Quest’immagine rimanda a un paesaggio diverso dalla realtà. Oggi, infatti, il cielo era azzurro e soleggiato nonostante il freddo, tanto da sembrare un bizzarro presagio di primavera. Ma gli alberi spogli, in fila lungo la strada e nel parco, parlano dell’inverno appena iniziato.
A volte, prima di cena, m’immergo nell’oscurità del parco. Basta poco: scendo, esco dal portone, svolto a destra ed è fatta. Lungo il sentiero, pochi lampioni accesi, rarissimi passanti, il tempo per pensare – e per dileguarmi nel buio.
Il parco è piccolo, pochissimi minuti e arrivo proprio là, dove voglio. Arrivo in quella strada che non so definire, che mi sembra quasi fuori dal mondo; quella strada cui non ho pensato per tanti lunghi anni, quella strada che credevo dissolta nella nebbia del tempo. Scomparsa per sempre, forse persino disprezzata.
Invece è lì, eternamente immobile, identica a se stessa nonostante le troppe stagioni trascorse una dopo l’altra. Quando l’ho rivista per la prima volta, lo scorso aprile, è stata una rivelazione: come tornare d’improvviso a un passato mai sepolto, come se tutti gli anni trascorsi fossero stati soltanto un estenuante preludio a questo ritorno. Come se quella strada mi aspettasse. Perché quella strada è un passaggio, un collegamento.
L’ho detto: è rimasta la stessa. Assomiglia a un borgo rurale, con le sue casette piccole e silenziose e quelle insolite curve, quelle strane svolte che sembrano entrarmi dentro. Le curve, la breve discesa, alcune villette; e poi la via in cui trascorsi la mia infanzia. Tutto come se non l’avessi mai lasciato.
E mentre cammino, mentre stupita affronto quelle curve e persino l’asfalto sembra volermi parlare, rivedo soltanto due stagioni: l’inverno e la primavera. Non ne esistono altre. Rivedo l’inverno e torna l’infanzia, rivedo la primavera a torna l’inizio dell’adolescenza. Bastano due curve, due brevi svolte per vedere. E per sapere.
Intanto, buon anno a tutti.