hanno accompagnato i miei infiniti passi.

Comincio con una foto che ho già pubblicato. Via Castelmaraldo ripresa da via Emilia lo scorso dicembre:

E adesso passo alle foto scattate oggi. Ho voluto fotografare via Castemaraldo partendo dall’area della movida, da cui si risale per arrivare a via Emilia:

Torno indietro verso l’area della movida, adesso molto depressa a causa del Covid. Non descrivo il caos che si creava qui nei fine settimana, e non solo, quando il Covid non c’era: il delirio totale. Come si può vedere ci sono molti locali, birrerie e affini:

Proseguendo dritto lungo via Castelmaraldo, si arriva a piazza della Pomposa, con la sua chiesetta, Santa Maria della Pomposa, di origine medievale e poi rifatta tra Sei e Settecento:

Un altro scorcio della piazzetta fuori dalla chiesa:

Decido poi di lasciare la Pomposa e di proseguire lungo via Taglio. A sinistra, mentre percorro la strada, ecco Via Ganaceto:

Vado avanti lungo via Taglio:

Adesso sto per arrivare in via Farini:

Arrivati in via Farini, troviamo la chiesa di San Giorgio, dedicata alla Beata Vergine Ausiliatrice del popolo modenese. Non sono entrata perché c’era la messa:

Via Farini collega via Emilia e l’Accademia militare, che sorge su piazza Roma. In passato la piazza era usata come parcheggio, ma adesso questo scempio è finalmente terminato:

Dalla piazza vado in Corso Canal Grande, una delle vie più importanti del centro, perché sede del teatro comunale e del tribunale:

Questo è il teatro comunale:

Scelgo di terminare questo tragitto con gli alberi di viale Muratori, alberi che parlano ancora d’inverno, di chiusura, di pace interiore, di memorie che si perdono nel tempo:

E allora cosa ci aspetta?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo freddo autunnale è una conquista. Svanisce quel calore opprimente che avvolge le giornate durante l’estate, svanisce quella coltre giallastra e soffocante cui si resta appesi persino con i pensieri. E la vita ricomincia: i primi pasti caldi, le ombre della sera, le coperte sulle lenzuola, oggetti d’uso comune recuperati in fretta, con avidità, freneticamente, perché è tutto vero, non ci stiamo illudendo, la stagione è un’altra.

E allora cosa ci aspetta? Cosa vorremmo che ci regalasse l’autunno? Quali rivelazioni ci attendiamo da lui? Sarà un autunno tranquillo, senza scosse, fondato soltanto sull’introspezione? O porterà con sé inattesi mutamenti, trasformazioni radicali? Quali sono i nostri sogni d’autunno?

Il senso dell’estate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima cosa, quella per la quale da adolescente adoravo l’estate, era la lunghezza delle giornate, che in vacanza non volevano terminare. A volte mi scoprivo a guardare l’orologio stupefatta e quasi incantata, perché il tempo sembrava serenamente addormentato, forse persino dissolto e destinato a non tornare più. Certo, era una percezione soggettiva; però la ricordo come fosse una magia, quasi che il tempo rallentasse per ragioni inafferrabili – un mistero, un enigma insolubile connesso all’estate.

In questo tempo dilatato e rarefatto, ero spesso travolta dal dèmone della velocità. Sembra una contraddizione, lo so; eppure aveva un senso, un senso del tutto personale: correre in Vespa sulle strade di montagna, affrontare le curve senza alcun timore, sentire il vento sulla faccia e sui capelli, tutto questo era la vita che scorreva impetuosa nel sangue, che chiedeva di essere ascoltata, che reclamava attenzione; ed era anche la libertà – una sensazione profonda, persino fisica, una sensazione di libertà assoluta.

Del resto, che senso ha l’estate se non si possono sciogliere le proprie catene?

Giornate di ottobre

Le giornate di ottobre, quelle vere, sono un capolavoro di elusività. Il cielo incolore e immobile sembra temporeggiare annoiato, come fosse esausto, incapace di scelta, o soltanto impigliato in un’attesa colma d’inafferrabili tensioni. Le foglie cadono e i viali cominciano a mutare colore – macchie dorate sull’asfalto, ad ammorbidire la spietatezza di strade troppo monotone e affrante per fingere compassione.

Le giornate di ottobre, quelle vere, sono un capolavoro di fiochi richiami, di preziosi ricordi – e quei pomeriggi, quei pomeriggi di tanti anni fa, quando l’autunno ci avvolgeva ancora di sogni e di calore, come a non voler finire, come a non voler sapere.