Un ricordo di giugno

Quando mi soffermo a riflettere sul mese di giugno, affiora inaspettato un ricordo lontano. Non ne so le ragioni, ne ignoro i motivi profondi, ma succede: risale d’improvviso dall’abisso scuro delle esperienze passate, e si presenta come un ospite inatteso, imponendo la sua presenza.

In apparenza è una memoria insignificante, che forse non meriterebbe neppure di essere scritta in un post; ma la forza con cui mi sorprende è tale da non lasciarmi indifferente e da richiedere la mia attenzione.

Era giugno, avevo sei anni e mi trovavo nella mia casa in appennino. Mentre calava la sera, il giardino si riempiva di lucciole e io seguivo mia zia che, volendo fare una passeggiata, andava incontro a suo marito, di ritorno dal lavoro.

L’ho detto: è la memoria di un fatto banale, ordinario; ma, se qualcuno mi chiedesse di colpo cosa penso di giugno e quali emozioni suscita in me, risponderei con quell’immagine di tanti anni fa, avvolta nella nebbia del tempo, ma tuttora in grado di trasmettermi uno strano senso di pace.

Pace, tranquillità. Forse perché, in quel momento, non pensavo ad altro che non fosse la passeggiata, quel camminare sereno sulla strada mentre le ombre della sera danzavano sui monti. E non mi ponevo domande.

Per me, il mese di giugno è tutto racchiuso in questo frammento di quiete che appartiene al mio passato remoto e che, ogni anno, arriva in visita e s’intrattiene abbastanza a lungo. Il tempo necessario per regalare un senso, un sapore, una tinta vibrante a ciò che sembra privo di colore.

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