
Ciascuno ha il proprio autunno, quello che avverte dentro quando l’estate s’addormenta. L’autunno muta a seconda di chi se lo sente addosso, un abito viola che non si addice a tutti; l’autunno muta a seconda dei giorni, degli umori contingenti, dello sguardo che ci concedono gli altri passo dopo passo.
Allora l’autunno può essere sontuoso, da mille colori avvolto, come una tavola imbandita a festa – e broccati d’oro e porcellane dipinte a mano. Altre volte, l’autunno è l’appassire lento della vita, la luce sfinita che resiste a stento e la capacità di accettarla, quell’agonia, e quelle ombre tetre di saggezza infinita pervase.
Convivono, d’autunno, lo splendore e il declino, le gioie intense e le malinconie improvvise: è il mistero profondo dell’esistenza, capire che ci siamo e non dovremmo esserci, che l’equilibrio è instabile, che i rami prima o poi si spezzano.
Ciascuno ha il proprio autunno, l’autunno che muta di giorno in giorno. Ciascuno lo sogna di nascosto, agli angoli di strade vuote, soltanto da fantasmi popolate; ma non sa dirlo, no – non osa dirlo.