L’essenza di aprile

Oggi pomeriggio, dal balcone: credo che questa foto rappresenti in pieno l’essenza di aprile, i suoi ingenui contrasti e le sue incertezze.

Voleva piovere, aprile voleva piangere, ma non riusciva, non poteva – teso, ansioso, forse impaurito. E, allora, ecco il cielo in parte cupo e in parte luminoso – l’indecisione, il dubbio. Ma la dolcezza del verde e del rosa dominava la scena e attutiva l’oscurità.

Che poesia, che tenerezza, che lampi di malinconia.

Quando l’estate

Agosto prosegue il suo cammino adagio, come se non volesse terminare, come se fosse eterno. Il cielo resta opaco, quasi non avesse senso. Si attende un mutamento, l’irrompere di nuvole scure e di pioggia – almeno un lungo, lunghissimo giorno di pioggia per spezzare la sfrontata sicurezza dell’estate.

Lo so, la pioggia non è mai indolore: certe giornate cupe possono spalancare abissi di malinconia, e indurci al silenzio o alla rassegnazione. Però la strada – la nostra strada – è fatta anche di pioggia, di stagioni che scorrono, di estati che finalmente svaniscono; e, quando l’estate si sfalda, si comincia a respirare e a stupirsi di fronte a nuovi colori.

Canto di ottobre

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È  arrivato  ottobre, enigmatico, sensibile  e  profondo. La  sua  delicata  complessità  sfugge  anche  allo  sguardo  più  attento: davanti  ai  nostri  occhi, ottobre  dispiega  gioia  e  malinconia, lacrime  e  sorrisi, estatiche  lentezze  e  improvvise  accelerazioni.

Il  primo  freddo  pungente  al  mattino, l’indecisione  del  cielo  fra  il  sole  e  l’oscurità, le  ombre  che  si  allungano  durante  il  pomeriggio, l’atmosfera  rarefatta. E  poi  la  nebbia, timida  e  incerta, ad  accarezzare  dolcemente  pensieri,  sentimenti  e  segreti; e  i  viali  calmi, muti  spettatori  della  vita  che  passa  e  scompare  in  fretta. Comincia  lo  spettacolo  delle  foglie  morenti – e  comincia  adagio: foglie  rosse  nei  parchi, lungo  le  strade, nelle  aiuole  che  tutti  ignorano  e  che  invece  sono  lì, anno  dopo  anno, stagione  dopo  stagione.

Talvolta, si  vorrebbe  che  quelle  foglie  parlassero, che  ci  indicassero  la  via, che  ci  suggerissero  il  sentiero  da  percorrere. Tavolta  si  percepisce  invece  qualcosa  di  oscuro, un  presagio  o  forse  il  nulla – la  fantasia  malata  dei  giorni  più  tetri  e  spenti. Eppure, ottobre  racconta  sempre  qualcosa. Magari  inaspettatamente, quando  il  crepuscolo   diventa  un  canto  misterioso  e  lento.

Scuro di fine aprile

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Persino  a  primavera  capita  che  il  cielo  non  voglia  sorridere: d’improvviso,  aprile  dimentica  la  sua  consueta  cordialità  per  incupirsi  e  chiudersi  in  se  stesso, muto  e  tetro  nella  sua  inaspettata  malinconia. Ma  non  si  tratta  dell’oscurità  dei  giorni  d’autunno, quella  che  induce  a  ripiegarsi  e  ad  accettare  il  misterioso  sfacelo  della  vita. Ad  aprile, il  grigio  non  è  mai  così  profondo  da  imporsi  sugli  altri  colori, i  colori  delle  fantasie  più  intime  evocate  da  questa  luce  obliqua  che  sembra  trapassare  l’anima – trapassarla  e  condurla  là,  dove  non  esistono  né  grigi  né  confini.

Scuro di ottobre

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A  ottobre, le  giornate  cupe  non  sanno  di  pianto  e  disperazione, ma  di  delicata, sfumata, pallida  malinconia, struggente  quanto  basta  per  regalarci  l’anima  più  vera  dell’autunno, ma  senza  alcun  nero  d’inchiostro  a  procurare  dolore.

Ci  si  sente  calmi  e  persino  allegri  per  l’austerità  priva  di  superbia  che  caratterizza  giornate  come  questa. Ottobre  racconta  favole  colme  di  antica  saggezza  e  stralci  di  poesie  che  pochi  sanno  ascoltare; ottobre  parla  allo  spirito, irretito  da  una  magia  fatta  di  sguardi  sognanti  dietro  persiane  semichiuse, di  foglie  che  iniziano  a  cadere  adagio, di  suggestioni  senza  nome.

Intanto, il  cielo  resta  muto.

Scuro di maggio

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Si  avverte  una  sorta  di  misterioso  sollievo  quando, verso  la  fine  di  maggio, capitano  queste  giornate  scure. Si  tratta  di  un  grigio  mai  troppo  cupo, mai  troppo  spento: grigio  di  primavera, oscurità  che  prelude  a  una  luce  viva  e  accecante, pausa  di  riflessione  prima  dell’estasi  azzurra  del  cielo  estivo.

A  volte, in  momenti  come  questo  ci  si  sente  pervasi  da  un’inspiegabile  serenità  mista  a  una  lieve, sfuggente  malinconia; e  ne  conosciamo  le  ragioni – sempre – anche  se  preferiamo  celarle  agli  sguardi  e  alle  parole  meschine, alla  superficialità  e  al  vuoto  che  appartengono  a  tanti. Ci  si  accorge  allora  del  privilegio  che  si  possiede quando  si  è  calmi  e  soddisfatti  nonostante  il  mondo; e  quando  si  riesce  a  chiudere  una  porta  con  disinvoltura  e  senza  rimpianti.

Ombre a settembre

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E  così  è  tornato: settembre  è  il  mese  del  lento,  estenuante  passaggio  fra  il  trionfo  della  luce  pura  e  il  sopraggiungere  dell’oscurità. Il  mese  in  cui  l’estate  è  costretta  a  dissolversi  per  lasciare  spazio  alle  ombre  autunnali, misteriose, dense  di  suggestioni, amichevoli  sebbene  introverse.

A  volte  la  mitezza  di  settembre  è  imbarazzante: assomiglia  a  un  caro  amico  che  fa  di  tutto  per  non  offendere, che  usa  soltanto  parole  dolci, che  smussa  ogni  asprezza. Altre  volte, non  sapendo  essere  così  cauto  e  sereno,  settembre  si  lascia  andare  mostrando le  sue  inevitabili  malinconie. I  suoi  chiaroscuri  non  sono  mai  troppo  forti, il  suo  sorriso  prevale  sul  pianto;  ma  ci  avverte  con  toni  sommessi  che  qualcosa  si  è  spezzato. E  allora  verranno  giorni  diversi, ambigui  e  tormentati,  profondi  e  intensi. Giorni  di  mille  screziature, giorni  che  valgono  una  vita  intera.

Pioggia di maggio

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Piove. Piove  lentamente, danza  di  gocce  sottili, canto  sommesso  di  primavera  stremata  da  malinconia  persistente. Poi  la  pioggia  si  ferma;  ma  restano  il  cielo  incolore, l’assenza  di  voci  e   l’incedere  triste  del  tempo  che  scorre  per  forza, che  deve  passare, che  deve  irretire –  sia  pure  stanco  e  disfatto.

 

Come d’autunno a primavera

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C’è  un  po’  di  ottobre  in  questa  giornata  senza  colore  che  segna  il  termine  di  aprile. C’è  un  po’  del  suo  languore, della  sua  dolce  malinconia  che  non  si  dissolve  in  cupa  tristezza  ma  resta  sempre  pacata  e  forse  anche  pigra. La  pioggia  che  arriva  e  se  ne  va  per  poi  tornare  timida  e  silenziosa, la  strada  grigia  eppure  chiara, le  voci  che  si  smorzano –  tutto  come  capita  all’inizio  dell’autunno, quando  il  tempo  sembra  sospeso  in  attesa  dell’ignoto.

Tornano  anche  i  ricordi, tornano  come  d’autunno, tornano  persino  se  li  si  vuole  respingere: vogliono  farsi  ascoltare, vogliono  narrare  trame  rimaste  oscure – e  poi  indicare  orizzonti, dissolvere  illusioni, regalare  consapevolezze, infondere  speranze. Ma  tutto  con  grazia, con  sguardo  sereno  nonostante  un  lieve  affanno.

C’è  un  po’  di  ottobre  in  questa  giornata  spenta  che  chiude  il  percorso  d’aprile. C’è  un  po’  di  passato  e  di  presente, uno  strano  intreccio  di  sensazioni, emozioni, ricordi  che  ci   chiamano  –  sfumati  fantasmi  che  chiedono  udienza  prima  di  dissolversi  nel  caldo  sole  di  maggio.

 

A novembre, in un pomeriggio di pioggia

Oggi, il  primo  pomeriggio  è  un  groviglio  di  grigio  cupo  e  di  pioggia  sottile  ma  intensa. Una  vera  giornata  di  novembre, invasa  da  una  tetra  malinconia  che  induce  inevitabilmente  ai  ricordi. L’anno  non  è  ancora  terminato, ma  dicembre  si  avvicina  e  le  settimane  sembrano  fuggire  con  un  ritmo  che  ci  lascia  frastornati. Così, emerge  qualche  memoria  legata  alle  stagioni  che  si  sono  susseguite  in  questo  2013. Mi  torna  in  mente  lo  scorso  gennaio  con  la  sua  prima  neve:

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Ho  scattato  questa  fotografia  in  un  pomeriggio  freddissimo. Oscurità, desolazione, strade  vuote: l’inverno  è  anche  questo, ma  è  un  privilegio  saperlo  vivere  e  comprendere. Quando  svanisce,  lasciando  spazio  alla  timida, ingenua  ma  irruente  primavera, tutto  cambia:

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Quest’anno  aprile, che  a  volte  riserva  sorprese  meravigliose, è  stato  quasi  sempre  grigio, asfittico, lievemente  malinconico, tanto  che  ho  fotografato  questi  glicini  a  maggio, in  ritardo  rispetto  al  consueto  ritmo  di  primavera. Della  primavera, soprattutto  verso  la  fine  di  maggio, amo  il  tardo  pomeriggio  che,  con  la  sua  lunga  durata  e  accarezzato  da  un  clima  ancora  mite, si  stempera  nella  sera  adagio, fondendosi  con  essa  in  un  gioco  di  luci  e  ombre  così  intenso  da  creare  un’atmosfera  impregnata  di  gioia  e, nel  contempo, di  un  forte  senso  d’intimità. Per  questo, una  domenica, verso  le  diciotto  e  trenta, ho  voluto  fotografare  la  luce  in  una  stanza:

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Fotografare  la  città  d’estate  non  m’interessa, perché  l’afa  la  rende  squallida  e  volgare. Tutto  muta, però,  con  l’arrivo  dell’autunno, che  riesce  a  rendere  attraenti  anche  gli  angoli  più  banali. Quel  miracolo  della  natura  che  è  ottobre  non  fa  altro  che  regalare  bellezza  con  una  generosità  commovente:

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A  ottobre  non  occorre  cercare  strade  particolari  o  luoghi  inusitati: la  poesia  è  lì, completamente  dispiegata  davanti  ai  nostri  occhi. Richiede  soltanto  la  capacità  di  coglierla  e  di  farla  propria, la  disponibilità  a  lasciarsene  invadere  senza  opporre  barriere  o  sciocche  diffidenze. Poi  arriva  novembre, e  l’autunno  accentua  la  sua  splendida, arcana, coinvolgente  malinconia:

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La  scorsa  domenica, in  una  mattina  colma  di  oscurità  e  di  una  tristezza  quieta, quasi  evanescente: i  semafori  rossi, poche  persone  lungo  il  viale, il  profumo  del  tempo  perduto. Sono  gli  stessi  alberi  di  tanti  anni  fa, in  apparenza  immobili  ma  in  realtà  attenti  osservatori  dell’esistenza  che  scorre, delle  stagioni  che  nascono  e  muoiono, dei  nostri  passi  frettolosi  o  stanchi.