Marzo inizia così

Marzo inizia così, l’inverno gelido e la neve a tenermi compagnia. Fra ottobre e la metà di febbraio ho viaggiato molto, rispettando gli orari dei treni e degli autobus che hanno reso possibili i miei spostamenti . A volte ho corso come una trottola impazzita, altre volte i taxi mi hanno salvata dalla stanchezza – di mattina presto e di sera tardi, col buio e il vuoto delle strade a farmi desiderare di tornare a casa in fretta. E, in questa girandola di spostamenti, affanni e coincidenze da rispettare, non ho potuto vivere l’autunno e l’inverno, periodi che richiedono presenza, attenzione, calma e lunghe ore da trascorrere in casa.

Ma, adesso che quell’intermezzo si è concluso, la stagione fredda sembra voler prolungare la sua presenza – quasi un regalo, un minuscolo dono per risarcirmi di ciò che ho perduto. Eppure avverto il desiderio di un mutamento, credo che la nuova stagione abbia il diritto di arrivare. La desidero e la temo, in realtà, perché il cambiamento è sempre un’incognita, uno strano groviglio di desideri e timori, di attese e delusioni, di momenti sereni e di battute d’arresto.

Però la voglio, la primavera; la voglio ingenua, frizzante, immatura e piena d’energia. Voglio rinascere anch’io, in fondo, e le desidero tutte davvero quelle tinte delicate, meravigliose, come di vita al suo principio: il verde, il lilla, il rosa e il celeste.

Tu sai di cosa parlo.

Di aprile e mutamenti

Come ho scritto altre volte, considero aprile un mese splendido, il paradigma perfetto, la vera essenza della stagione primaverile. Aprile, infatti, non conosce eccessi: è un adolescente ottimista e vivace che si affaccia all’esistenza con entusiasmo e, nello stesso tempo, un po’ di timidezza. Talvolta è impacciato, in qualche caso è capriccioso, emotivamente instabile come si addice alla sua giovinezza; ma la sua collera è di breve durata, i suoi pianti sono intermezzi senza furori. Aprile è mite e giocoso, allegro e ingenuo, generoso e aperto al mondo. E i suoi tanti colori hanno tutta la freschezza e la radiosità di chi è soltanto all’inizio della vita.

Il suo corrispettivo, durante l’autunno, è ottobre, anch’esso avvolto da innumerevoli sfumature, anch’esso dolce e cortese; ma ottobre è aprile ormai diventato maturo, aprile che ha perso per sempre la sua ingenuità e il suo infinito entusiasmo, per trasformarsi in un signore riflessivo e saggio, disincantato eppure sereno.

Questa mattina, quando sono uscita, aprile mi ha riservato una bellissima sorpresa: il parco sotto casa mia era davvero radioso, vibrante di luce nuova. Lo so, il paesaggio è sempre il medesimo, il piccolo parco è semplice e modesto, ma stamattina sembrava brillare al sole, felice di esserci:

Lo scorso 13 marzo, dopo la pioggia, la stessa, identica parte del parco era una fusione d’inverno e di primavera, un abbraccio fra le due stagioni:

Cogliere le difformità prodotte dal mutamento del paesaggio, avvenuto nell’arco di pochi giorni, è sempre emozionante, forse persino commovente. E riandare, con la memoria e le immagini, allo scorso gennaio diventa un’esigenza insopprimibile:

Verso la primavera

Di solito, quando l’inverno finisce, cambio la grafica del blog all’inizio di marzo. Ma quest’anno scelgo di farlo oggi, 27 febbraio, perché la nuova stagione sembra avanzare con sicurezza, come se la forza dell’inverno si fosse sfaldata bruscamente per ragioni ignote. Anche il vento improvviso, che infuria ora sulle strade, sembra uno dei tanti volti della primavera.

Mi chiedo allora come sarà. Spero che la stagione dei fiori possa dispiegare tutte le sue sfumature, che possa commuoverci con le sue incertezze e le sue ingenuità, che possa farci arrabbiare con i suoi scoppi d’ira inattesi e i suoi capricci ingiustificati; e mi auguro che riesca a trasmetterci la sua inesauribile vitalità, il suo costante ottimismo, le sue tante illusioni. Spero che la primavera sia, quest’anno, come un arcobaleno dopo la tempesta.

Giorni di marzo

Marzo ha rispettato il suo copione. Si è presentato sfavillante di luce e di azzurro, con mandorli e ciliegi in fiore; poi, d’improvviso, ci ha sorpresi con un vento impetuoso, crudele nella sua sfrontata prepotenza. E oggi, finalmente, un cielo grigio chiaro, sbiadito, insignificante acquerello, accompagna la pioggia che cade adagio – presenza muta e riservata -, mentre il freddo rimanda all’inverno o, forse, a certi giorni di ottobre stanchi e malinconici, ma premurosi, garbati, pieni di riguardo.

Intanto qualcuno passa in bicicletta, incurante del tempo; altri si affannano sulla strada, rassegnati, senza ombrello.

Una finestra aperta

Marzo, tempo di primavera. È il mese di passaggio per eccellenza, insieme a settembre. Ma settembre è un lentissimo, sereno declino, avvolto da impercettibili chiaroscuri e velato da ombre improvvise. Settembre è un ritirarsi adagio, un pacato affievolirsi di ogni eccesso, un’attesa che sa di non essere vana.

Marzo, invece, ha l’irruenza sfrontata e ingenua della prima giovinezza. Inaffidabile e malizioso, marzo sorprende e sconvolge, irrita e diverte. Certe sue piogge inaspettate ricordano l’inverno – l’inverno tetro, quello pieno di rancore; però, quando i giorni diventano sereni, marzo è un compagno allegro, un amico entusiasta, una finestra aperta su un orizzonte luminoso.

Rito di primavera

Ricomincio  a  scrivere  volentieri  dopo  giorni  pieni  di  impegni  e  di  tanta, tanta  stanchezza. E  voglio  ricominciare  in  sintonia  col  clima  sereno  e  luminoso  di  questo  marzo  così  felice, quasi  del  tutto  privo  di  capricci, inaspettatamente  allegro  e  disponibile. Cominciamo  allora  con  una  bella  merenda, importante  rito  pomeridiano  per  chi  può  permetterselo. Se  il  tè  invernale  è  un  momento  di  conforto  e  di  calore  chiamato  a  combattere  l’oscurità  e  l’oppressione  della  stagione  fredda, durante  la  primavera  diventa  invece  una  pausa  leggermente  frivola  e  giocosa, ma  indispensabile  per  scandire  il  ritmo  della  giornata, per  conferirle  un  senso, per  non  renderla  un  piatto  rincorrersi  di  ore  sempre  identiche  a  se  stesse:

In  primavera, i  fiori  prevalgono  in  ogni  occasione, anche  durante  il  rito  del  tè. E  ci  rasserenano  donandoci  tranquillità  e  benessere. In  fondo, alla  primavera  si  chiede  questo: un  po’  di  allegria  e alcuni  momenti  di  quieta  leggerezza. Buon  pomeriggio  a  tutti. 🙂

(L’immagine  è  tratta  da: http://www.pensieriepasticci.ifood.it/2013/02)

 

 

Ed è primavera

Quest’anno  la  primavera  è  arrivata  in  fretta, ben  prima  del  solito. In  genere, almeno  qui, marzo  comincia  con  un  umore  grigio  e  incerto, e  spesso  è  freddo, scostante, antipatico. Perciò  sono  stupita  di  fronte  a  questa  luminosità, a  queste  giornate  che  parlano  di  allegria, di  desiderio  di  uscire, di  novità. Siamo  nel  pieno  di  una  rinascita, confortante  e  avvolgente.

La  primavera, si  sa,  è  anche  un  po’  tentatrice: con  i  suoi  cieli  chiari  e  con  le  sue  ombre  pacate  e  rassicuranti, invita  al  sogno, al  cambiamento, alla  libertà. La  primavera, insomma, distrae, seduce  e  ammalia, evocando  l’adolescenza  con  le  sue  bellezze  e  i  suoi  infiniti  timori, con  la  sua  ingenua  allegria  e  le  sue  improvvise  tristezze, con  le  sue  assurde  fantasie  e  la  sua  irriverente  vitalità. Così, tornano  in  mente  le  uscite  con  gli  amici  e  le  amiche, certe  lunghe  telefonate  che  sembravano  non  voler  finire  mai, le  interminabili  conversazioni  del  sabato  pomeriggio, il  quieto, indisturbato  riposo  della  domenica. Certo, era  un’altra  stagione, un  altro  tipo  di  primavera. Però, al  di  là  del  ricordo  di  un  tempo  lontano  che  non  tornerà, resta  ogni  anno  una  speranza: la  speranza  che  la  primavera  sia  lunga  e  dolce  e  comprensiva.

A marzo

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Inizia  marzo, affascinante  mese  di  passaggio  fra  l’austerità  dell’inverno  e  la  dolcezza  della  primavera. Marzo  è  un  bizzarro  sovrapporsi  di  inquiete  possibilità. Colpi  di  testa, qualche  broncio, improvvise  ingenuità, alcune  lacrime, sole, cieli  irrequieti  e  azzurri, tempeste, estatica  serenità: marzo  è  tutto  questo  e  altro  ancora, indefinibile  nella  sua  ricchezza, stravagante  e  audace  come  soltanto  l’estrema  giovinezza  sa  essere.

Mi  sono  sempre  aspettata  qualcosa  di  nuovo  dal  mese  di  marzo. E  non  perché  sia  un  passaggio; anche  settembre  lo  è, ma  il  dissolversi  dell’estate  nei  primi  evanescenti  languori  autunnali  è  quasi  sempre  privo  di  traumi: è  uno  sprofondare  lento  e  impercettibile  e  rassicurante  nell’atmosfera  d’autunno. Marzo, invece, non  ha  la  maturità  di  settembre: gioioso, folle  e  irruente,  ha  il  potere  di  far  sognare  o  d’illudere  perché  è  mutevole, come  una  corsa  senza  posa  verso  un  traguardo  dai  contorni  sfumati  e  incerti.

Marzo  è  l’adolescente  innamorato  dell’esistenza  che  pretende  di  essere  ascoltato. Ma  non  ha  la  profonda  saggezza  di  ottobre, e  allora  i  suoi  racconti, sebbene  ammalianti, non  sempre  conducono  là, dove  vorremmo  o  dovremmo  essere.

Piove

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Piove. Piove  col  vento  di  marzo, furibondo  e  impietoso. Piove  sulle  strade  vuote  e  stupefatte, piove  sui  muri  stanchi  e  troppo  grigi, piove  negli  angoli  più  cupi  di  vie  sempre  uguali  a  se  stesse. Piove  nei  giardini  addormentati  di  ville  abbandonate  e  silenziose; piove  lungo  gli  argini  dei  fiumi  inquieti, sui  sentieri  di  montagna  troppo  scuri, sulle  colline  timide  e  assorte. Piove  sui  nostri  pensieri, piove  per  darci  il  tempo  di  riflettere, piove  senza  tregua. Piove  da  ore  e  ore, senza  interruzione.

Pomeriggio di marzo

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Ore  16:39. Inizio  a  scrivere  questo  post  felicemente  seduta  alla  mia  scrivania, mentre  la  quieta  luminosità  del  pomeriggio  filtra  attraverso  i  vetri  delle  finestre  chiuse. Il  momento  è  magico: è  quel  prezioso, indecifrabile, delicato  intermezzo  tra  una  stagione  e  l’altra, pervaso  da  una  calma  dolcezza  che  invade  lo  spirito  lasciandolo  sereno  e  stupefatto.

Ore  16:54. All’inizio  di  dicembre, a  quest’ora  era  già  buio. Oltre  i  vetri  delle  finestre, era  una  lunga, estenuante  notte, dispensatrice  d’insondabili  misteri  e  custode  di  tanti  segreti. Era  l’introversione  pura, la  necessità  di  ritirarsi  in  se  stessi, il  desiderio  di tacere  e  raccogliersi, l’amore  per  le  stanze  chiuse. Adesso, la  luce  sicura  ma  non  troppo  intensa  è  invece  un  invito  a  pensare  e, nel  contempo, a  uscire, a  raggiungere  il  mondo, a  prendere  ciò  che  può  offrire.

Ore  17:01. Si  pensa  ai  prati, alle  prime  viole, al  primo  grande  amore, a  fuggire  verso  la  spensieratezza. Ma  poi, da  brave  persone  abituate  a  rispettare  i  propri  doveri  e  a  recitare  la  parte  che  ci  è  stata  assegnata, si  torna  ai  consueti  impegni, al  solito  copione. In  attesa  che  la  primavera  dispieghi  tutti  i  suoi  doni.