Una Vespa che sa di primavera

L’ho scattata al volo stasera, lungo viale Buon Pastore. Stava calando il buio e l’immagine non è di grande qualità; ma la bellezza e il colore insolito di questa Vespa sono evidenti:

Non credo di aver mai visto prima d’ora una Vespa tutta rosa. E mi colpisce perché evoca la primavera, il suo significato profondo, e il desiderio di correre al vento incontro all’ignoto.

Io, molti anni fa, ne guidavo una tutta bianca. Erano giorni di sogni e di giochi all’aria aperta, con l’azzurro del cielo nel cuore.

Io sono novembre

Io sono novembre e busso alla tua porta. Sono l’essenza della vita, quel dissolversi che ti sgomenta, tutto quello che non vuoi vedere – e chiudi gli occhi per non capire. Io sono novembre, ricco di brividi e di colori, il tuo tormento e la tua dannazione. Ma ti regalo lo spettacolo più bello, le foglie al vento, gli alberi rossi e gialli, i tuoi ricordi, le nebbie fitte del mattino.

Io sono novembre, e ti sorreggo e ti consolo. Sono il passato che irrompe nel presente, la vita tua che si aggroviglia, l’infanzia che ritorna, la nostalgia che non sai raccontare. Guardami, guardami con attenzione; e dopo, con molta calma, lasciami andare.

Furono interi pomeriggi

La bellezza autunnale, delicata e ricca di screziature, può essere colta soltanto con calma attraverso un procedere lento. La frenesia della vita quotidiana, fatta di corse verso il nulla, sembra fatta apposta per sottrarci alla poesia di questa stagione.

D’autunno, bisogna passeggiare adagio per cogliere colori e sfumature, profumi e atmosfere – atmosfere dense di memorie e di segreti e di non detti.

L’autunno ha la bellezza lancinante di una villa abbandonata, che si staglia, magnifica e solitaria, sotto un cielo distratto, cui nulla importa del suo destino.

Ma, ogni tanto, passa qualcuno, una persona diversa dalla media, una persona capace di scorgere l’invisibile e certe strane connessioni – e gli angoli, le foglie nascoste sotto i rami spezzati, la terra marrone bagnata di nebbia.

Furono interi pomeriggi – li ricordo ancora – ad ascoltare il vento di novembre fra le persiane chiuse, e la strada muta a non volerci abbandonare.

L’estate mia

Mi piace l’estate randagia, quella in cui decidi di andartene, andartene senza rendere conto a nessuno della tua esistenza, l’estate per vivere, vivere e basta – e che tutto vada in malora, senza sensi di colpa.

Mi piace l’estate in cui ti alzi presto una mattina, per infilarti in fretta in un sentiero e perderti fra gli alberi e i monti, e arrivare là, dove non sai, per tornare indietro o parlare col primo che capita – ché io non faccio distinzioni.

Mi piace l’estate in cui sentirmi il vento addosso, quello intollerabile dei giorni torridi – Dio, quanto li odio! -, ma gli abiti sono leggeri, il corpo mio una meraviglia e niente, niente costrizioni.

Mi piace quella smania di partire, di sapere, di fuggire – e ci provassero a trattenermi, vedrebbero ciò di cui sono capace, tutte le tempeste che so scatenare.

Mi piace l’estate vera, quella in cui ti siedi al tavolino di un bar in un posto che chissà come si chiama – ammesso che ce l’abbia, un nome – e aspetti il caffè, ti senti in pace con il mondo intero e ignori cosa ti porterà la notte – e chissà se ci ritorni, a casa.

Mi piace l’estate delle cene in giardino, del telefono spento, delle distanze, della libertà assoluta – quella che fanno in modo di toglierti per metterti in catene. Ma, cari miei, no, non mi avrete mai.

Questo splendore

La primavera è radiosa persino quando il cielo diventa di grigioazzurro tutto scuro, perché non è questo il tempo della fine, dello smorzarsi lento, ma siamo soltanto all’inizio, e il vento furioso e la pioggia e i nostri pensieri cupi nulla possono – e nulla sanno.

Dobbiamo arrenderci a questo splendore e tornare adolescenti, dobbiamo sentire che il temporale è un momento, il passaggio di un’ombra destinata a svanire in fretta – il sole sarà qui a breve, che tu lo voglia o meno.

Marzo e primavera

Cambiano in fretta, i colori. Basta affacciarsi a una finestra per cogliere tutta la fatica del passaggio, le tracce dell’inverno che non vogliono sparire, i rami spogli, quel marrone freddo che racconta storie di morte. Eppure, proprio lì accanto, altri colori, altri umori, la vita che ricomincia:

Basta uscire di mattina, il sole ancora incerto, il giorno che stenta a cominciare; ma il rosa e il bianco della primavera ci attendono per accompagnarci lungo il cammino:

E ogni anno è sempre la prima volta, sempre la stessa emozione, quel ricominciare fra incertezze e lampi di splendore, e quelle tinte fresche e generose – correre incontro al mondo con entusiasmo:

Adesso infuria il vento e ci costringe alla resa, chiusi in casa, in attesa che finisca. Ma si continua a sognare, a intravedere i giorni che saranno, l’azzurro sempre più intenso e il mistero della pioggia sottile sul verde brillante delle foglie – e il non sapere dove siamo, e il tornare indietro, e chiudersi in casa in attesa di tempi migliori.

Tempo di febbraio

Dopo giorni di luce quasi frenetica, febbraio è tornato sui suoi passi. Venerdì è comparsa la nebbia e i rami degli alberi spogli hanno ritrovato un senso, un’appartenenza – l’inverno e il suo umore tetro:

La nebbia, i rami contorti e i cancelli regalano al parco un’atmosfera rarefatta – come passare altrove in un attimo e stupirsene e non volersene più andare:

Oggi, invece, il vento rende inquieta la giornata – un brivido improvviso, un’incertezza. Ma fuori, proprio sotto casa, s’intravede il rosa sugli alberi sfiniti:

Il mistero di ottobre

Ottobre. Il cielo azzurro, che sembra raccontare favole di primavera, si accompagna all’aria fredda del mattino; i pomeriggi brillano di luce chiara, che a volte si spegne in fretta per l’arrivo del vento o della pioggia, o per uno sbalzo d’umore inatteso. E le foschie, i silenzi improvvisi, quel venir meno che dura solo un istante, quando il mattino fatica ad aprire gli occhi – e quasi non siamo.

Il mistero di ottobre riposa fra gli alberi che mutano colore, le foglie verdi e rosse, le parole non dette, il fango scuro dei giorni piovosi.

Scuro ad agosto

Viale Muratori questa mattina. L’ombra lieve dell’autunno è comparsa furtiva, un’ora di pioggia e il vento a passeggio lungo le strade a rammentarci ciò che sarà. Un’ora di respiro e l’acqua sulla pelle, le gocce frenetiche sugli alberi e l’ombrello aperto, quasi un sogno. Poi l’estate è tornata fiera e audace, perché agosto è soltanto suo. Ma quell’intermezzo, quel rapido passaggio, che emozione.

Largo Aldo Moro, centro storico.

Sere di luglio

Me le ricordo tutte, quelle sere estive, le sere trascorse a parlare e a dire troppo, ciò che non si doveva; e poi il vento sui capelli e il non voler dormire – la notte, promessa di vita eterna. Me le ricordo tutte le sere sotto le stelle e le canzoni senza fine e i nostri scherzi – e il giorno dopo, e ricominciare.

Me le ricordo tutte, io, quelle sere, e so che torneranno, perché non è finita.

Ore 21:30

ore 21:50