Ero in vacanza in montagna, qualche anno fa. Una sera, poco prima di tornare in città – credo che fosse il 29 agosto – uscii con un ragazzo che avevo conosciuto da poco. In realtà, non avevo alcun desiderio di uscire con costui, ma non volevo passare per antipatica, altezzosa e poco socievole.
Il ragazzo in questione si presentava bene: era di aspetto molto distinto, alto, snello e assai ben fatto; inoltre, era ben vestito e parlava un ottimo italiano, senza inflessioni dialettali. Veniva dalla città anche lui ed era in montagna soltanto di passaggio. Chiacchierando del più e del meno, venni a sapere che era un ingegnere, che aveva frequentato il liceo scientifico e che stava lavorando ad alcuni progetti riguardanti il suo lavoro. Ricordo che parlammo anche dei tempi del liceo, dello studio del latino, di certi docenti strani e altri argomenti simili. Tutto bello, vero?
E invece no. Se pensate che stia per raccontare una storia graziosa, magari attraversata da qualche venatura di romanticismo o di raffinato umorismo, siete incautamente ottimisti. Non appena, infatti, andammo in pizzeria, il tizio in questione iniziò a parlarmi di soldi, di investimenti, delle sue case di proprietà, delle proprietà dei suoi parenti, dei suoi progetti per acquistare non ricordo cosa e altre simili amenità. Io rimasi allibita e cominciai subito a fremere, odiando me stessa per aver accettato l’invito di costui. Se c’è una cosa, infatti, che detesto al di sopra di tutto è sentir parlare di beni materiali quando mi trovo a cena o sto conoscendo qualcuno o mi sto svagando. Anzi, in generale, non tollero proprio chi trascorre tutta la vita a parlare di beni mobili e immobili. E così, in quel frangente, per evitare di interloquire in maniera acida tentai di fargli cambiare argomento. Per tutta risposta, il tizio mi indicò un uomo, seduto non molto distante e con la faccia da cafone, dicendomi che era un suo amico assessore che lavorava in comune. Poi, dopo avermi edotta sul politico-cafone, ricominciò a parlarmi di una sua casa al mare e andò avanti così a lungo, mentre io tentavo di conservare la calma e continuavo a insultarmi mentalmente per essermi cacciata in una situazione simile.
Terminato lo sfiancante rito della pizza, uscimmo dal locale e andammo a fare una passeggiata lungo la via principale del paese, in quel momento molto tranquilla. Siccome avevo ben compreso che individuo fosse, non rimasi stupita quando mi chiese di mostrargli il mio telefonino: voleva vedere, infatti, di che marca fosse. Dopo questa azione intelligente, e mentre chiacchierava raccontandomi alcune strane vicende di un suo amico del quale non poteva importarmi di meno, raggiunse l’apoteosi: fece un rutto. Sì, avete capito bene: l’ingegnere raffinato e ben vestito ruttò senza vergognarsene, perché continuò a parlare come se niente fosse.
Credo sia inutile descrivere lo stato della mia faccia in quel momento. Ricordo che cercai di trovare una scusa per tornarmene a casa prima del previsto, ma ero così confusa e sbigottita che la mia mente non riusciva a inventarsi nulla di decente. Il soggetto continuò così a parlare tutto giulivo e, a un certo punto, cominciò addirittura a ruttare ogni tre parole. Lo giuro, non sto esagerando: parlava e ruttava nello stesso tempo con invidiabile disinvoltura. A questo punto, riuscii a trovare una scusa plausibile per darmi alla macchia: dissi a cotanto suino che il giorno dopo sarei dovuta partire – cosa peraltro vera – e che perciò dovevo tornare subito a casa a fare le valigie e le pulizie di rito. Il suino, però, ebbe persino la faccia tosta di insistere a lungo, dicendo che dovevo rimanere lì con lui, che non c’era alcun bisogno che tornassi subito a casa e che sarebbe stato bello se il giorno dopo fossi andata con lui in gita a un certo castello situato nelle vicinanze. Ovviamente io fui irremovibile e, trattenendo a stento quello che avevo in corpo e che gli avrei volentieri sbattuto in faccia, lo lasciai con gioia, sentendomi libera e salva.
E a voi sono mai capitati incontri raccapriccianti o anomali?