Non ci sono dubbi: conviene cominciare con dolcezza. L’inizio è sempre importante, perché regala un tono peculiare alla giornata, una sfumatura piacevole:
Sono biscotti bretoni, acquistati al mercato europeo. Piccole, grandi gioie quotidiane in una mattina d’inizio estate.
Che sia un buon giovedì per chiunque passi su questo blog.
E così, oggi, ho cambiato gli abiti al blog, che è diventato estivo: segue le stagioni, lui, e deve adeguarsi al clima e all’atmosfera di questa parte dell’anno. Via le vecchie immagini primaverili e spazio a nuovi colori e ad altri paesaggi.
Modificare la grafica del blog mi emoziona sempre, perché è segno di un cambiamento, di una nuova stagione, di una fase diversa accompagnata da mille incognite e infinite aspettative.
Il bisogno di scandire il tempo risponde alla necessità di dominarlo e di conferirgli un senso. E, per un blog dedicato al ripetersi delle stagioni, scandire il tempo diventa un fatto urgente, una necessità e un divertimento.
Proprio come l’eterno ciclo delle stagioni, anch’io, a ogni passaggio, mi ripeto e scrivo un post dedicato a ciò che mi aspetto, a quello che desidero per i prossimi tre mesi. Ecco, questo post sta per arrivare, perché non amo perdere le buone abitudini.
Intanto, buona estate a chiunque passi da queste parti.
Mattina di maggio. La giornata comincia con un’immagine che evoca pace, dolcezza e sogni dipinti di rosa: è il culmine della primavera, tenera ma intensa. Non scompaiono del tutto lacrime e malumori, ma il sentiero è tracciato, le svolte sono luminose e il cammino condurrà presto all’estate.
E si avverte una smania, una frenesia improvvisa, il desiderio di rompere gli argini, d’infrangere schemi, di arrendersi al tempo, di camminare fra le rose – e di parlare di niente, di respirare e basta.
Voglio la primavera delle corse sui prati, delle uscite improvvise, delle chiamate inaspettate, delle passioni ingovernabili. Voglio la primavera degli abiti a fiori, delle serate in compagnia, delle piccole fughe silenziose, dei diari nascosti nei cassetti – e dei pomeriggi piovosi a sfogliare ricordi.
Voglio intrecciare i fiori di maggio e farne tante promesse – tante speranze, per l’estate che verrà.
Ci troviamo in un momento assai particolare: l’estate sta giungendo alla fine, adagio, certo, e con qualche intemperanza. Che lo voglia o no – conoscendola, direi di no – i suoi giorni sono contati. Ma i trapassi, si sa, recano con sé fatiche e dolori, scoppi d’ira e il desiderio di farcela a qualsiasi costo. Che, per l’estate, significa restare qui il più a lungo possibile.
Io sono eretica, quest’anno, e strana e di vita piena nonostante l’afa – non so perché, ma è un fatto, e di fronte ai fatti mi arrendo, alzo le mani. Sono strana, dicevo, perché un po’ mi spiace che la bella stagione vada ad addormentarsi, che scivoli via nonostante il suo carattere prepotente, quell’insopportabile arroganza che racconta storie di gioventù, follie e desideri soffocati a stento. Ma così è. E vedremo un’altra stagione, più profonda e intensa e misteriosa.
Intanto, mentre assaporiamo questo lento passaggio, guardiamo qualche immagine, qualche traccia di agosto, agosto che è appena finito e vuole che qualcuno lo ricordi. Pubblico allora quattro foto che mi ha inviato mio cugino Fabio.
Questo è il Lago di Vico, in provincia di Viterbo:
Narni, in provincia di Terni:
Colle dell’Asino a Rocca di Papa, in provincia di Roma:
Amo il rumore dei tuoni che prelude al temporale: è un segno di trasformazione, l’estate che si ritrae in un angolo, pensierosa e forse stanca, e noi che ci addormentiamo o ci fermiamo a sognare.
Durante l’estate è inevitabile, mi succede ogni anno, si ripete sempre come se fosse la prima volta: mi lascio andare al flusso disordinato dei ricordi, alle memorie che tornano scomposte come piccoli frammenti, lievi pennellate dai colori sbiaditi e forse per questo affascinanti.
Tornano le estati d’un tempo lontano, più semplici rispetto a quelle di oggi. Ad agosto le città si svuotavano e non è uno scherzo. Adesso questo non succede più, perché si tende a partire in vari periodi dell’anno e le ferie sono mediamente più brevi. Per dirne una, ieri mattina il centro storico di Modena era pieno come a ottobre, mentre negli anni Ottanta e Novanta, ad agosto, le città erano quasi deserte. A quell’epoca, la mania dei viaggi esotici era appannaggio di un ristretto numero di cittadini, e la maggior parte delle persone era felicissima di trascorrere almeno tre settimane in luoghi non troppo lontani da casa, magari nella solita pensione in riva al mare o nella dimora di famiglia in montagna o in collina, dove quasi sempre arrivava qualche parente in visita.
Non c’erano ancora infinite agenzie di viaggio con (terribili) proposte di viaggi low cost e last minute, e nessuno desiderava passare cinque, striminziti giorni in Madagascar o una settimana a Santo Domingo. Non c’erano neppure i tanti B&B che adesso affollano ogni remoto angolo della nostra Penisola, compresa Rocca Cannuccia. Ai miei tempi le alternative erano chiare e poche: vacanze in appartamento o in albergo o in grande casa di famiglia, spesso a pochi chilometri dalla città. Fine.
La mia impressione, del tutto soggettiva, è che si trattasse di vere vacanze, autentiche rotture rispetto alla solita routine, perché in genere avvenivano soltanto una volta l’anno ed erano lunghe, in qualche caso lunghissime, a differenza delle vacanze di oggi, che spesso sono soltanto un mordi e fuggi forsennato o brevi parentesi. Riconosco, però, che le ferie vecchio stile avevano un grave limite: per i pochi costretti a rimanere in città, agosto doveva essere tremendo, con i negozi in gran parte chiusi e quasi nessun servizio funzionante.
Talvolta vorrei tornare indietro, brevemente, in maniera fugace e quasi di soppiatto, per trovarmi di nuovo a quel tempo, quando agosto significava abbandonare tutto e tutti, salutare le amiche e gli amici e darsi appuntamento alla fine del mese o a settembre. Non c’erano i cellulari o non erano ancora molto diffusi, le interurbane costavano parecchio e non comunicavamo gratis via whatsapp, per cui le vacanze erano davvero una pausa, un lungo intervallo spezzato soltanto dall’invio delle cartoline.
Ma questo distacco era positivo, perché tornare a casa dopo le vacanze significava impegnarsi a riannodare i fili interrotti delle nostre amicizie. Ritrovarsi dopo settimane di silenzio era sempre molto emozionante, quasi un avvenimento e un rito, ed era anche un’occasione per trascorrere lunghi pomeriggi a raccontare ciò che avevamo fatto e a guardare le poche fotografie che avevamo scattato durante le ferie, felici di essere nuovamente insieme.
Essere sempre connessi è piacevole e comporta molti vantaggi, altrimenti non perderei tempo a scrivere qui. Ma le pause, gli intermezzi e le comunicazioni lente di qualche decennio fa ragalavano emozioni ormai sepolte per sempre.
Però è bello, dopo una giornata di caldo sfibrante, aprire la finestra e affacciarsi su questo groviglio scuro di alberi fitti. E sentire il vento, l’aria della notte, il silenzio del parco – il silenzio del parco tutto per me.
La giornata è caldissima ma vestita di puro splendore. Non si può fare a meno di esultare per le tinte e i giochi di luce fra gli alberi:
Sono contenta senza ragione apparente, senza un motivo cui aggrapparmi, senza giustificazioni. Felice e basta, forse la forma più bella di esultanza o la più spericolata, irrazionale, bizzarra allegria che possa capitare.
Le cicale cantano ininterrottamente, le persone camminano adagio, il tempo sembra quasi arrestarsi e, in alcuni momenti, penso all’autunno che verrà. Ma intanto lascio che l’estate mi abbracci e mi faccia divertire e sognare con i suoi colori: