Poi capita che qualcuno se lo chieda. 😆

Loro sono i Rimbamband, un quintetto comico pugliese in viaggio in Trentino per alcuni spettacoli. Qui si esibiscono in una gustosa parodia di Salvini che citofona in cerca di spacciatori.
Ieri è stata una giornata grigia che più grigia non si può, color antracite, scurissima e disperata. L’ingresso dell’inverno, insomma, con tutte le sue caratteristiche più dure. Così, per cercare di adattarsi alla stagione, conviene divertirsi un po’ e sorridere.
Liceo classico, primo anno, compito in classe di latino. Il mio amico Andrea, al termine del compito, volle controllare con me la sua traduzione. C’era, in quella versione, una frase facilissima che chiunque avrebbe saputo tradurre senza dizionario; tuttavia, nonostante ciò, il mio amico si scatenò in una traduzione creativa che non ho più dimenticato. La frase era questa: Pompeius hastam iecit. Traduzione corretta: Pompeo scagliò la lancia.
Come ho detto, la frase era di una semplicità estrema – soggetto, verbo e complemento oggetto. Ma il mio amico, tutto giulivo nonché disinvolto, se ne uscì con questa traduzione: a Pompeo l’asta gli si avvinghiava intorno. Impossibile descrivere la mia reazione dopo aver sentito questo capolavoro: so solo che quasi mi piegai in due dalle risate, mentre Andrea, per nulla sconvolto dall’errore commesso, rise a crepapelle insieme a me. Beata gioventù!
E voi avete ricordi di scuola particolarmente buffi?
Riemergo faticosamente dopo alcuni giorni di malattia: febbre, dolori articolari molto forti, mal di gola e raffreddore, con conseguenti notti insonni, abbattimento e debolezza. Insomma, non ero in condizioni tali da poter scrivere in maniera decente.
Sono le 19:03 e, guardando fuori dalla finestra, mi accorgo che la sera sta calando. Provo uno strano effetto perché mi sembra che l’estate, con le sue troppe ore di luce, sia finita soltanto ieri. In realtà, l’autunno è cominciato da un po’ e ottobre è il mese delle ombre che avanzano senza sosta, mute ma costanti nel loro incedere fuori e dentro di noi.
Di ottobre, fra le altre cose, mi piacciono le serate lunghe, quelle serate in cui si avverte il desiderio di starsene chiusi in una stanza a pensare, scrivere, divertirsi nel modo in cui si preferisce, e ci si sente stranamente cullati dall’oscurità che fuori, oltre le pareti, avvolge la città tutt’intorno. L’oscurità che spegne i clamori, che calma gli animi, che tutto rasserena. E ottobre come una porta aperta verso l’invisibile e verso le nostre profondità più inaccessibili.
Domani ricomincerà la settimana e ci si dovrà nuovamente abituare ai consueti ritmi. Allora è meglio ricominciare ridendo. Come? Semplice: basta guardare cosa può accadere a un esame universitario di storia dell’arte se lo studente è un tipo un po’ stravagante. Be’, non proprio un po’, ma molto, molto stravagante:
Una delle tante caratteristiche di Facebook è la presenza, in esso, dei cosiddetti rancorosi-social. Eh sì, su Faccialibro non abbondano soltanto i profeti intenti a dispensare pillole di saggezza alle povere pecorelle smarrite, ma c’è anche una nutrita schiera di individui che usa il mezzo per sfogare ira e rabbia verso persone come amici, ex fidanzati/e, ex compagni di scuola, parenti e affini. Che ciascuno di noi, nella vita, prima o poi provi rabbia e rancore verso qualcuno, è un dato noto; e, lasciando da parte inutili moralismi, è naturale volersi vendicare di qualche torto o volersi sfogare a parolacce. Solo che tutti questi sentimenti, senza dubbio legittimi e umani, vengono inevitabilmente banalizzati se ridotti al linguaggio tipico di Faccialibro, cioè alle solite frasette sentenziose, e possono suscitare – ahimè – qualche risata.
Il rancoroso-social si alza di mattina abbastanza torvo e, dopo aver trangugiato malamente il cappuccino della prima colazione, rischiando di soffocarsi per la rabbia che cova, si collega a Faccialibro col cellulare o con lo smart-qualcosa, e digita in fretta il pensiero che non riesce a tenersi in corpo, condividendolo generosamente con tutti gli abitanti del globo.
Alcuni esempi di frasi tipiche del rancoroso-social:
– tanto lo so che mi leggete, ma io non ho paura di nessuno! (Rancoroso appartenente alla sottospecie del coraggioso-social).
– tanto la ruota gira e quello che è capitato a me domani toccherà a voi! (Della serie: chi la fa, l’aspetti! Questo è il rancoroso jettatore)
– non credere che non me ne sia accorto/a! Ci siamo intesi, eh! (Rancoroso in salsa criptica: sa di essere su Faccialibro, sa che l’umanità lo guarda, e quindi sì, vuole che gli altri sappiano, ma anche no, che non sappiano fino in fondo)
– ci sono delle persone che fanno sempre una doppia faccia, ma io me ne frego! (e se te ne freghi, perché allora, di grazia, lo scrivi qui?)
– non farti illusioni se hai 1000 amici su Facebook! Gesù ne aveva solo 12 ed è stato tradito. (Rancoroso pessimista affetto da manie religiose)
– potete accusarmi di tutto, ma non di mentire. Io sono sempre sincero/a e perciò vi dico in faccia ciò che penso di voi! (Sì, sì, in faccia lo dici, cioè su Faccialibro)
– c’è della gente che non sa quello che dice! Ma io tiro dritto per la mia strada! (E fai bene! Pensa un po’ se tirassi storto!)
Su Faccialibro è presente anche un’altra tipologia di utente: il social-viveur altrimenti detto estroverso-patologico. Costui vuole dimostrare al mondo intero – che in effetti avverte l’esigenza di tale dimostrazione – di essere un soggetto che partecipa a tante feste, che si riunisce con caterve di amici, che trascorre l’esistenza fra un divertimento e l’altro e che ride, ride sempre, non smette mai di ridere. Allora che fa? Semplice: pubblica a raffica le foto delle cosiddette feste cui partecipa. Attenzione, però: non sto parlando di chi pubblica un po’ di simpatiche fotografie; mi riferisco a quelli che, per ogni singola festicciola alla quale partecipano, pubblicano un intero book fotografico, un’orgia incontenibile di fotografie che li ritraggono in tutte le situazioni possibili pur di eternare la magnificenza di simile riunione: foto vicino all’amico con birra in mano, poi con un bicchiere di vino e, in seguito, con un pezzo di pizza nella medesima mano; successivamente, foto con dito indice puntato verso una una specie di torta, e almeno due o tre foto ancora con il medesimo dito puntato verso i resti di un panino e alcuni tramezzini; a seguire altre foto con l’amico che gli fa le corna sulla testa e con tutti gli altri amici che, a turno, si esibiscono nel medesimo rito delle corna. Non può mancare, ovviamente, la foto clou della serata, quella in cui sono tutti sdraiati a mucchio sul divano, quasi uno sull’altro.
Ecco, dopo aver visto un centinaio di foto di questo tipo, sorge il sospetto che al social-viveur o estroverso-patologico non interessi nulla della festa in sé, ma che vi abbia partecipato al solo di scopo di fare le foto per postarle poi su Faccialibro.
L’estroverso-patologico non teme di mostrarsi Urbi et Orbi nella propria intimità. Ne ho visto uno – lo giuro, non sto mentendo – sdraiato sul suo letto in pigiama, coi piedoni in primo piano e alcuni piatti di vari cibi accanto a sé, anch’essi sopra al letto; e poi, in un angolo, la visione mistica: una porta aperta sul bagno e, in bella vista, il trono, altrimenti conosciuto come water.
Una delle caratteristiche più divertenti di Facebook è, a mio parere, la presenza di alcuni soggetti che, elettrizzati dalle loro bacheche, dispensano all’umanità consigli in salsa mistico-religiosa o, più genericamente, spirituale: si tratta dei soggetti da me ribattezzati profeti-social. Costoro scrivono brevi sentenze, con tono sicuro e assertivo, sentendosi investiti da un ruolo fondamentale: indicare la via alle pecorelle smarrite, mostrare il sentiero della Verità, convincere che qui c’è Lui (no, non Dio in persona, ma il profeta-social) che c’informa ogni giorno su come sia facile procedere nel difficile sentiero dell’esistenza. Il problema di questo sentenziare è che argomenti tanto profondi e delicati, se ridotti in pillole o frasette da baci Perugina, suscitano a volte il sadico desiderio di ribattere senza pietà.
Il profeta-social scrive con invidiabile puntualità di mattina, aggiornando in fretta il suo status, per far sì che gli amici di Faccialibro non perdano le sue sublimi sentenze. D’altra parte, in quanto profeta, deve pure aiutare l’umanità indicandole la retta via, no? Ebbene, il profeta-social, in genere immortalato in foto che lo mostrano di fronte, impettito e spesso pure con la cravatta, se ne esce tutto giulivo con frasi di questo tipo:
– vivi questo giorno meraviglioso come un dono inestimabile ! (se questo giorno sarà meraviglioso, saprò dirtelo stasera. Adesso mi sembra un po’ presto per simili valutazioni, ti pare?).
– Dio ti ama ! Sappilo! (per fortuna! Non oso pensare cos’altro mi potrebbe accadere se mi odiasse pure!).
– non lasciare che la tristezza prenda il sopravvento! (visto che ci tieni tanto, ci proverò. Sull’esito di tanto sforzo, però, ammetto di provare qualche dubbio).
– ricordati che non devi mai perdere la speranza ! (ma io me ne ricordo, credimi. Però è la speranza che, da sola, ogni tanto se ne va).
– devi sempre ascoltare il tuo cuore! (lo ascolto, lo ascolto: infatti sto proprio sentendo ora il mio solito attacco di tachicardia).
– lasciati andare come una piuma al vento! (no comment! A tutto c’è un limite).
Peccato aver dimenticato altre chicche d’inestimabile valore, ma vabbe’, ce ne faremo una ragione.
Avrei voluto scrivere un post serio, ma non riesco a farlo perché sto ridendo. Ho saputo che, su Facebook, una persona che conosco solo di vista ha pubblicato l’immagine delle radiografie dei suoi polmoni, peraltro sanissimi. Che uno sia libero di pubblicare una cosa simile è un dato che non metto in dubbio: non è contro la legge mostrare alcune lastre e si tratta d’immagini del tutto innocue. Per certi versi, possono anche essere simpatiche, considerando soprattutto che ciascuno ha i propri gusti e magari c’è chi considera interessanti o divertenti le lastre dei polmoni altrui. Ammetto che la mia naturale riservatezza mi è d’ostacolo per la comprensione di un simile fenomeno; tuttavia, trattandosi di un sentire soggettivo, lo lascio da parte e mi concentro su altro: questa faccenda, infatti, ha stimolato la mia fervida fantasia e non riesco a trattenermi.
Seguendo senza indugio la via aperta dalla pubblicazione delle lastre e conducendola fino alle estreme conseguenze, si potrebbero anche mostrare, in primo piano e con entusiasmo, le foto dei propri denti del giudizio, appena estratti con dolore dalla carne viva e tutti sanguinanti; e che dire della possibilità di pubblicare con gioia la foto della propria cistifellea, asportata da poco e messa a figurare in bel vasetto di vetro? C’è poi qualcuno interessato a osservare, in formato gigante, le immagini delle tonsille appena tolte a un bambino di sei anni? E dopo simili, profondissime domande, smetto di scrivere e vado a riprendermi.
Correre fra l’erba e poi riposare, lasciarsi accarezzare dal sole tiepido e ricordare l’adolescenza, per catturare brevi intervalli di risate e di spensieratezza. Anche questa è primavera: un sentiero colmo di primule e viole, che unisce le memorie d’un tempo lontano e la profonda magica quiete del presente.
(Nell’immagine il dipinto Ragazza sul prato, di Federico Zandomeneghi)
Ho trascorso circa tre quarti d’ora a cercare immagini di dipinti ottocenteschi, perdendomi fra colori e atmosfere ma senza decidermi. In realtà avevo quasi scelto, quando una voce interiore, saggia e cortese, mi ha consigliato di fermarmi. Arriva sempre un momento in cui occorre fermarsi per riordinare le idee, recuperare la necessaria lucidità e attendere che le ombre, almeno quelle più cupe, svaniscano.
Queste giornate di fine gennaio sono sempre freddissime. Tuttavia, sembra che il gelo non impedisca ad alcuni di uscire a quest’ora: dalla strada, infatti, arrivano grida e risate. Il divertimento del venerdì sera prosegue nonostante l’inverno e il copione è sempre lo stesso. Assistendo al ripetersi dei medesimi riti, sulla medesima via e stagione dopo stagione, si ha l’impressione che nulla cambi mai. Eppure qualcosa dovrà mutare.
Gennaio se ne sta andando, terribile come sempre, col suo volto severo e gli occhi duri di chi non riesce a provare alcuna pietà. Ma quasi non l’ho vissuto perché l’ho sentito fuggire via in fretta, e l’ho guardato con freddo distacco, addirittura con una punta di disprezzo. Ormai neppure gennaio riesce a colpirmi. Questa è la prova che gli anni non sono trascorsi invano.