Buon Natale 2013

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Le  ultime  ore  prima  di  Natale: c’è  sempre  qualcosa  da  fare, qualcosa  da  inventare, qualcosa  da  sistemare. Ma, per  me,  i  giorni  di  festa  saranno  finalmente  un’occasione  di  calma  e  di  lentezza, un  mezzo  per  riappropriarmi  di  ritmi  più  umani  e  un  tentativo  di  vivere  il  presente  senza  pensare  ad  altro.

Intanto  guardo  quest’immagine  e  mi  rassereno: i  colori  così  vivi  e  caldi  sono  un  inno  all’ottimismo, alla  gioia, alle  speranze  più  ardite. Sono  anche  la  prova  che  l’inverno, con  i  suoi  rigori, è  un  invito  a  cercare  il  calore  nell’intimità  di  ambienti  chiusi, luminosi  e  sereni, dove  è  possibile  fare  e  pensare, riflettere  e  sognare. Senza  la  spensierata  leggerezza  della  primavera, senza  la  superficiale  frivolezza  dell’estate, senza  l’ambiguo  incanto  delle  agonie  autunnali.

E  allora  auguri. Auguri  a  chi  è  infastidito  dalla  frenesia  di  luci  e  di  regali, a  chi  si  sforza  di  sopportare  e  a  chi  desidera  soltanto  riposare.

Auguri  a  chi  ha  visto  troppo  e  a  chi  invece  sa  molto  poco. Auguri  a  chi  è  stanco  e  distratto, a  chi  non  vede  l’ora  di  partire  e  a  chi  sogna  di  restare.

Auguri  a  chi  evita  di  giudicare  in  fretta, a  chi  riflette  prima  di  parlare, a  chi  si  sente  po’  bambino  e  a  chi  sa  ridere  e  dimenticare.

Auguri  a  chi  ha  saputo  cambiare, a  chi  ama  le  aurore  e  i  tramonti, a  chi  ascolta  il  canto  della  pioggia  e  a  chi  non  si  vergogna  di  sognare.

Auguri  a  chi  sorride  agli  sconosciuti, a  chi  non  teme  il  diverso, a  chi  percorre  spazi  sconfinati  e  a  chi  si  siede,  cupo,  in  una  stanza  tutta  per  sé.

Buon  Natale, buon  inverno, buoni  sogni. 🙂

Di silenzio, di neve e di febbraio

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La  settimana  è  trascorsa  freddissima  ma  soleggiata. Non  ho  mai  amato  febbraio  perché, in  certe  giornate,  è  capace  di  uno  squallore  sconosciuto  ad  altri  mesi, di  un  nero  senza  sfumature, terribile  e  arrogante. Però, a  spezzare  questa  atmosfera, arrivano  sempre  giornate  luminose, con  un  sole  allegro  e  tenace  che  sa  già  di  primavera.

Si  dice  che  forse  domani  nevicherà. Febbraio  è  anche  questo, neve  candida  a  salutare  l’inverno  prima  della  nuova  stagione. La  neve  è  un  fastidio  per  chi  deve  muoversi, viaggiare  e  rispettare  impegni  di  lavoro,  ma  è  una  benedizione  per  chi  può  restarsene  in  casa, tranquillo, e  apprezzarla  per  ciò  che  è:  un  momento  di  pace  profonda  accompagnato  da  un  silenzio  che  chiede  di  essere  ascoltato. Un  silenzio  austero, amico, avvolgente, caldo  nella  sua  freddezza; un  silenzio  che  parla  della  necessità  di  pensare  prima  di  agire, di  frenare  gli  impulsi, di  essere  pacati  nonostante  tutto. Il  silenzio  della  neve, che  racconta  la  necessità    della  lentezza,  offrendo  così  una  lezione  di  vita.

Di solenne lentezza


Vorremmo che talvolta fosse davvero così. Vorremmo che il tempo fluisse con solenne lentezza, avvolgendo cose e persone per regalare loro soltanto pace. Senza cercare l’impossibile, senza desiderare un altro giardino e innumerevoli colline e infiniti fiori.
Senza guardare oltre, ma rispettando ciò che si ha.

(Nell’immagine il dipinto Un dopo pranzo, di Silvestro Lega)

Buon Natale, buon inverno


La settimana che precede le feste natalizie è sempre colma d’impegni e di scadenze da rispettare. A volte, si ha l’impressione che tutto questo affannarsi, tutto questo correre fra negozi, supermercati, banche e uffici vari sia solo un’inutile perdita di tempo. Eppure è un ingranaggio al quale, per diversi motivi, non ci si può sottrarre.

Ecco perché, terminato il caos dei preparativi, è piacevole lasciare da parte ansie e frenesie per immergersi completamente nell’atmosfera natalizia e invernale; è piacevole riscoprire la lentezza, non temere di lasciar vagare i pensieri liberamente, non desiderare alcun frastuono a oscurare la coscienza.

E allora Auguri a tutti: a chi è contento e a chi non lo è, a chi vorrebbe divertirsi e a chi desidera soltanto tranquillità, a chi sta bene e a chi è ammalato, a chi si sente solo e a chi crede di essere in buona compagnia, a chi è felice di appartenere a questo mondo e a chi si sente immancabilmente fuori posto.
Auguri con l’auspicio che il Natale possa assomigliare un po’ all’immagine qui sopra: tanta pace, tanto caldo splendore nonostante il gelo invernale. 🙂

La lezione


Nessuna fretta: la lentezza è indispensabile per ottenere ottimi risultati. Ma non è una semplice questione d’insegnamento, non si tratta di regalare agli altri, dall’alto del proprio sapere, cristallizzati frammenti di un’inesistente verità. Si vuole soltanto indicare qualche via, suggerire alcuni sentieri inesplorati, mostrare colori celati sotto opprimenti oscurità, far apprezzare albe e tramonti, dare voce al silenzio.

Non vi è alcuna ingenuità sottesa a simili intenzioni, ma un disegno ben preciso accompagnato dal sereno e saggio disincanto della consapevolezza: molti non coglieranno, altri si annoieranno, altri ancora crederanno di vedere ombre là dove il sole è soltanto leggermente pallido. Ma non importa. Importa il tentativo, importa l’impegno, importa che alcune suggestioni raggiungano i pochi disposti a farle proprie.

(In foto il dipinto La lezione, di Silvestro Lega)

Un vecchio filobus

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Anni fa, durante la mia infanzia, abitavo nel quartiere Buon Pastore. Per venire qui in centro storico, dove ora risiedo, c’era un mitico filobus: il sei barrato. La sua caratteristica principale era la terrificante lentezza in perfetto stile lumaca.

Il sei barrato percorreva viale Buon Pastore quasi autocompiacendosi della sua scarsissima velocità. Era sempre traboccante di umarells e rezdore prepotenti – erano terribili a quei tempi – che lo consideravano una proprietà e lo utilizzavano come salotto per conversare in dialetto ad alta voce, con una disinvoltura e una mancanza di discrezione stupefacenti.
Il sei barrato era deprimente: adatto sì ai ritmi degli anziani e della città, ma angosciante per chi aveva tutta la sana e irrefrenabile vitalità dell’estrema giovinezza.

Adesso molte cose sono cambiate, in fretta e in maniera drastica. Tempo fa mi trovavo a una fermata di viale Veneto per prendere il cinque, dovendo andare al centro commerciale Leclerc. Quando finalmente il cinque è arrivato, non si è fermato ma ha proseguito la sua corsa indifferente a noi poveri cittadini in attesa, fermi con la faccia stravolta, umiliati e ammutoliti di fronte all’autobus che correva via ignorandoci con disprezzo.
All’inizio ho pensato che l’autista fosse un pazzo o avesse fumato sostanze innominabili, ma poi, alcuni giorni dopo, qualcuno mi ha informato a proposito della cruda realtà: ormai gli autobus si fermano soltanto se i passeggeri immobili in attesa, quando lo vedono, gli fanno un apposito cenno con la manina.

Dopo aver saputo questo, ho ripensato con nostalgia al caro, vecchio e ingiustamente bistrattato sei barrato: sì, era noioso, un po’ ridicolo e quasi muffito, però aveva una sua umanità. Gli autisti erano persino soliti aspettare con pazienza i ritardatari quando li vedevano correre da lontano e sbracciarsi senza ritegno.
Quante cose sono cambiate in breve tempo!