Tempo di febbraio

Dopo giorni di luce quasi frenetica, febbraio è tornato sui suoi passi. Venerdì è comparsa la nebbia e i rami degli alberi spogli hanno ritrovato un senso, un’appartenenza – l’inverno e il suo umore tetro:

La nebbia, i rami contorti e i cancelli regalano al parco un’atmosfera rarefatta – come passare altrove in un attimo e stupirsene e non volersene più andare:

Oggi, invece, il vento rende inquieta la giornata – un brivido improvviso, un’incertezza. Ma fuori, proprio sotto casa, s’intravede il rosa sugli alberi sfiniti:

Sabato pomeriggio, gennaio e passeggiata

Sono uscita in fretta, nel primo pomeriggio – il cielo terso a mitigare il freddo di gennaio, e la calma distratta di questa giornata lenta, che chiude il ciclo della settimana.

E sono arrivata qui, al parco di Villa Ombrosa, un lungo viale muto a guardarmi con benevolenza, nonostante gli alberi esausti e il dormire dei rami in attesa di tempi migliori:

Come per magia – che cosa buffa! – ho incontrato subito un piccolo felino, grigia e un po’ marrone e bianca la sua morbida pelliccia; ed è nato un bizzarro dialogo umangattesco, fatto di lunghi sguardi e goffi tentativi di contatto e diffidenza mista a curiosità – quel volersi sfiorare senza riuscirci del tutto:

Era vecchietta, la gattina, bellissima, col pelo un po’ arruffato dall’età e qualche piccolo problema a respirare. Una micetta di famiglia, si vedeva, anche se libera di divertirsi dentro al parco. L’ho lasciata accoccolare sul tavolo al sole, ché di afferrare qualche raggio di vita aveva un gran bisogno, e di nutrirsi di calore, quello che troppo spesso manca, a noi e a loro:

Poi mi ha guardato dolcissima e affettuosa, sebbene un po’ impaurita. L’ho vista strofinare il bel visetto sulla panca e fermarsi in un’attesa misteriosa:

Dopo si è acquattata come soltanto i gatti sanno fare, felice della mia presenza ma pronta a fuggire in fretta, al minimo scricchiolio di foglia morta. E allora l’ho lasciata in pace a sopportare l’inverno della vita, lei, la gatta, con i suoi segreti felini e quella calma quasi ultraterrena che di paradiso parla a tratti:

C’era persino un’atmosfera quasi dorata, come se gennaio non fosse tale, come se novembre fosse tornato entrando furtivo dal cancello aperto – voleva incontrarmi, desidero pensarlo:

Per un momento – quasi eterno, quel momento – sono diventata anch’io una gatta, ferma a lasciarmi accarezzare dal sole, immobile in quel piccolo angolo di alberi e di foglie secche. Finché ho capito che dovevo tornare, che da quei cancelli dovevo uscire, che la mia via era quella verso casa. E ho ripreso la strada, via Sanremo e poi via La Spezia, per arrivare dopo poco in un parco tutto differente, senza cancelli e senza reti – non ama nascondersi, lui, e del silenzio non sa che farsene:

Ed eccolo, il parco della Resistenza a gennaio, dominato dagli umori invernali. Se ripenso alla fine di ottobre, al rosso fuoco sui filari, alle foglie screziate di toni caldi e audaci, mi sento scossa, quasi tramortita. Ma questo è gennaio e va accettato tutto – persino capito, e in parte amato:

Inverno, dicembre e colori: chiacchiere da salotto

Il freddo è arrivato tutto, intenso e sferzante come se fossimo già in pieno inverno. E allora via con maglioni, sciarpe, guanti e passi veloci sulle strade, passi velocissimi per affrontare il gelo col cipiglio giusto, come a dire guarda che non mi fai paura – ma è soltanto un modo per riscaldarsi e affrontare l’aria troppo pungente.

Si avverte anche il dispiacere per quei colori autunnali stupefacenti costretti a ritrarsi in fretta, il fuoco ardente della vita che si sta spegnendo davanti ai nostri occhi, e nulla possiamo fare per mutare questo ciclo. Nella tarda mattinata ho avuto il coraggio – è il caso di dirlo – di fare una rapida puntatina al Parco della Resistenza e ho trovato gli alberi in queste condizioni:

Restano ancora tracce scomposte della stagione autunnale, pennellate di giallo su uno sfondo via via sempre più tetro e spoglio, in un contrasto affascinante ma indefinibile. Per l’armocromia dicembre corrisponde all’inverno profondo e, in particolare, i primi quindici giorni del mese possono essere declinati come inverno profondo soft. Le persone che, per sottotono della pelle e colori di occhi e capelli, appartengono all’inverno profondo farebbero bene a scegliere una palette di colori scuri, intensi e abbastanza freddi, ma riescono a tollerare qualche traccia di calore, perché assomigliano proprio al mese di dicembre, quando cominciano a imporsi i colori freddi ma quelli autunnali non scompaiono completamente, come nella foto qui sopra. Siamo intimamente legati alle sfumature cromatiche delle stagioni, questo è certo e sorprendente.

Tralasciando ora l’armocromia, che consiglio comunque di approfondire, torno alla mia fredda mattinata in giro per la città. Dal Parco della Resistenza, ho avuto la forza per raggiungere il Parco di villa Ombrosa e fotografare il suo bellissimo viale ormai quasi spoglio. Anche qui restano alcune tracce autunnali, che consentono di abituarci adagio al mutamento della stagione:

Nel tardo pomeriggio di ieri, invece, mi sono divertita a passeggiare in centro storico, per lasciarmi cullare dall’atmosfera festiva:

In piazza Grande anche il Palazzo comunale si è vestito a festa:

L’atmosfera natalizia ha risvegliato la bambina che è in me. Sono stata investita, infatti, da un attacco d’infantilismo acuto e sono salita sul trenino che ogni giorno, in questo periodo dell’anno, trasporta i passeggeri lungo le vie del centro. Quest’anno, oltre ai soliti due euro, per viaggiare sul trenino occorre anche il Green Pass. Ecco l’interno ancora vuoto (poi si è riempito):

Il percorso è stato lungo e piacevole, e durante il viaggio abbiamo ascoltato tante canzoni natalizie, soprattutto quelle più tradizionali, che sono anche commoventi perché rievocano giorni lontani e persone che non sono più qui.

Adesso non mi resta che mutare la grafica del blog, come faccio sempre quando cambiano le stagioni. 🙂

Ai margini della città

A ottobre ho scritto in alcuni commenti che sarei tornata qui a novembre. Ho mantenuto la promessa: stamattina ho preso al volo l’autobus 5 per raggiungere il Parco dei Caduti della Fanfara Olandese, più comunemente noto come parco di via D’Avia, là dove la città improvvisamente sfuma per lasciare spazio alla campagna.

Lo scorso ottobre ero stata colpita da un bel viale di questo parco. Allora era ancora molto luminoso e verde, mentre adesso i toni sono mutati e si respira l’atmosfera novembrina, fatta di cielo irrequieto e sfumature di colori intensi. Ecco il lungo viale:

A novembre i parchi non sono mai affollati, ma sprofondano in un’affascinante zona grigia fatta di solitudine e di mistero. Questa mattina ho incontrato pochissime persone, qualche coraggioso amante del silenzio e del freddo autunnale.

Fuori dal parco, in via Don Zeno Saltini, sono stata accolta dalla meraviglia del giallo e dell’arancione:

Mi sono spinta oltre, verso la campagna. Ma questa zona è abbastanza squallida, almeno per i miei gusti. Il piccolo canale è maleodorante e pieno di nutrie che escono allegramente sui campi. Ho preferito girare i tacchi e tagliare la corda subito, per dirla in maniera raffinata. 😆

L’autunno vicino a casa

Dal balcone della camera da letto osservo novembre e il suo effetto sugli alberi del parco. Oggi pomeriggio:

Visto che amo il gioco dei confronti, ecco qui lo stesso scorcio pochi giorni fa, il 25 ottobre. Chi riesce a cogliere le sottili differenze è un vero amante dell’autunno:

Per non parlare poi dell’11 agosto, in piena, sfolgorante estate:

Ma torniamo a novembre. Viale Buon Pastore ha un’aria dolente e intima:

Persino il parco Buon Pastore, che a voler essere intellettualmente onesti è bruttino e spelacchiato, d’autunno acquista un suo fascino, un significato:

Tracce di novembre in città e in campagna

Il primo giorno di novembre ci ha regalato nebbia e oscurità, come a voler suggerire che la stagione sta entrando nella sua fase intensamente malinconica e misteriosa: è l’autunno profondo, l’autunno che non dissimula i suoi tormenti interiori. Ho approfittato del giorno festivo per camminare fino in campagna, in località Saliceta san Giuliano, arrivando fino alla piccola chiesa del borgo. Il percorso è stato lungo, ma ne è valsa la pena perché il foliage è ora nel suo massimo splendore.

Per arrivare a Saliceta ho attraversato una parte del parco Amendola sud, che frequento raramente perché non mi piace molto; stamattina, però, era incantevole grazie all’atmosfera brumosa e al giallo delle foglie. Ho compreso subito che sarebbe stato opportuno fissare certi contrasti cromatici prima che fosse troppo tardi:

Ed eccomi verso Saliceta, dopo aver percorso via Panni. La campagna è piatta e monotona:

Qui sono accanto alla chiesa. Si avverte il distacco dal paesaggio urbano:

La chiesa è molto piccola e semplice. Non sono entrata perché c’era una funzione religiosa e si sentiva cantare: non mi sembrava il caso d’introdurmi e mettermi a fotografare. A causa del fitto passaggio di automobili lungo la stradina davanti alla chiesa, non ho potuto fotografare ogni angolo né riprendere tutto l’edificio – farmi ammazzare per scattare foto no, non se ne parla proprio. Perciò bisogna accontentarsi di queste due immagini:

Mentre ottobre se ne va

Nella tarda mattinata, mi sono seduta su una collinetta del parco Amendola nord, il mio preferito. Ne ho già parlato: io vi accedo da via Sassi e lo amo perché è un parco vecchio stile, fitto di sentieri e di alberi bellissimi, che lo rendono un rifugio ideale persino durante le più torride giornate estive. Il parco ospita anche un piccolo anfiteatro. Ciò che lo rende speciale è il fatto che, durante l’autunno, il giallo delle foglie è di un’intensità travolgente, ben più che in altri parchi cittadini. Qui si formano enormi tappeti dorati:

Guardare ottobre mentre scivola via silenzioso è un’esperienza quasi ultraterrena. Stamattina il cielo sembrava assente e si avvertiva una foschia lieve, un velo morbido – non lo si può spiegare:

Non ero l’unica persona rapita da questo spettacolo. C’erano gruppi di ragazzine con cappelli bianchi, voci allegre ed entusiaste, piccole donne intente e farsi fotografie sotto agli alberi; e poi coppie di anziani a mormorare qualcosa sullo splendore dorato e fiabesco della stagione, e persino qualche giovane uomo felice di camminare da solo sulle foglie. Accorgersi della gioia prodotta da questo splendido mese mi ha rallegrata. La bellezza di ottobre mi sconvolge ogni anno, sempre come se la scoprissi per la prima volta.

Ed ecco gli scorci più belli:

Oggi è tornata l’ora solare. Mentre ottobre si prepara a svanire, la grande notte arriva a tenerci compagnia.

Frammenti di ottobre

Mi piacerebbe trovarmi in collina e abbandonarmi all’autunno interamente, fra la morbida dolcezza dei campi ondulati e i colori dei tramonti; ma vivo in città e devo accontentarmi. D’altro canto l’autunno regala piccole e grandi magie anche agli angoli più banali e monotoni, e ottobre rivela una generosità rara. Prima che questo mese finisca, prima che tanta meraviglia si arrenda allo scorrere del divenire, lascio qui qualche immagine affinché l’incanto non si perda. Le foto sono state scattate nel mio quartiere.

Viale Buon Pastore dorato e mite:

Via Padova, che mi sorprende ogni anno con la forza impetuosa del giallo sugli alberi e sull’asfalto:

Il parco vicino a casa mia, piccolo, semplice e defilato, ma capace di regalare intense sfumature, mentre il sole ci sta osservando:

E poi, inatteso, compare il simpatico tigrotto, che si guarda intorno cauto, in cerca di avventure. Un gatto è sempre un valore aggiunto, un piccolo miracolo di bellezza e di candore.

Dove finisce la città (2)

Toccata e fuga. Oggi sono uscita da casa alle 15 e sono rientrata alle 16:20, dopo essere stata al Parco dei Caduti della Fanfara Olandese, nella parte ovest della città, là dove l’area urbana incontra la campagna. Naturalmente ho preso l’autobus, il 5, che per fortuna passa vicino a casa mia, e ho affrontato un bel viaggetto lungo venticinque minuti.

Era da tempo che desideravo passare attraverso il quartiere Madonnina, che visitai soltanto una volta, quando avevo sei anni, e al quale si arriva percorrendo via Emilia Ovest. Non è uno dei quartieri migliori di Modena: il traffico, l’inquinamento, alcune parti decisamente degradate e la presenza della criminalità rendono quest’area un po’ meno vivibile rispetto ad altre zone della città, almeno in generale.

Sono scesa dall’autobus in via d’Avia. La strada è ordinata e pulita, piena di villette a schiera e di belle palazzine, e il parco è grande e molto curato. So che sono i volontari, per lo più anziani, a occuparsene, e il risultato è ottimo:

Come si può notare in questa parte del quartiere non ci sono tracce di degrado, ma soltanto molta quiete e belle case. Uscendo dal parco lungo via Don Zeno Saltini, la città termina la sua corsa affannosa per lasciarsi lambire dalla campagna:

Dove finisce la città

Domenica mattina, ore 9:52. Prendo l’autobus, il 3, da viale Medaglie d’oro, quartiere Sant’Agnese. La mia meta è lontana, è la fine della città, quartiere Torrazzi, area industriale e popolare. L’autobus arriva al capolinea in via Portorico dopo 17 fermate. Ma è domenica, il traffico è ridotto e così il viaggio è rapido: in meno di un quarto d’ora raggiungo via Portorico, una strada tranquilla costellata da villette con giardini e palazzine minuscole. Eccola:

Il parco dei Torrazzi è raggiungibile in fretta, all’incrocio con via Cuba. Se il parco della Resistenza è una fedele ricostruzione della campagna nella prima periferia della città, il parco dei Torrazzi è invece un tipico parco cittadino che però si estende ai margini della campagna, confondendosi con essa. Gli alberi sono belli e alti, le panchine sono nuove, i viali ghiaiati sono larghi. Il parco è molto grande e poco frequentato, un’oasi di verde ideale per chi voglia perdersi nei propri pensieri e allontanarsi dal caos cittadino. Nell’insieme, però, si respira un’aria di abbandono: qui si è davvero ai margini della città e si sente, si avverte dentro. Qualche foto:

Ecco la campagna che si dispiega accanto al parco:

Come ho già scritto altrove, io non amo le pianure perché m’infondono un gran senso di morte. E la pianura modenese non fa eccezione. Fatico a descrivere il senso di desolazione che provo di fronte a questi paesaggi, per cui evito di farlo e passo volentieri oltre. Tornata in via Portorico per prendere l’autobus, ho fotografato la chiesa di via Argentina, parrocchia di S. Anna:

In questo piccolo viaggio sono stata fortunata. La pioggia, infatti, è giunta dopo il mio ritorno a casa e renderà piacevole il mio pomeriggio di festa.