Standa e Upim: chi le ricorda?

Quando non esistevano ancora i grandi centri commerciali e i rapidi acquisti online erano soltanto un miraggio, noi italiani frequentavamo in massa i magazzini Standa e Upim. Non erano soltanto luoghi di acquisto, ma un vero stile di vita e, soprattutto, un passatempo a costo zero. Per dirne una, i bambini si divertivano ad andare su e giù sulle scale mobili, facendo dannare i propri genitori.

E poi c’erano i vari reparti, davvero tanti: quello dei giochi, quello dei vestiti, gli accessori per la casa, i ninnoli natalizi, tazze, tazzine, libri, quaderni, dischi e CD. Succedeva, allora, che vi si andava anche soltanto per curiosare, per valutare la pertinenza di un acquisto, per confrontare stili e oggetti. A volte, specialmente se si viveva in provincia, ci si dava persino appuntamento davanti alla Standa o alla Upim, perché erano punti di riferimento assoluti, luoghi che tutti conoscevano e frequentavano. “Dai, c’incontriamo alle tre davanti alla Standa” era quello che ogni sabato, finite le lezioni a scuola, dicevamo io e la mia amica Marzia per incontrarci nel pomeriggio.

A Modena la Standa era nel cuore del centro storico, sotto ai portici del collegio, e perciò non esisteva persona che non vi entrasse. Poco lontano, all’angolo fra via Emilia e corso Canalgrande, c’era l’Upim, anch’essa presa d’assalto in ogni momento della giornata. Come sempre avviene in questi casi, esistevano due fazioni: chi preferiva la Standa e chi l’Upim. Ma quasi nessuno era fedele all’una o all’altra, perché, durante il giro di rito in centro, la noia spingeva molte persone a frequentarle entrambe.

Adesso, qui a Modena, al posto dell’Upim c’è Mango e al posto della Standa c’è lo store Benetton-Sisley.

E voi ricordate questi due vecchi magazzini, come li chiamavamo allora?

Ai margini della città

A ottobre ho scritto in alcuni commenti che sarei tornata qui a novembre. Ho mantenuto la promessa: stamattina ho preso al volo l’autobus 5 per raggiungere il Parco dei Caduti della Fanfara Olandese, più comunemente noto come parco di via D’Avia, là dove la città improvvisamente sfuma per lasciare spazio alla campagna.

Lo scorso ottobre ero stata colpita da un bel viale di questo parco. Allora era ancora molto luminoso e verde, mentre adesso i toni sono mutati e si respira l’atmosfera novembrina, fatta di cielo irrequieto e sfumature di colori intensi. Ecco il lungo viale:

A novembre i parchi non sono mai affollati, ma sprofondano in un’affascinante zona grigia fatta di solitudine e di mistero. Questa mattina ho incontrato pochissime persone, qualche coraggioso amante del silenzio e del freddo autunnale.

Fuori dal parco, in via Don Zeno Saltini, sono stata accolta dalla meraviglia del giallo e dell’arancione:

Mi sono spinta oltre, verso la campagna. Ma questa zona è abbastanza squallida, almeno per i miei gusti. Il piccolo canale è maleodorante e pieno di nutrie che escono allegramente sui campi. Ho preferito girare i tacchi e tagliare la corda subito, per dirla in maniera raffinata. 😆

Meraviglie di ottobre

Disporre di un intero venerdì libero durante il mese di ottobre è una fortuna, forse persino un dono del cielo. E io non sono certo una persona che possa lasciarsi sfuggire un’opportunità di questo tipo in una meravigliosa mattina autunnale. No, nessun giro per negozi né chiacchiere al bar, ma una calma immersione nell’atmosfera del mese più bello dell’anno, fra alberi e campi e filari di viti. Non ho dovuto allontanarmi molto da casa per vivere intense emozioni, e anche questa è una fortuna, lo so – il non doversi perdere in lunghi viaggi, l’avere accanto qualcosa per cui vale la pena muoversi e camminare senza esitazioni. Mi è bastato tornare a visitare due parchi di cui avevo parlato su questo blog a fine agosto. Allora il paesaggio era quello estivo, adesso è un altro, adesso è uno splendore di colori.

Il parco di Villa Ombrosa, col suo lungo, elegante viale alberato, sembra appartenere a un’epoca lontana, di vago sapore ottocentesco. Il fatto che vi si possa accedere da tre cancelli, che di sera vengono chiusi, ne accentua il carattere solitario e appartato, e quell’aura di mistero che l’avvolge tutto. Forse il suo privilegio risiede in questo, nell’essere in parte nascosto, poco conosciuto, non molto frequentato; e allora, quando lo si attraversa, quando ci si ferma a osservare le foglie gialle che cadono adagio, si ha l’impressione di assistere a uno spettacolo riservato, proprio come se lui, il parco, ti dicesse che le foglie dei suoi alberi stanno danzando soltanto per te, per te che le sai capire e amare all’infinito.

Dal vivo il viale è più bello, ma forse qualcosa si percepisce anche attraverso queste foto:

Ho lasciato Villa Ombrosa uscendo da via Levanto, per dirigermi al parco della Resistenza. Neppure dieci minuti di cammino, nel silenzio autunnale di via La Spezia, per raggiungere quest’angolo di campagna in città. La foschia e il cielo scolorito fanno parte dell’animo buono di ottobre, quello malinconico e austero, ma sempre dolce e cortese:

Qui avviene l’incontro con le grandi meraviglie di ottobre, quei colori accesi, quasi sfacciati, che abbracciano toni stinti e dimessi, quasi a formare il senso stesso dell’esistenza, che non può fare a meno di nulla, che non può vivere soltanto di rosso o di verde, ma che tutto deve racchiudere senza timore. Lo si osservi bene, ottobre, perché c’insegna l’importanza della complessità, il suo immenso valore:

Ottobre: opaco e vivace, malinconico e allegro, inafferrabile, intenso, evocativo, generoso. Non si perda tempo, non ci si lasci distrarre da frivolezze o chiacchiere inutili, da tutto quel vociare insensato che ci rincorre ogni giorno, perché si rischia di lasciarsi sfuggire l’essenziale. Ecco, ottobre è essenziale e non merita di essere trascurato.

Dove finisce la città (2)

Toccata e fuga. Oggi sono uscita da casa alle 15 e sono rientrata alle 16:20, dopo essere stata al Parco dei Caduti della Fanfara Olandese, nella parte ovest della città, là dove l’area urbana incontra la campagna. Naturalmente ho preso l’autobus, il 5, che per fortuna passa vicino a casa mia, e ho affrontato un bel viaggetto lungo venticinque minuti.

Era da tempo che desideravo passare attraverso il quartiere Madonnina, che visitai soltanto una volta, quando avevo sei anni, e al quale si arriva percorrendo via Emilia Ovest. Non è uno dei quartieri migliori di Modena: il traffico, l’inquinamento, alcune parti decisamente degradate e la presenza della criminalità rendono quest’area un po’ meno vivibile rispetto ad altre zone della città, almeno in generale.

Sono scesa dall’autobus in via d’Avia. La strada è ordinata e pulita, piena di villette a schiera e di belle palazzine, e il parco è grande e molto curato. So che sono i volontari, per lo più anziani, a occuparsene, e il risultato è ottimo:

Come si può notare in questa parte del quartiere non ci sono tracce di degrado, ma soltanto molta quiete e belle case. Uscendo dal parco lungo via Don Zeno Saltini, la città termina la sua corsa affannosa per lasciarsi lambire dalla campagna:

Dove finisce la città

Domenica mattina, ore 9:52. Prendo l’autobus, il 3, da viale Medaglie d’oro, quartiere Sant’Agnese. La mia meta è lontana, è la fine della città, quartiere Torrazzi, area industriale e popolare. L’autobus arriva al capolinea in via Portorico dopo 17 fermate. Ma è domenica, il traffico è ridotto e così il viaggio è rapido: in meno di un quarto d’ora raggiungo via Portorico, una strada tranquilla costellata da villette con giardini e palazzine minuscole. Eccola:

Il parco dei Torrazzi è raggiungibile in fretta, all’incrocio con via Cuba. Se il parco della Resistenza è una fedele ricostruzione della campagna nella prima periferia della città, il parco dei Torrazzi è invece un tipico parco cittadino che però si estende ai margini della campagna, confondendosi con essa. Gli alberi sono belli e alti, le panchine sono nuove, i viali ghiaiati sono larghi. Il parco è molto grande e poco frequentato, un’oasi di verde ideale per chi voglia perdersi nei propri pensieri e allontanarsi dal caos cittadino. Nell’insieme, però, si respira un’aria di abbandono: qui si è davvero ai margini della città e si sente, si avverte dentro. Qualche foto:

Ecco la campagna che si dispiega accanto al parco:

Come ho già scritto altrove, io non amo le pianure perché m’infondono un gran senso di morte. E la pianura modenese non fa eccezione. Fatico a descrivere il senso di desolazione che provo di fronte a questi paesaggi, per cui evito di farlo e passo volentieri oltre. Tornata in via Portorico per prendere l’autobus, ho fotografato la chiesa di via Argentina, parrocchia di S. Anna:

In questo piccolo viaggio sono stata fortunata. La pioggia, infatti, è giunta dopo il mio ritorno a casa e renderà piacevole il mio pomeriggio di festa.

Campagna in città

Ieri, nel tardo pomeriggio, sono andata a visitare per la prima volta uno dei parchi più grandi della città: il parco della Resistenza. Mi vergogno, però l’ammetto: ho vissuto così a lungo in centro storico, circondata da ogni comodità, che per anni e anni non ho visitato le periferie, neppure quelle prossime al centro; e i parchi che frequentavo erano soltanto quelli del mio quartiere: il parco delle Rimembranze e i giardini Ducali. Tutto il resto per me non esisteva.

Adesso ho deciso di cambiare e di percorrere tutta la città quartiere dopo quartiere, compresi i tanti parchi che non conosco, alcuni dei quali sono molto grandi. Il parco della Resistenza è enorme e vi si accede, per chi abita nella zona di Buon Pastore, da strada Morane all’altezza dell’Esselunga. Negli ultimi due anni, pur frequentando l’Esselunga ogni settimana, ho sempre evitato di entrare nel parco perché ciò che vedevo dalla strada non mi entusiasmava:

Addentrandosi a poco a poco, si ha l’impressione di trovarsi in aperta campagna. E infatti è questa la peculiarità del parco, che si distingue così dai tipici parchi cittadini: nel disegnarlo si è deciso di rievocare il mondo rurale, con la presenza di vitigni, balle di fieno e sentieri attraversando i quali sembra di isolarsi dal resto del mondo.

A un certo punto sono arrivata all’uscita del parco verso via Legnano, passeggiando un po’ a caso. Può sembrare assurdo, ma il parco è talmente grande che ho avuto bisogno delle indicazioni dello smartcoso per non perdermi, considerando anche che il mio senso dell’orientamento oscilla fra il ridicolo e il patetico. Per dirne una, non sapevo neppure che esistesse una via Legnano.

Ma poi sono rientrata subito nel parco, sempre più stupita di fronte a un paesaggio di questo tipo:

La luce del tramonto regala bellezza e poesia a qualsiasi angolo di mondo:

Ed eccomi tornata al punto di partenza, verso strada Morane. Mentre camminavo, ho avuto l’impressione di riemergere da una dimensione remotissima:

Strada Morane era molto trafficata, come in un qualsiasi giorno dell’anno, anche se ho saputo immortalare Gigetto prima che arrivassero le automobili davanti al passaggio a livello. Per la cronaca, Gigetto è il trenino che collega Modena a Sassuolo e che qui passa in prossimità dell’Esselunga:

Non ho potuto visitare tutto il parco, perché non avevo tempo sufficiente a disposizione. Però ho intenzione di tornare a esplorarlo meglio per poi passare nel parco contiguo, il parco delle vittime dell’Olocausto, che è concepito allo stesso modo, ossia come un angolo rurale in città.

Il motivo per cui ieri mi sono decisa ad andare al parco della Resistenza è la curiosità nei confronti di un altro parco, il parco di Villa Ombrosa, che si trova sulla strada Vignolese, che non ho mai visto in vita mia e che, da quanto si racconta, si caratterizza per la presenza di bellissimi alberi. Da molto tempo mi sono fissata con questo parco, sebbene non ne capisca le ragioni. È molto lontano da dove vivo, ma raggiungibile attraversando il parco della Resistenza fino a via La Spezia. Credo proprio che approfitterò della relativa calma di fine agosto per visitarlo. 🤗

Verso la zona rossa

Fra poche ore Modena e Bologna entreranno in zona rossa, e forse, dall’8 marzo, tutta l’Emilia-Romagna seguirà lo stesso destino. Mi dispiace, mi pesa, mi deprime. Mi dispiace non poter uscire a passeggiare liberamente, dove desidero, dove mi conducono i pensieri del momento, certe sensazioni inaspettate, alcuni ricordi. Mi sento in prigione, mi sento in una cella senza neppure la possibilità di un’ora d’aria. Ma so che bisogna reagire e immagino che ci riuscirò grazie ai miei libri.

Nel tardo pomeriggio, sono andata in centro storico per qualche commissione e per comprare un libro prima che tutto chiuda. Così ho scattato qualche foto. Qui mi trovo alla fermata dell’autobus in via Emilia, di fronte a piazza Matteotti, probabilmente la piazza più sfortunata della città: a nessuno piace, a nessuno è mai piaciuta. Negli anni Ottanta e Novanta qui si riunivano personaggi poco raccomandabili, spesso dediti allo spaccio di droga. Poi la situazione è nettamente migliorata, sono state prese varie iniziative per rivitalizzare questo disgraziato angolo del centro, e adesso c’è anche una bella giostra per i bambini. Prima del Covid, la piazza ospitava spesso mercatini di vario genere; tuttavia continua a restare la Cenerentola del centro storico. Eccola:

Mi sposto in piazza Grande, mentre comincia a calare la sera. Mi aspettavo maggiori presenze:

Sulla piazza si affaccia anche la banca Unicredit, edificio che, trovandosi di fronte alla cattedrale, rovina un po’ l’atmosfera:

Questa è via Francesco Selmi vista dalla piazza:

Da piazza Grande si arriva anche in un’altra piazza, più piccola e modesta: piazza XX Settembre. A destra c’è sempre la banca, e il davanzale che si vede è quello su cui due simpatici umarells si fermavano spesso a giocare carte. Anni fa scrissi un post su questi personaggi. La piazza è sinistra, dove c’è il palazzo rosso:

Eccola:

Adesso torno indietro:

E qui mi fermo, perché il mio umore m’impedisce di scrivere altro.

Novembre a febbraio

Se gli alberi non fossero soltanto scheletri scuri, questa giornata di febbraio sarebbe un perfetto frammento di novembre, uno di quei giorni autunnali stanchi, esangui, che narrano di lenta dissoluzione come di un fatto ineluttabile e persino rassicurante. Febbraio è così, assume coloriture differenti in maniera inaspettata, perennemente indefinito e incerto, forse a disagio nella sua mancanza d’identità.

Quest’atmosfera inattesa, questo sussulto d’autunno affascinante e commovente, mi ha colpita con rara intensità mentre passeggiavo, stamattina, nei pressi della strada in cui ho vissuto per tanti anni, in centro storico. Mi sono ritrovata di colpo nel passato, come in una di quelle tante giornate scure che hanno accompagnato i miei infiniti passi.

Comincio con una foto che ho già pubblicato. Via Castelmaraldo ripresa da via Emilia lo scorso dicembre:

E adesso passo alle foto scattate oggi. Ho voluto fotografare via Castemaraldo partendo dall’area della movida, da cui si risale per arrivare a via Emilia:

Torno indietro verso l’area della movida, adesso molto depressa a causa del Covid. Non descrivo il caos che si creava qui nei fine settimana, e non solo, quando il Covid non c’era: il delirio totale. Come si può vedere ci sono molti locali, birrerie e affini:

Proseguendo dritto lungo via Castelmaraldo, si arriva a piazza della Pomposa, con la sua chiesetta, Santa Maria della Pomposa, di origine medievale e poi rifatta tra Sei e Settecento:

Un altro scorcio della piazzetta fuori dalla chiesa:

Decido poi di lasciare la Pomposa e di proseguire lungo via Taglio. A sinistra, mentre percorro la strada, ecco Via Ganaceto:

Vado avanti lungo via Taglio:

Adesso sto per arrivare in via Farini:

Arrivati in via Farini, troviamo la chiesa di San Giorgio, dedicata alla Beata Vergine Ausiliatrice del popolo modenese. Non sono entrata perché c’era la messa:

Via Farini collega via Emilia e l’Accademia militare, che sorge su piazza Roma. In passato la piazza era usata come parcheggio, ma adesso questo scempio è finalmente terminato:

Dalla piazza vado in Corso Canal Grande, una delle vie più importanti del centro, perché sede del teatro comunale e del tribunale:

Questo è il teatro comunale:

Scelgo di terminare questo tragitto con gli alberi di viale Muratori, alberi che parlano ancora d’inverno, di chiusura, di pace interiore, di memorie che si perdono nel tempo:

Sabato, passeggiata e centro storico

Questa mattina il clima mite mi ha spinta a passeggiare in centro storico con calma, e ne ho approfittato per scattare alcune foto. In genere mi piace fotografare quando non ci sono persone intorno; in centro, però, non è facile, specialmente il sabato, quando le vecchie strade della città sono prese d’assalto da persone in cerca di svago. Domani, poi, finiremo in zona arancione, per cui oggi i cittadini tendono a scatenarsi affollando bar e negozi. Va detto che per me, amante del silenzio e delle passeggiate solitarie, la zona arancione significa che potrò fotografare in piena libertà, perché il quartiere sarà semivuoto. Nell’attesa dunque di giornate più propizie, pubblico ora le immagini di alcune vie del centro storico.

Comincio da Rua Muro:

Passo poi in via Malatesta, parallela a Rua Muro:

Via Sant’Eufemia:

Giro a destra, lungo via Carteria:

Come si può vedere sopra, da via Carteria si sfocia in via San Giacomo. Proseguo lungo questa strada:

E la via si apre su Largo San Giacomo:

Proseguendo si arriva in corso Canal Chiaro:

Da qui vado alla chiesa di San Francesco, che ha il raro pregio di essere sempre aperta:

Esco e, di fianco alla chiesa, percorro Rua dei Frati Minori:

Per adesso mi fermo qui.