Riprendere il cammino

L’anno comincia così, fra incognite e un prima e un dopo, almeno nel nostro confuso immaginario. Si è disorientati – come uno sconquasso; occorre riprendere il cammino, stabilire priorità, riaversi dal tempo sospeso delle feste, ritornare sul solito sentiero dopo le svolte improvvise e le tante deviazioni.

E poi correre incontro all’inverno, lasciarsi avvolgere senza timori dal suo mantello cupo ma protettivo, e preparare ciò che verrà. Ci si ritrae adagio, con garbo, per rendere possibile il domani.

Inverno, Natale e scelte di vita: un romanzo

Vista l’imminenza delle feste natalizie, segnalo La suora giovane, un romanzo di Giovanni Arpino e una delle più belle opere letterarie del secondo Novecento. La vicenda del protagonista, Antonio Mathis, si svolge proprio nel mese di dicembre, in una Torino freddissima e spettrale. La narrazione è in prima persona ed è pervasa da un tono ansioso, spesso frenetico, che dà voce ai tormenti interiori del protagonista, imprigionato in un’esistenza ripetitiva e vuota che viene sconvolta dall’incontro con una giovanissima novizia.

La storia è ambientata negli anni Cinquanta del secolo scorso, ossia in un’epoca con valori e stili di vita assai distanti dai nostri; tuttavia la lacerazione interiore di Antonio Mathis, le sue tante insicurezze e il piatto meccanismo che governa la sua quotidianità sono tutti elementi sempre attuali, che sollecitano riflessioni e interrogativi.

Ho commentato questo romanzo circa un anno fa. Lo raccomando per la sua bellezza semplice, accompagnata da un’intensità emotiva rara e commovente.

Chiacchiere di fine novembre

Quando dicembre sta per arrivare, penso sempre al nuovo “vestito” del blog. Fra pochi giorni dovrò cambiare immagini, intestazione e sfondo, e ciò mi diverte: talvolta mi sento come una bimba intenta a colorare un album da disegno, mentre fuori piove o il cielo è troppo scuro per fare altro. Massì, in fondo questo blog è un modo per decorare certe giornate cupe o monotone o nonsisabenecosa.

Intanto ho già sbrigato con soddisfazione la faccenda dell’albero di Natale: è lì, finito, pronto, fisso, immobile a sostenere la sua parte. Del resto, ciascuno di noi ne recita una, di parte; e anche l’albero natalizio s’impegna nel suo ruolo, povero caro. A lui spetta il compito di ricordarci che stiamo per immergerci nelle feste più lunghe dell’anno, feste di cui magari c’interessa poco o che non suscitano in noi alcun entusiasmo, ma che dobbiamo accettare, sopportare, sforzarci di gradire. A pensarci bene, tutti questi colori, queste luci, i pacchetti decorati e il rosso, il verde, l’oro, l’argento ci aiutano ad accogliere l’inverno, ad abbracciarlo, a dargli il benvenuto. Ed è proprio il caso di darglielo, questo benvenuto, visto che oggi il freddo è assassino. Però ne sono contenta – del freddo, dico -, perché con queste temperature io cammino, cammino, cammino, mi muovo parecchio e chimifermapiù?

Che finisca novembre mi dispiace, che finisca l’autunno mi dispiace, però mi adatto o almeno ci provo. Tanto la vita è tutta una questione di adattamento.

Intanto buon fine settimana, buon freddo, buon tutto.

La via più giusta

Spesso, su questo blog, ho parlato della magica atmosfera che invade gli ultimi giorni dell’anno, fra Natale e San Silvestro. Forse sono i giorni che preferisco e per tante ragioni. Prima di tutto, si avverte un silenzio particolare nelle strade, nei viali, persino nelle piazze: è la quiete che inevitabilmente segue alla festa e che, nello stesso tempo, preannuncia altre feste e altri riti. Poi c’è questo senso di sospensione che deriva dall’attesa del nuovo anno, un’aspettativa cui non ci si può sottrarre, un appuntamento ineludibile.

Ed è inverno, inverno freddissimo e scuro. Ma, lungo le vie cittadine, restano alcuni segni dell’autunno appena trascorso: certe foglie rosse tenaci, ancora abbracciate ai rami degli alberi, sono un’eredità della stagione precedente e, con la loro tranquilla presenza, spezzano quel confuso intreccio di antracite e marrone cupo che caratterizza la monotona tavolozza dei colori invernali. Del resto, in questo periodo è facile dimenticare il cupo volto dell’inverno, perché è un momento di bilanci, di riflessioni severe, di progetti, di ripensamenti. Così, si oscilla costantemente fra il desiderio di quiete e il desiderio di agire, muoversi in fretta, decidere.

Ma forse occorre altro. Forse occorre soltanto fermarsi, guardare fuori – con calma – oltre la pioggia e la nebbia, e cercare, al di là del vuoto apparente, la via più giusta.

Di freddo e dicembre

Sono giornate freddissime ma limpide, come capita spesso all’inizio di dicembre. Nel tardo pomeriggio, uscirò per andare alla ricerca di alcuni regali. Sarà buio, sarà già notte e il freddo accompagnerà la mia passeggiata. Preferirei un’altra compagnia, meno aggressiva e più docile, come le nebbie autunnali non troppo fitte, gli umori incerti di ottobre, le quiete malinconie dell’inizio di novembre: la dolcezza al posto dell’arroganza, la delicatezza al posto dell’invadenza.

Ma la stagione è un’altra e bisogna sopportarla. Si tratta di chiamare a raccolta tutta la propria forza interiore per sfidare il gelo e l’oscurità. In fondo, le feste giungono anche per questo.

Verso il nuovo anno

Questi  ultimi  giorni  del  2016  sono  freddi  ma  estremamente  luminosi: qui  il  sole  ha  dominato  nonostante  la  stagione, determinando  così  un’atmosfera  diversa  da  quella  che  mi  attendevo  e  che  è  tipica  di  questo  periodo. In  genere, le  giornate  che  separano  il  Natale  dall’inizio  del  nuovo  anno  sono  grigie  se  non  estremamente  cupe, oltre  che  silenziose – quel  silenzio  che  segna  il  riposo  prima  di  nuove  feste  e  nuovi  eccessi. E  silenzio  e  oscurità, mentre  l’anno  si  sta  dissolvendo, hanno  il  merito  di  contribuire  a  creare  un’atmosfera  particolare, quasi  uno  stato  di  sospensione  che  non  ha  eguali  in  altri  momenti  e  in  altre  stagioni.

Ma  questo  sole  insistente – questa  luce  fredda  ma  costante – non  parla  di  sospensione, di  magica  attesa, di  misteriosa  ambiguità  durante  l’inevitabile  passaggio. Il  sole, che  tutto  illumina  e  rallegra, spoglia  le  strade, gli  oggetti  e  le  persone  di  quel  velo  che  rende  arcano  e  attraente  persino  ciò  che  attraente  non  è. E  allora  quella  vertigine  dell’anima  che  sempre  avverto  mentre  l’anno  fugge  via, adesso  è  assente.

Intanto, però, vorrei  augurare  Buon  Anno  a  tutti  coloro  che  faranno  una  passeggiata  su  questo  blog. Ciò  che  auguro, al  di  sopra  di  ogni  cosa, è  che  ciascuno  possa  trovare  la  propria  strada  se  l’ha  smarrita  o  ritiene  di  non  averla  ancora  incontrata. Trovare  la  propria  strada  significa  anche  comprendere  bene, in  profondità, ciò  che  si  desidera  veramente  e  ciò  di  cui  bisogna  liberarsi. I  passaggi, infatti, a  volte  richiedono  coraggio  e  tagli  netti: non  basta  imboccare  un  sentiero  e  percorrerlo  sperando  di  raggiungere  una  meta; a  volte,  occorre  liberarsi  da  fardelli  inutili  e opprimenti  per  poter  procedere  meglio  nel  proprio  cammino.

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E  poi  sì, che  il  nuovo  anno  sia  scintillante, pieno  di  sorprese, di  bei  pensieri, di  ottimismo  e  di  capacità  di  andare  avanti. 🙂

 

 

Chiacchiere e amenità

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Ogni  anno, accade  sempre  la  stessa  cosa: la  settimana  che  precede  le  feste  natalizie  si  presenta  ricca  d’impegni, di  scadenze  da  rispettare, di  programmi  da  organizzare. Nella  maggior  parte  dei  casi, si  tratta  di  questioni  superflue  o, meglio, di  questioni  che  sarebbero  superflue  in  un’altra  parte  dell’anno, ma  che, in  questa,  assumono  una  rilevanza  straordinaria. C’è  sempre  un  regalo  in  più  da  acquistare, un  piccolo  dettaglio  da  non  dimenticare, una  spesa  che  non  può  essere  rimandata, un  nuovo  giro  di  commissioni  da  sbrigare. Le  feste  natalizie, insomma, sono  un  vero  e  proprio  lavoro, una  professione  il  cui  svolgimento  si  affina  col  trascorrere  degli  anni  e  con  l’esperienza. Se  poi  penso  al  freddo  assassino  di  questi  giorni, il  fatto  di  dover  compiere  uscite  supplementari  per  faccende  che  eviterei  con  gioia  non  mi  riconcilia  con  l’idea  di  queste  feste.

Però, volenti  o  nolenti, il  dovere  chiama  e  così, ieri  sera, ho  dovuto  trovare  il  coraggio  di  affrontare  nuovamente  questo  freddo  semi-polare  per  andare  ad  acquistare  un  altro  regalo. Giunta  in  Piazza  Grande,  quasi  correndo  a  causa  del  gelo, ho  visto  il  trenino  delle  feste  fermo  al  capolinea  e  in  procinto  di  rimettersi  in  marcia. Così, ho  comprato  al  volo  un  biglietto  e  sono  salita  sul  primo  vagone, soprattutto  perché  ho  visto  salire  un  umarell  col  suo  nipotino. Ebbene  sì, è  stata  la  presenza  dell’umarell  a  farmi  decidere  per  il  tour  del  centro  storico, perché  quando  un  umarell  sale  su  un  mezzo  pubblico  dotato  di  motore  si  può  star  certi  che, prima  o  poi, farà  qualche  commento  interessante.

Sul  trenino  eravamo  soltanto  in  cinque: io, l’umarell  col  suo  pimpante  nipotino  e  un  distinto  signore  quarantenne  col  suo  bambino. Siamo  partiti  da  Piazza  Grande  con  molto  fragore, ci  siamo  diretti  lungo  Corso  Duomo  e  poi  abbiamo  girato  per  entrare  in  Via  Emilia, il  tutto  accompagnati  dal  fischio  del  treno. L’umarell  rispondeva  alle  domande  del  suo  nipotino, gorgheggiando  con  entusiasmo  e  felice  perché  eravamo  così  in  pochi. Quando  il  trenino  ha  lasciato  Via  Emilia  per  dirigersi  lungo  Corso  Canal  Grande, l’umarell  ha  detto  qualcosa  a  proposito  delle  sospensioni  del  veicolo, ma  non  ho  capito  bene  cosa. In  seguito, una  volta  oltrepassata  l’Accademia  Militare, ha  fatto  quello  che  qualsiasi  vero  umarell  farebbe  in  simili  circostanze: si  è  lamentato  del  rumore  del  motore, a  suo  dire  difettoso. E  poi  ha  aggiunto, tutto  giulivo: “Ma  questo  treno  ha  molte  cose  che  non  vanno!”. Mentre  attraversavamo  Via  Cesare  Battisti, ha  continuato  entusiasta: “Se  andiamo  avanti  così, ci  tocca  spingerlo!”. E  il  signore  quarantenne, ridendo, gli  dava  ragione.

Abbandonata  Via  Cesare  Battisti, siamo  tornati  in  Via  Emilia, poi  in  Corso  Duomo  e  finalmente  al  capolinea  di  Piazza  Grande. Quando  l’umarell  ha  aperto  la  porta  per  far  scendere  suo  nipote, ha  detto  trionfante: “Qui  molte  cose  non  vanno!”. Una  volta  a  terra, è  andato  incontro  felice  al  macchinista  per  spiegargli  le  riparazioni  da  fare  al  simpatico  veicolo. Io  non  sono  rimasta  ad  ascoltare  a  causa  del  freddo, ma  immagino  che  gli  abbia  sciorinato  con  convinzione  una  lista  di  riparazioni  appropriate. Naturalmente  il  trenino  resterà  com’è, senza  alcuna  riparazione.

Questo  episodio  ha  richiamato  alla  mia  memoria  quei  pensionati  della  vecchia  azienda  modenese  dei  trasporti  che, negli  anni  Ottanta, erano  soliti  salire  sugli  autobus  e  mettersi  seduti  nei  sedili  dell’ultima  fila  per  ascoltare  il  funzionamento  dei  motori. Stavano  lì, concentrati  ad  ascoltare  con  estrema  attenzione  e  poi, dopo  un  attento  studio  del  caso, si  dirigevano  verso  l’autista  impegnato  a  guidare, per  informarlo  che  il  motore  stava  soffrendo, che  la  frizione  doveva  essere  spinta  in  un  altro  modo, che  i  freni  dovevano  essere  pigiati  in  un  momento  preciso  prima  del  semaforo  e  via  così,  con  una  lunga  serie  di  consigli  non  richiesti. In  genere, gli  autisti  lasciavano  correre  e  non  rispondevano, perché  i  pensionati  si  atteggiavano  a  professori  di  guida  ma  in  maniera  bonaria. Una  volta, però, un  umarell  più  aggressivo  del  solito, dopo  aver  spiegato  all’autista  che  stava  guidando  come  un  cane, gli  disse: “Ma  va’  a  zappare  la  terra  e  lascia  stare  gli  autobus!”.

Freddo, Natale e trenino

Ieri, nel  tardo  pomeriggio, ho  affrontato  la  prima, vera  giornata  di  shopping  natalizio. Il  freddo  era  intensissimo, anche  se, per  fortuna, le  luminarie  tipiche  di  questo  periodo  hanno  reso  meno  gravoso  il  compito  di  dover  fare  acquisti  in  un’atmosfera  altrimenti  spettrale. E  non  è  esagerato  chiamarla  così, perché  c’erano  ben  poche  persone  in  strada  e  poche  anche  nei  negozi. Semi-deserta  appariva  persino  Piazza  Grande, nonostante  il  grande  albero  di  Natale  splendente  e  il  solito  trenino  delle  feste  fermo  ad  aspettare  passeggeri  che  non  salivano.

trenino

Ed  ecco  qui  il  trenino  di  Natale, con  i  suoi  due  vagoni  rossi  fiammanti. Sta  partendo  dal  capolinea  di  Piazza  Grande  per  effettuare  il  suo  giro. Naturalmente  appena  potrò,  anch’io, nonostante  sia  adulta  e  vaccinata  e  quindi  non  più  in  età  da  simili  trastulli, salirò  sul  trenino  e  farò  il  tour  del  centro  storico, cioè  del  mio  quartiere. Ogni  tanto  è  bello  tornare  bambini  e  io, quando  se  ne  presenta  l’occasione, ne  approfitto  sempre.

Intanto,  buona  domenica  a  chi  passerà  su  questo  blog. 🙂

Diario di un sabato di fine autunno

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Ho  appena  terminato  di  fare  l’albero  di  Natale – quello  grande –  e  di  disporre  in  casa  altri  vari addobbi. Mi  manca  ancora  l’albero  più  piccolo, ma  rimando  quest’incombenza  all’otto  dicembre.

Eh  sì, siamo  arrivati  a  dicembre, al  primo  mese  d’inverno. Il  freddo  è  pungente, ma  l’atmosfera  è  ancora  autunnale: è  l’autunno  che  sta  morendo  adagio  e  che, mentre  si  congeda, dispiega  ancora  i  suoi  tanti  doni. Come  sempre, è  stato  troppo  breve; come  sempre, ci  sembra  di  non  averlo  vissuto  in  pieno, di  aver  perso  qualcosa  mentre  le  giornate  fuggivano  via  una  dietro  l’altra, sempre  più  diafane  e  malate, sempre  più  stanche  e  pensose.

Il  passaggio  al  Natale – perché  dicembre  non  è  altro  che  una  lunga, estenuante  preparazione  al  Natale – è  un  po’  faticoso, almeno  per  me, perché  è  un  trapasso  dalla  calma, elegante  sobrietà  dell’autunno  agli  eccessi  di  un  periodo  festivo  che  sembra  non  dover  terminare  mai. Ho  sempre  pensato  che  sia  opportuno  difendersi  da  tutto  questo  trambusto, ossia  viverlo  nel  miglior  modo  possibile  senza  però  caderne  vittime, senza  lasciarsene  travolgere.

Ma  intanto  cominciamo  ad  abituarci  all’inverno.