Il cielo è un acquerello sbiadito – o forse un’assenza, o soltanto un’attesa.
L’autunno e le sue esitazioni – la sua voce sommessa, il suo sguardo abbassato, i suoi tanti tormenti.
Mentre stiamo rapidamente camminando incontro all’estate, avverto un po’ di nostalgia per quei bellissimi passaggi tra il pomeriggio e la sera che caratterizzano il mese di aprile. Quei passaggi in cui, verso le venti, la luce obliqua sembra accarezzare ogni cosa con una profondità particolare, come se volesse aprirsi un varco nella nostra anima per suggerirci l’ignoto, l’inconfessabile – un segreto che nessuno mai potrebbe o vorrebbe rivelarci. A giugno, niente di tutto ciò è possibile.
Adesso, però, dopo una giornata di sole splendente, è arrivata la pioggia. Mentre sto scrivendo, avverto il suo canto sulla strada – voce suadente, messaggera di pace, di silenzio, di profondità. Sono felice della sua compagnia, felice che abbia spezzato questo tardo pomeriggio, perché c’è sempre un velo di mistero nella pioggia che compare d’improvviso, insistente e decisa, quasi fiera di aver travolto l’immota luminosità dell’inizio di giugno.
Poi c’è il giardino. Raccolto, quasi dimenticato, in silenziosa attesa. Il giardino dei pensieri che non troveranno mai voce, dei segreti che resteranno tali, dei sogni che nessuno ha intenzione di ascoltare. Il giardino entro cui trovare pace, il giardino che custodisce ogni parola, il giardino che non tradisce. E non importa la stagione: che sia autunno o primavera, inverno oppure estate, il giardino resta lì, muto e costante, disponibile e comprensivo anche quando è spoglio, sferzato dal vento gelido o ricoperto di candida neve. Approdo sicuro dopo troppe fatiche, incantesimo dorato in un mondo privo di magie.
(Il dipinto nell’immagine è In giardino, di Plinio Nomellini)
Ottobre è un racconto, narrato a voce sommessa in un salotto tranquillo, vicino a una finestra aperta sull’invisibile. Ottobre è l’anima che parla, la verità che chiede di essere ascoltata, la storia di ciascuno che si dipana con delicatezza, mentre la sera avvolge e comprende, incanta e seduce.
Ottobre è un diario: pagine ingiallite e infinite parole, strani discorsi a percorrere il tempo, a indicare sfumature, a illuminare angoli scuri. Ottobre è un racconto segreto, una porta chiusa che si apre sull’eterno, una mancanza e una presenza.
Ottobre è un sentiero remoto, sogno di foglie ingiallite, di passi e di pensieri. Ottobre è la memoria che non teme se stessa; ottobre è il ricordo struggente che diventa saggezza.
Si scruta l’orizzonte nel tempo dell’attesa, si scruta l’orizzonte e si resta calmi, abbracciati dal verde e dalla luce che inonda anche i pensieri. L’unica voce è il lieve mormorio del vento, tanto cortese da celare, con garbo, turbamento e impazienza.
I fiori gialli sanno che nulla potrà più trafiggere il cuore.
(Nell’immagine il dipinto L’attesa, di Federico Zandomeneghi)
La pioggia non dà tregua. Di sera è una strana compagna, forse persino accattivante, unica sommessa voce nell’oscurità oltre le finestre.
Ma il fatto che sia marzo è già una speranza: la pioggia se ne andrà e i pomeriggi saranno carezze di luce; la pioggia fuggirà e i pensieri saranno carezze e poi luce.
Non si sa dove condurrà il sentiero, ma il sole è un invito al cammino. Nuvole bianche percorrono il cielo e osservano compiaciute.
Sarà un pomeriggio interminabile: saranno l’attesa, e la voce del vento oltre le colline, e le infinite parole che non abbiamo mai pronunciato.
(Nell’immagine, il dipinto Abetelle pistoiesi di Raffaello Sernesi)
Ho trascorso circa tre quarti d’ora a cercare immagini di dipinti ottocenteschi, perdendomi fra colori e atmosfere ma senza decidermi. In realtà avevo quasi scelto, quando una voce interiore, saggia e cortese, mi ha consigliato di fermarmi. Arriva sempre un momento in cui occorre fermarsi per riordinare le idee, recuperare la necessaria lucidità e attendere che le ombre, almeno quelle più cupe, svaniscano.
Queste giornate di fine gennaio sono sempre freddissime. Tuttavia, sembra che il gelo non impedisca ad alcuni di uscire a quest’ora: dalla strada, infatti, arrivano grida e risate. Il divertimento del venerdì sera prosegue nonostante l’inverno e il copione è sempre lo stesso. Assistendo al ripetersi dei medesimi riti, sulla medesima via e stagione dopo stagione, si ha l’impressione che nulla cambi mai. Eppure qualcosa dovrà mutare.
Gennaio se ne sta andando, terribile come sempre, col suo volto severo e gli occhi duri di chi non riesce a provare alcuna pietà. Ma quasi non l’ho vissuto perché l’ho sentito fuggire via in fretta, e l’ho guardato con freddo distacco, addirittura con una punta di disprezzo. Ormai neppure gennaio riesce a colpirmi. Questa è la prova che gli anni non sono trascorsi invano.
Le acque scorrono lente: celano imperscrutabili segreti e custodiscono gelosamente sogni e illusioni.
Qualcuno desidera parlare. Dal fondo risale una voce, cerca di farsi udire, prova a gridare; ma i fiori restano muti, immobili e trasognati spettatori del tempo che passa in silenzio.
Le acque scorrono troppo lente e il giorno volge alla fine. Se la voce riuscisse a farsi sentire, finalmente sarebbe luce.