
(Tratto da qui: https://www.facebook.com/profile.php?id=100034186196365)
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Sono uscita in fretta, nel primo pomeriggio – il cielo terso a mitigare il freddo di gennaio, e la calma distratta di questa giornata lenta, che chiude il ciclo della settimana.
E sono arrivata qui, al parco di Villa Ombrosa, un lungo viale muto a guardarmi con benevolenza, nonostante gli alberi esausti e il dormire dei rami in attesa di tempi migliori:
Come per magia – che cosa buffa! – ho incontrato subito un piccolo felino, grigia e un po’ marrone e bianca la sua morbida pelliccia; ed è nato un bizzarro dialogo umangattesco, fatto di lunghi sguardi e goffi tentativi di contatto e diffidenza mista a curiosità – quel volersi sfiorare senza riuscirci del tutto:
Era vecchietta, la gattina, bellissima, col pelo un po’ arruffato dall’età e qualche piccolo problema a respirare. Una micetta di famiglia, si vedeva, anche se libera di divertirsi dentro al parco. L’ho lasciata accoccolare sul tavolo al sole, ché di afferrare qualche raggio di vita aveva un gran bisogno, e di nutrirsi di calore, quello che troppo spesso manca, a noi e a loro:
Poi mi ha guardato dolcissima e affettuosa, sebbene un po’ impaurita. L’ho vista strofinare il bel visetto sulla panca e fermarsi in un’attesa misteriosa:
Dopo si è acquattata come soltanto i gatti sanno fare, felice della mia presenza ma pronta a fuggire in fretta, al minimo scricchiolio di foglia morta. E allora l’ho lasciata in pace a sopportare l’inverno della vita, lei, la gatta, con i suoi segreti felini e quella calma quasi ultraterrena che di paradiso parla a tratti:
C’era persino un’atmosfera quasi dorata, come se gennaio non fosse tale, come se novembre fosse tornato entrando furtivo dal cancello aperto – voleva incontrarmi, desidero pensarlo:
Per un momento – quasi eterno, quel momento – sono diventata anch’io una gatta, ferma a lasciarmi accarezzare dal sole, immobile in quel piccolo angolo di alberi e di foglie secche. Finché ho capito che dovevo tornare, che da quei cancelli dovevo uscire, che la mia via era quella verso casa. E ho ripreso la strada, via Sanremo e poi via La Spezia, per arrivare dopo poco in un parco tutto differente, senza cancelli e senza reti – non ama nascondersi, lui, e del silenzio non sa che farsene:
Ed eccolo, il parco della Resistenza a gennaio, dominato dagli umori invernali. Se ripenso alla fine di ottobre, al rosso fuoco sui filari, alle foglie screziate di toni caldi e audaci, mi sento scossa, quasi tramortita. Ma questo è gennaio e va accettato tutto – persino capito, e in parte amato:
Mi piacerebbe trovarmi in collina e abbandonarmi all’autunno interamente, fra la morbida dolcezza dei campi ondulati e i colori dei tramonti; ma vivo in città e devo accontentarmi. D’altro canto l’autunno regala piccole e grandi magie anche agli angoli più banali e monotoni, e ottobre rivela una generosità rara. Prima che questo mese finisca, prima che tanta meraviglia si arrenda allo scorrere del divenire, lascio qui qualche immagine affinché l’incanto non si perda. Le foto sono state scattate nel mio quartiere.
Viale Buon Pastore dorato e mite:
Via Padova, che mi sorprende ogni anno con la forza impetuosa del giallo sugli alberi e sull’asfalto:
Il parco vicino a casa mia, piccolo, semplice e defilato, ma capace di regalare intense sfumature, mentre il sole ci sta osservando:
E poi, inatteso, compare il simpatico tigrotto, che si guarda intorno cauto, in cerca di avventure. Un gatto è sempre un valore aggiunto, un piccolo miracolo di bellezza e di candore.
Ma soltanto io provo un gran senso di pace quando vedo un gatto che mangia o che dorme? Qui c’è il gatto Sirena che, dopo essersi rifocillato con piacere, si mette a dormire dentro a una scatola. Perché i gatti adorano le scatole, per le quali sono disposti a dimenticare anche le cucce più belle e più morbide che ci siano. Ogni tanto, l’ammetto, vorrei poter dormire anch’io dentro a una scatola.
Chi ha mai visto un gatto maschio intento a curare e coccolare il suo cucciolo? Ebbene, ecco qui un bellissimo gattone che abbraccia il suo micetto, lo pulisce e si comporta come farebbe una madre molto affettuosa. Per gli amanti dei piccoli felini questo breve video è una vera delizia.
In principio si chiamava Tigre e aveva un padrone. Poi, chissà perché, un bel giorno ha deciso di lasciarlo e di imporre la sua presenza ad Antonio, infaticabile gattaro di Acerno. Tigre è arrivato a casa di Antonio, e ha manifestato senza pudore la sua tendenza a strillare come un dannato per reclamare cibo. Perché lui non lo chiede il cibo, no: lui il cibo lo esige, lo pretende e, finché non arriva, strilla così tanto da sembrare la sirena di un’ambulanza. Perciò Antonio gli ha cambiato nome e l’ha chiamato Sirena.
Ormai il gatto Sirena è diventato una piccola star tra i followers di Antonio. Io stessa ne conosco il carattere e le peculiari disposizioni, che emergono anche nel rapporto che ha con gli altri gatti randagi di cui Antonio si occupa. Sirena, a causa dei suoi strilli, ha spesso suscitato l’antipatia di una bellissima gattina dal mantello color autunno che l’ha preso più volte a zampate pur di farlo tacere. Ma Sirena – questo va detto – ha spesso sopportato le zampate con eroica fermezza, continuando nel frattempo a strillare imperterrito. Perché lui è così: invadente, pasticcione, rumoroso, ma anche ingenuo e bonaccione. Soltanto una volta, a quanto pare, si è azzuffato con la terribile gattina, dando luogo a un groviglio di unghiate e di spettacolare ira gattesca.
Eccolo qui, il caro gatto Sirena. Va guardato e ascoltato, poverino, perché non si limita, quand’è affamato, a distruggere i timpani di chi si trova nelle sue vicinanze, ma si alza addirittura in piedi, reggendosi in perfetto equilibrio sulle zampe posteriori, pur di dare forza ai suoi intenti.
Il gatto rincorre le foglie secche sul marciapiede. Le contende (vive le crede) alla scopa che le raccoglie. Quelle che da rami alti scendono rosse e gialle sono certo farfalle che sfidano i suoi salti. La lenta morte dell'anno non è per lui che un bel gioco, e per gli uomini che ne fanno al tramonto un lieto fuoco. (Gianni Rodari, Il secondo libro delle filastrocche, 1985)
Sono stata esaudita: l’inverno, oggi, sta facendo il suo dovere. Piove da un cielo incolore, e piove con calma. Dalla finestra della sala, vedo gli alberi in fila sulla strada, rigidi e scuri, mentre il sentiero del parco, proprio qui sotto, è già invaso dall’acqua. Ma non avverto alcun sentimento di tristezza. Mi sembra persino di averli visti in sogno, quegli alberi, tanto tempo fa, un sogno a occhi aperti: ho sempre desiderato tornare qui, un giorno, a trascorrere l’autunno e l’inverno, e così è successo.
Non provo alcuna tristezza perché c’è qualcosa di nobile e dignitoso nella strada silenziosa e grigia, negli alberi senza foglie, nella severa sobrietà dell’insieme. Ci si sente in pace, protetti, in armonia col mondo – come un morbido gatto che si rifugia dentro una scatola e l’invade col suo calore.
L’ho già scritto: l’inverno ci sfida a comprendere l’importanza dell’essenziale, delle poche cose che davvero contano lungo questo cammino. Perché prima o poi, che lo si voglia o no, le foglie cadono, il cielo si fa cupo, il gelo diventa pungente, le porte restano chiuse; e, a quel punto, soltanto chi ha compreso la bellezza degli alberi spogli, e la loro tenacia, riesce a proseguire.
Vive nel palazzo di fronte e, data la bella stagione, preferisce trascorrere molto tempo all’aria aperta. Ma il cortile del suo condominio è pieno di ghiaia e senza piante, poco piacevole durante le afose giornate estive; così, svelto e silenzioso, attraversa la strada e s’infila sotto il cancello del palazzo in cui vivo io: qui, infatti, c’è un giardino con cespugli e alberi che garantiscono ombra e riparo, e lo splendido gattone se ne approfitta per sdraiarsi accanto alle piante e riposarsi a sazietà.
Bello e grasso – il tipico felino viziato e sereno -, ha un carattere estremamente aperto, dolce e socievole: appena qualcuno gli si avvicina, si sdraia con le zampe all’insù e mostra la pancia per farsi accarezzare. A volte, poi, quando apriamo il portone, lui sguscia veloce nell’atrio e ci segue fino all’ascensore, mai abbastanza pago di coccole e complimenti. Capita anche di vederlo trotterellare rapido lungo la via per infilarsi nel parco qui accanto, e lanciarsi in chissà quali avventure.
Credo che, se potesse parlare, dichiarerebbe tutto il suo amore per questa stagione.