Epoca: molti anni fa. Contesto ambientale: stazione di Modena, pianura padana, mattina di novembre nebbiosa, grigia e umida. E al binario tre, quello dedicato ai treni che arrivano da nord e vanno verso sud, una massa di pendolari di ogni età, assonnati e infreddoliti, in attesa del treno da Milano per Bologna. In questa situazione non troppo allettante ero presente anch’io (figurarsi!), muta, ferma e con un solo pensiero in testa, l’unico superstite a quell’ora della mattina e con quel clima: la speranza che il treno non fosse in ritardo.
Ovviamente il treno giunse in ritardo (be’, mi sembra giusto). A quel punto, com’è tipico in simili frangenti, tutti si accalcarono verso le porte, desiderosi di salire in fretta per avere almeno la consolazione di stare un po’ al calduccio prima di arrivare a Bologna. Peccato però che le porte del treno fossero bloccate. I poveretti che dovevano scendere cercavano in ogni modo di aprirle dall’interno, ma non c’era niente da fare. A un certo punto vidi un ragazzo, poco distante da me sul binario, avvicinarsi a una delle porte: era vestito alla meno peggio, chiaramente infreddolito, spettinato e con lo sguardo truce, stile cattivo-del-west. Guardando i passeggeri che, sopra al treno, non riuscivano ad aprire per scendere, cominciò a insultarli pesantemente (le sue parole sono irripetibili) dando forti pugni alla porta.
La cosa buffa è che ho rivisto questo individuo lo scorso inverno, in una gelida mattina di gennaio in cui mi trovavo alla stazione in partenza per Bologna, naturalmente. L’ho riconosciuto nonostante fosse trascorso molto tempo dall’episodio degli insulti a porte chiuse, perché aveva ancora l’aria arrabbiatissima, come se gli fosse rimasta sul viso da sempre, e i capelli scuri, ora un po’ brizzolati, tutti spettinati.
Ebbene, una volta arrivato il treno siamo saliti in fretta e, orrore degli orrori, ci siamo accorti che era più gelido del binario che avevamo appena lasciato: i riscaldamenti o erano chiusi o erano rotti; in ogni caso, avevamo davanti a noi la prospettiva di un viaggio di venti minuti al gelo polare. Dopo essermi seduta con l’animo rassegnato al mio triste destino, d’improvviso ho sentito una bestemmia gridata a voce fortissima e ho visto entrare il soggetto spettinato, che ha continuato a urlare a pieni polmoni bestemmie irripetibili lamentandosi per il freddo dello scompartimento. Morale: chi non muore si rivede.