Niente è più certo che nessuno può uscire mai da sé per identificarsi immediatamente con le cose diverse da lui; tutto ciò di cui egli ha conoscenza sicura, quindi immediata, si trova dentro la sua coscienza.
Così scrive Arthur Schopenhauer (1788-1860) nella sua opera più famosa, Il mondo come volontà e rappresentazione. Le parole citate sono riferite al problema della rappresentazione, ossia riguardano la teoria della conoscenza. Io, togliendole dal loro contesto, me ne approprio per parlare d’altro.
Uscire da se stessi, cioè da quel groviglio inestricabile formato da indole, predisposizioni personali, influenze familiari e ambientali, condizioni economiche e culturali – groviglio che fonda la nostra personalità tutt’intera – è difficilissimo. Talmente difficile che spesso si stenta a comprendere l’altro e ci si lascia andare a giudizi affrettati e superficiali. Le nostre idee, le nostre convinzioni, spesso maturate soltanto in base a un automatismo chiamato abitudine, ci appaiono come le uniche giuste. I nostri valori, i nostri stili di vita, le nostre priorità ci sembrano spesso sacri o tali da non poter essere messi in discussione. Perciò valori, stili di vita e priorità altrui ci appaiono spesso deplorevoli o censurabili o incomprensibili. E così, a volte, diamo giudizi rapidi e sciocchi sentendoci dalla parte della ragione.
A salvarci da questa tendenza, cui nessuno di noi è immune, è soltanto la capacità di riflettere con calma, capacità quasi sempre frutto dell’educazione e dello studio, cioè dell’allenamento mentale. Più si è abituati a pensare, a osservare ogni questione in tutta la sua complessità o da molteplici punti di vista, più si diventa dubbiosi. Ma non si tratta del dubbio che, negativamente, paralizza; si tratta piuttosto del dubbio che non ci spinge a giudicare in maniera superficiale e può renderci persino caritatevoli verso gli altri. Un po’ più buoni, insomma.
Però riflettere, cioè pensare in maniera approfondita, è difficile. Bisogna essere disposti e, nel contempo, allenati a farlo, e l’allenamento costa fatica, dolore, ansia, oltre al rischio di dover mettere in discussione il proprio sistema di credenze.
Sebbene sia faticoso, vale la pena fermarsi a pensare lentamente prima di giudicare troppo in fretta. Soprattutto prima di giudicare in fretta le esistenze altrui. Nessuno di noi può uscire così tanto fuori da se stesso da potersi identificare con i pensieri, i sogni, le aspirazioni, i traumi, i dolori, le esperienze altrui. La consapevolezza di questo limite può diventare uno stimolo per evitare di cadere in eccessi di superficialità e per cercare di migliorarsi. Senza diventare perfetti, è ovvio, perché la perfezione non appartiene a questo mondo.
(Nell’immagine il dipinto Riflessione, di Federico Zandomeneghi)