Settembre, come tutti i momenti di passaggio, stimola riflessioni, suscita ricordi, coglie di sorpresa con umori inattesi e bizzarre intuizioni. Dev’essere per questo che mi tornano in mente frammenti della mia infanzia, piccole, lucide tessere di un mosaico appannato dalla polvere del tempo.
Mi capita così, in queste giornate sospese fra l’estate e l’autunno, di ripensare alla mia carriera infantile di mini-tecnica esperta di televisioni. Ho già raccontato che, nel condominio della mia infanzia, il nostro punto di riferimento di fiducia, per tutto quanto riguardava il mondo degli apparecchi tv, era il tenore Giorgio, che, quando andava sul tetto a sistemare le antenne, si divertiva a cantare pezzi di opere liriche. E Giorgio veniva spesso nel nostro palazzo. Ma per alcuni piccolissimi problemi quotidiani, ebbene sì, c’ero io, una bimbetta delle scuole elementari. Non so come iniziò la mia fama di brava aggiustatrice; so soltanto che, un giorno, fui chiamata da una coppia di mezza età, marito e moglie che vivevano al quarto piano. Costoro avevano fatto un gran caos col telecomando, cancellando inavvertitamente vari canali, e così fui io a risolvere l’inghippo. In poco tempo la mia fama si estese e, nel palazzo, le richieste di aiuto aumentarono, tanto che diventai una specie di pronto soccorso televisivo, sempre presente nei momenti critici. E, siccome ero piccina, apprezzavo molto questa strana attività freelance, perché spezzava la routine di certe giornate e mi faceva sentire importante.
In se stesso è un fatto banale, quasi irrilevante, tale da non poter neppure assurgere a dignità di racconto su un blog. Ma ciò che mi spinge a scriverne è lo sfondo in cui ciò è avvenuto, l’atmosfera e l’ambiente che resero possibile questa storia all’apparenza insignificante. Nel condominio della mia infanzia, infatti, eravamo un po’ come una famiglia: c’erano spesso una solidarietà, una forma di cooperazione, un modo particolare di stare insieme che non ho mai più ritrovato in nessuna mia esperienza successiva. Erano altri tempi, certo, ed erano altri i valori a guidarci, almeno in quel contesto specifico e circoscritto. Sapevamo tutto gli uni degli altri e nessuno di noi tentava di porsi su un piedistallo; avevamo gusti semplici e non eravamo prigionieri del demone della competizione.
Quando ripenso a quelle persone, a certe giornate trascorse insieme, mi avvolge improvvisa una sensazione di calore; e provo tanta gratitudine e comprendo che queste sono le cose che contano, il poter pensare e ammettere e riconoscere che quella cosa preziosa c’è stata e che, dentro di me, si rinnova e continuerà a rinnovarsi nonostante tutto.