
Ogni anno, accade sempre la stessa cosa: la settimana che precede le feste natalizie si presenta ricca d’impegni, di scadenze da rispettare, di programmi da organizzare. Nella maggior parte dei casi, si tratta di questioni superflue o, meglio, di questioni che sarebbero superflue in un’altra parte dell’anno, ma che, in questa, assumono una rilevanza straordinaria. C’è sempre un regalo in più da acquistare, un piccolo dettaglio da non dimenticare, una spesa che non può essere rimandata, un nuovo giro di commissioni da sbrigare. Le feste natalizie, insomma, sono un vero e proprio lavoro, una professione il cui svolgimento si affina col trascorrere degli anni e con l’esperienza. Se poi penso al freddo assassino di questi giorni, il fatto di dover compiere uscite supplementari per faccende che eviterei con gioia non mi riconcilia con l’idea di queste feste.
Però, volenti o nolenti, il dovere chiama e così, ieri sera, ho dovuto trovare il coraggio di affrontare nuovamente questo freddo semi-polare per andare ad acquistare un altro regalo. Giunta in Piazza Grande, quasi correndo a causa del gelo, ho visto il trenino delle feste fermo al capolinea e in procinto di rimettersi in marcia. Così, ho comprato al volo un biglietto e sono salita sul primo vagone, soprattutto perché ho visto salire un umarell col suo nipotino. Ebbene sì, è stata la presenza dell’umarell a farmi decidere per il tour del centro storico, perché quando un umarell sale su un mezzo pubblico dotato di motore si può star certi che, prima o poi, farà qualche commento interessante.
Sul trenino eravamo soltanto in cinque: io, l’umarell col suo pimpante nipotino e un distinto signore quarantenne col suo bambino. Siamo partiti da Piazza Grande con molto fragore, ci siamo diretti lungo Corso Duomo e poi abbiamo girato per entrare in Via Emilia, il tutto accompagnati dal fischio del treno. L’umarell rispondeva alle domande del suo nipotino, gorgheggiando con entusiasmo e felice perché eravamo così in pochi. Quando il trenino ha lasciato Via Emilia per dirigersi lungo Corso Canal Grande, l’umarell ha detto qualcosa a proposito delle sospensioni del veicolo, ma non ho capito bene cosa. In seguito, una volta oltrepassata l’Accademia Militare, ha fatto quello che qualsiasi vero umarell farebbe in simili circostanze: si è lamentato del rumore del motore, a suo dire difettoso. E poi ha aggiunto, tutto giulivo: “Ma questo treno ha molte cose che non vanno!”. Mentre attraversavamo Via Cesare Battisti, ha continuato entusiasta: “Se andiamo avanti così, ci tocca spingerlo!”. E il signore quarantenne, ridendo, gli dava ragione.
Abbandonata Via Cesare Battisti, siamo tornati in Via Emilia, poi in Corso Duomo e finalmente al capolinea di Piazza Grande. Quando l’umarell ha aperto la porta per far scendere suo nipote, ha detto trionfante: “Qui molte cose non vanno!”. Una volta a terra, è andato incontro felice al macchinista per spiegargli le riparazioni da fare al simpatico veicolo. Io non sono rimasta ad ascoltare a causa del freddo, ma immagino che gli abbia sciorinato con convinzione una lista di riparazioni appropriate. Naturalmente il trenino resterà com’è, senza alcuna riparazione.
Questo episodio ha richiamato alla mia memoria quei pensionati della vecchia azienda modenese dei trasporti che, negli anni Ottanta, erano soliti salire sugli autobus e mettersi seduti nei sedili dell’ultima fila per ascoltare il funzionamento dei motori. Stavano lì, concentrati ad ascoltare con estrema attenzione e poi, dopo un attento studio del caso, si dirigevano verso l’autista impegnato a guidare, per informarlo che il motore stava soffrendo, che la frizione doveva essere spinta in un altro modo, che i freni dovevano essere pigiati in un momento preciso prima del semaforo e via così, con una lunga serie di consigli non richiesti. In genere, gli autisti lasciavano correre e non rispondevano, perché i pensionati si atteggiavano a professori di guida ma in maniera bonaria. Una volta, però, un umarell più aggressivo del solito, dopo aver spiegato all’autista che stava guidando come un cane, gli disse: “Ma va’ a zappare la terra e lascia stare gli autobus!”.