Dopo circa venti giorni d’assenza causati dal gran caldo, ricomincio ad aggiornare il blog con regolarità. Gli argomenti non mancano mai, anche se non è facile sceglierli. Ma siccome siamo in piena estate e agosto è un mese in cui è impossibile essere o sentirsi troppo seri, l’istinto mi induce a scrivere frivolezze. Ieri una mia conoscente, in vena di chiacchiere da salotto, mi ha chiesto quando ho ricevuto per la prima volta un invito da parte di un ragazzo. Il cosiddetto primo appuntamento, insomma. E allora, trattandosi di un argomento leggero e spensierato, lo riporto sul blog.
Ebbene, la prima volta in cui ricevetti un invito in piena regola fu alla tenera età di dodici anni. Accadde a scuola, durante l’ora di matematica. Un mio compagno di classe, che sedeva nel banco davanti al mio, si girò d’improvviso e, con un sorrisetto furbo, mi disse: “Perché non usciamo insieme, un pomeriggio, per andare a passeggiare in centro e comprarci un gelato?”. Io rimasi muta e con gli occhi sbarrati, incredula e sbigottita. Poi, siccome all’epoca non usavo mezzi termini, gli risposi torva: “Ma sei pazzo?”. E lui, di rimando, disse un po’ seccato: “Ecco, ho capito! Se hai paura a uscire da sola con me, facciamo venire anche Paolo con la tua amica Isabella e usciamo in quattro!”. Paolo, che era seduto nel banco vicino a lui ed era più morto che vivo, aprì con fatica gli occhi e borbottò qualcosa di incomprensibile. Sì, perché a scuola Paolo trascorreva tutto il tempo a dormire – fisicamente, non metaforicamente – ed era assai raro che comprendesse un discorso nella sua interezza. Anzi, la cosa divertente è che i due – il mio ‘corteggiatore’ e Paolo – stavano sempre insieme proprio perché estremamente diversi: uno vivacissimo, iperattivo, sfacciato e quasi delinquente, e l’altro sempre mezzo addormentato, passivo, bisognoso di qualcuno che lo spronasse a muoversi.
Ora non ricordo più cosa dissi esattamente a proposito dell’idea di uscire in quattro; ricordo solo che declinai l’invito senza troppa cortesia. E non fui cortese perché costui, in realtà, essendo in piena crisi ormonale, tendeva a molestarmi parecchio. E allungava un po’ troppo le manine, cosa che io non tolleravo. Aveva anche preso l’abitudine di telefonarmi tutti i giorni alle 13:15 circa, ossia appena arrivati a casa dopo la scuola. Mi chiamava proprio mentre iniziavo a mangiare: non facevo neppure in tempo a inghiottire il primo boccone che il telefono cominciava a squillare e costui mi chiedeva se avessi fatto i compiti. Ora, come chiunque può comprendere, era impossibile che io li avessi fatti; ma ovviamente si trattava di una scusa per chiamarmi. Lui poi non aveva alcun problema con i compiti scolastici, anzi, aveva eliminato il problema alla radice, visto che non studiava, non scriveva, non apriva i libri. Alle 13:30, dopo aver mangiato, correva subito nella nostra parrocchia perché lì c’era il campo sportivo e poteva giocare a calcio, oltre a fare altre cose, cioè disturbare il suo prossimo, attività nella quale era un autentico campione.
Al di là di ciò, il dato interessante è che un tipo così vivace e sfacciato fosse attirato da una come me: io, a quell’epoca, ero silenziosa, riservata, sognatrice e tranquilla. Certo, sapevo essere vivace anch’io, ma con modalità del tutto differenti dalle sue. Perciò fui molto infastidita dalle attenzioni di questo soggetto tanto scatenato.
E voi ricordate ancora il primo appuntamento dato o il primo invito ricevuto?