Quello che voglio

Mattina di maggio. La giornata comincia con un’immagine che evoca pace, dolcezza e sogni dipinti di rosa: è il culmine della primavera, tenera ma intensa. Non scompaiono del tutto lacrime e malumori, ma il sentiero è tracciato, le svolte sono luminose e il cammino condurrà presto all’estate.

E si avverte una smania, una frenesia improvvisa, il desiderio di rompere gli argini, d’infrangere schemi, di arrendersi al tempo, di camminare fra le rose – e di parlare di niente, di respirare e basta.

Voglio la primavera delle corse sui prati, delle uscite improvvise, delle chiamate inaspettate, delle passioni ingovernabili. Voglio la primavera degli abiti a fiori, delle serate in compagnia, delle piccole fughe silenziose, dei diari nascosti nei cassetti – e dei pomeriggi piovosi a sfogliare ricordi.

Voglio intrecciare i fiori di maggio e farne tante promesse – tante speranze, per l’estate che verrà.


Quello che il tempo

Aprile sa di dimenticanze, e giorni rarefatti e verde cangiante a perdersi negli occhi – il sonno, quanto sonno! E dormire e svegliarsi col vento a scompigliare i capelli – chiudila, quella finestra, e poi aprila di nuovo.

E sul balcone, e le nuvole sul volto – il tormento, l’orizzonte. Tu non arrivi, ma è come se lo fosse. Lo sguardo, intendo, quello che il tempo ha stravolto.

( Il dipinto è L’attesa, di Federico Zandomeneghi)

Fermate d’autobus

Spesso, quando mi trovo sull’autobus e guardo fuori, mi colpiscono le fermate che non ho mai frequentato, che non appartengono alla mia realtà quotidiana, neppure a quella remota – stralci d’infanzia, piccoli viaggi urbani, tragitti per non so dove.

E penso che vorrei, talvolta, vivere qualcuno di questi luoghi d’attesa, percepirne l’atmosfera, perché ce n’è sempre una, una c’è sempre se la sai afferrare – e, in quel momento, afferri te stessa.

Quando ti trovi ad aspettare, cammini sempre incontro all’ignoto. T’illudi di avere una destinazione e basta, un punto d’arrivo che sia una conclusione, una certezza; ma la realtà è un’altra, sfuggente, fatta di volti nuovi, d’improvvise armonie o dissonanze. E poi non sai se arriverai a destinazione, se il viaggio sarà più lungo del consueto, se un imprevisto spezzerà la monotonia dell’attesa.

Ma quella fermata, quel punto qualsiasi voluto dagli uomini, dà forma al mondo e alle giornate, crea la realtà e la sostiene, rende possibile il viaggio, i pensieri, le illusioni, le aspettative.

Le fermate d’autobus mi piacciono d’autunno, nelle giornate incolori, quando le foglie non smettono di cadere e l’attesa diventa un mistero – solenne, forse senza ritorno.

Voglio l’inverno

Voglio l’inverno vero, l’inverno cupo e senza incertezze – chiudersi dentro, il freddo intollerabile e la lunga, lunghissima attesa. Voglio l’inverno e i giorni scuri, la meraviglia della nebbia al mattino – e uscire quando ancora fuori è notte e tutti sembrano dormire. Voglio l’inverno delle passeggiate solitarie, e le strade strette e le porte chiuse e nessuno alle finestre – e poi tornare a casa in fretta e pensare.

Voglio l’inverno severo ed esigente, quello dei colori freddi e del ghiaccio sul cuore.

Come le foglie

È che non vorresti uscire, non vorresti perdere questo spettacolo. L’autunno sa rapirti come niente e nessuno potranno mai. Ti bastano una finestra, una soltanto, e gli alberi sotto a farti compagnia. E quei sussurri e quei ricordi, tutti i tremori – il tuo tempo che fugge via.

L’autunno è uno stato d’animo, tu che comprendi ogni sfumatura, ogni piccolo gesto, e non sai che fartene delle chiacchiere, dei sorrisi finti, dei discorsi che sono pura apparenza. L’autunno è la verità – sai dove stai andando, e quel sentiero misterioso, e che nessuno ti molesti. L’autunno è il calore dei ricordi, muti – e non parlarne.

Io sono come le foglie che cadono in silenzio, come il vento che s’alza d’improvviso, come la pioggia che ti costringe a rientrare in fretta. Mi bastano una stanza e i colori dell’arcobaleno.

E tu non disturbarmi. Non so che farmene della tua estate torrida.

Io sono novembre

Io sono novembre e busso alla tua porta. Sono l’essenza della vita, quel dissolversi che ti sgomenta, tutto quello che non vuoi vedere – e chiudi gli occhi per non capire. Io sono novembre, ricco di brividi e di colori, il tuo tormento e la tua dannazione. Ma ti regalo lo spettacolo più bello, le foglie al vento, gli alberi rossi e gialli, i tuoi ricordi, le nebbie fitte del mattino.

Io sono novembre, e ti sorreggo e ti consolo. Sono il passato che irrompe nel presente, la vita tua che si aggroviglia, l’infanzia che ritorna, la nostalgia che non sai raccontare. Guardami, guardami con attenzione; e dopo, con molta calma, lasciami andare.

Vorrei

Ma sì, vorrei restarmene qui a lungo, sola, senza fastidi, senza doveri, senza la vita che preme, il tempo che mi rincorre, il tempo addosso – ma non l’ho chiesto io, sia maledetto! Vorrei starmene qui un’ora, un’ora tutta per me – per noi, per non dimenticare:

L’estate dentro di noi

C’è un po’ d’estate dentro ciascuno di noi, anche quando non ce ne accorgiamo. Talvolta pensiamo che sia scomparsa, che sia ridotta a un pallido fantasma, evanescente, inafferrabile – soltanto un’ombra.

Eppure, l’estate vive ancora fra le pieghe dei nostri desideri, dei non detti, delle fantasie che d’improvviso arrivano a scuoterci, a risvegliarci – non è ancora finita, non è mai finita.

L’estate splende, e i colori e le sensazioni e le notti ad ascoltare le stelle – ma quante parole e quanti ricordi e la svolta. La svolta lungo la strada buia.