

I balconi di camera e cucina in disfacimento. Speriamo che i lavori finiscano davvero all’inizio di aprile.
Il periodo che precede le feste natalizie è sempre caotico: si corre in continuazione, ci si muove come trottole impazzite e, spesso, non si comprende neppure il perché di tanto agitarsi. Si arriva così al benedetto 24 dicembre con ansie, paturnie di vario tipo e tanto inutile stress: si teme sempre di dimenticare qualcosa, di non essere abbastanza efficienti e di restare vittime di terribili imprevisti proprio all’ultimo minuto, quando tutto dovrebbe essere perfetto.
Ma per fortuna questo blog è uno spazio a parte, una dimensione alternativa, una casa tranquilla, un salotto in cui riposarsi e sognare lasciando fuori dalla porta gli aspetti più avvilenti della quotidianità. Perciò ho scelto, per celebrare il Natale ormai imminente, un’immagine molto ingenua e piena di colori caldi: è un Natale che non esiste e che non è mai esistito, lo so, ma Oltre il cancello è nato anche per questo, per mostrare l’impossibile.
E allora buon Natale, buone feste, buon inverno, buon tutto. 🙂
Nella società contemporanea, moderna ed evoluta – almeno così ce la raccontano – l’esistenza quotidiana prevede la ricezione di telefonate a carattere commerciale: offerte e presunte promozioni di prodotti di telefonia, di contratti per energia elettrica, gas, acqua e altro ancora.
Da almeno due anni, la società Hera, che gestisce la fornitura di acqua, gas ed elettricità in Emilia-Romagna, mi telefona per tentare di convincermi a modificare la tipologia di contratto. La mia risposta è sempre stata invariabilmente la stessa: per adesso non m’interessa. Quando sarò interessata, vi contatterò senz’altro. Naturalmente le mie parole sono inutili, visto che ormai ricevo telefonate in media una volta alla settimana: talvolta mi chiamano da Bologna, talaltra dalla Toscana, in qualche caso addirittura da un call center di Napoli. Io rispondo sempre in maniera cortese soltanto per rispetto nei confronti dei lavoratori dei vari call-center, che non hanno colpa di nulla e sono obbligati a tartassare noi cittadini, ormai ridotti soltanto al rango di consumatori, ossia al rango di polli da spennare.
Poi, ogni settimana mi chiama anche la Tim, che vuole obbligarmi a installare la fibra ottica. Anche in questo caso, io rispondo sempre allo stesso modo, come un disco rotto: per ora non m’interessa. Sarò io a richiamarvi in futuro. Ovviamente, tempo una settimana, la Tim mi richiama, cercando di convincermi con strane, imperdibili offerte di cui non può importarmi di meno, visto che il prezzo della bolletta, fatti tutti i conti, resta esattamente il medesimo.
Meno insistente e più discreto appare invece l’Olio Carli. In questo caso, dal call center mi chiamano poche volte in un anno e perciò l’Olio Carli mi è più simpatico rispetto alla società Hera e alla Tim. Però non lo acquisto.
Ecco, tutto questo per dire che rimpiango moltissimo i tempi in cui, durante la mia infanzia, non esistevano telefonate di questo genere. All’epoca, quando il telefono squillava ero contenta perché sapevo che si trattava sempre di una persona di mia conoscenza che chiamava per motivi privati. Insomma, le telefonate avevano un senso, una sfumatura affettiva o sociale che le rendeva un prezioso ponte per le relazioni con gli altri. Nessun estraneo telefonava per cercare di vendermi un prodotto.
E siccome sono stressata a causa di tanti impegni, tutto questo squillare di telefoni e telefonini, tutta questa continua connessione col mondo intero, tutta questa urgenza di dover dare risposte immediate, di dover decidere in meno di dieci secondi, di dover lottare contro tutto e contro tutti, mi fa sorgere il prepotente desiderio di andare a vivere a Rocca Cannuccia, rompendo del tutto con la cosiddetta civiltà. Poi, però, anche a Rocca Cannuccia avrei il telefono, e allora sarei perseguitata anche lì dalle innumerevoli società commerciali che trascorrono il loro tempo cercando di vendere prodotti e contratti. Non se ne esce.
Ieri un mio conoscente, chiacchierando con me di vari argomenti, ha detto di provare un enorme senso di colpa perché, in questo periodo, avverte dentro di sé il desiderio di abbandonare tutto e di fuggire, per starsene da solo e in ozio.
A mio parere, non bisognerebbe sentirsi in colpa quando certi impulsi ci colpiscono con tanta forza: è evidente, infatti, che alla base della volontà irrefrenabile di staccare violentemente dalla propria quotidianità vi siano motivi seri. Forse a volte tali motivi non sono tutti consci, ma esistono. Però, anche se non bisognerebbe, è normale avvertire il peso della colpa perché ciascuno di noi, nella vita quotidiana, è sottoposto a una fitta trama di doveri e di relazioni ineludibili.
So di aver scritto un’ovvietà. Però credo che talvolta, schiacciati come siamo dai troppi impegni dovuti a uno stile di vita eccessivamente frenetico, dimentichiamo persino le ovvietà, ossia il fatto che né il nostro corpo né la nostra mente possono sopportare troppo a lungo grandissimi stress. In una società dominata, in buona parte, da un forte individualismo e da un’accesa e talvolta feroce competizione, nonché dalla necessità di non fermarsi mai, spesso ci si sente in obbligo di eccellere, di mostrarsi sempre al meglio delle proprie possibilità, di apparire infaticabili. Così può poi capitare che qualcosa in noi si rompa.
Per evitare di arrivare a un punto di non ritorno, dovremmo sforzarci di accettare anche i nostri umanissimi limiti: non possiamo sempre fare tutto e bene, non possiamo fare in ventiquattro ore ciò che bisognerebbe fare in quarantotto. Sono altre grandi banalità, però a volte le nevrosi nascono dal dimenticarle.