Vacanze, fotografie e confronti

Ai miei tempi le vacanze erano, fra le altre cose, il periodo in cui fotografare diventava un rito quasi sacro, al pari dell’inviare cartoline. All’epoca esistevano le macchine fotografiche che funzionavano con un rullino, il rullino costava e costava soprattutto far sviluppare le foto; perciò non esisteva l’attuale fenomeno della bulimia fotografica, cioè la mania di fotografare tutto il fotografabile, compresa la triste pizzetta surgelata appena uscita dal frigo o il bombolone sfatto del supermercato, usato come prima colazione.

All’epoca di solito si comprava il rullino da 24 foto e allora, avendo un limitato numero di scatti a disposizione, tendevamo a discriminare, a scegliere in maniera mirata, a salvare fra i ricordi indelebili ciò che davvero c’interessava. Già questo conferiva all’atto di fotografare un sapore ormai smarrito, la sensazione di fare qualcosa di diverso dal solito, di abbastanza infrequente, e che perciò meritava attenzione e impegno. Poi, una volta fatte le fotografie, arrivava il momento tanto agognato in cui farle sviluppare nel negozio apposito, cosa che richiedeva tempo e che recava con sé la formidabile dimensione dell’attesa. Quando non si ha a disposizione tutto e subito, infatti, si vive un groviglio di emozioni e sentimenti, si avvertono dubbi, curiosità e impazienza, quel batticuore che impedisce di scivolare nell’apatia e nella noia.

All’epoca si pregustava per giorni il momento in cui avremmo mostrato le fotografie agli amici, un altro rito sacro che aveva lo scopo di ricordare le vacanze appena terminate, solennizzandole. Non si trattava, nella maggioranza dei casi, di vanità, ma era soprattutto un modo per racchiudere entro un’aura quasi sacrale il momento irripetibile delle vacanze, che avvenivano soltanto una volta l’anno e in genere ad agosto – luglio era un po’ meno gettonato.

Non c’era il web, non c’erano Instagram e Facebook, ossia mancava la possibilità di condividere gli scatti con chiunque attraverso un semplice clic. Così si portavano le foto agli incontri con gli amici e, mentre le guardavamo tutti stretti gli uni gli altri – era proprio una faccenda anche fisica – in genere passavamo il tempo a commentarle un po’, persino a spiegare perché avevamo ripreso quel certo paesaggio o ci eravamo fermati in quel determinato luogo. D’altro canto allora non si viaggiava facilmente in lungo e in largo su tutto il globo, come avviene adesso, non c’era la possibilità di acquistare infiniti pacchetti con orride vacanze last-minute e affini, per cui mostravamo curiosità e interesse per ogni spostamento, per ogni viaggio che oggi sarebbe considerato banale e modesto, o addirittura ridicolo. Poi si potrebbe parlare a lungo di chi ostenta foto esotiche su Facebook e chiacchiera, al bar, di vacanze alle Maldive, e inaspettatamente viene beccato dai conoscenti al Lido delle Cornacchie o a Monte Trecase; ma per carità cristiana stendo un velo e sto zitta.

Sono contenta delle possibilità che ci sono state regalate dal progresso: anch’io, come tutti, fotografo molto e spesso, e sono felice di poter scartare a piacimento gli scatti che non mi convincono, tutte cose che in passato mi erano precluse. Però ora non provo più le sensazioni di un tempo. Scomparsi i riti sacri delle fotografie col rullino e dell’invio delle cartoline ad amici a parenti, le vacanze hanno perso un po’ del loro colore. Almeno per me.

Ancora nebbia e oscurità

Nel post precedente ho pubblicato alcune foto scattate nella nebbia. Adesso ne pubblico altre, fatte nello stesso giorno. Sono foto che raccontano l’inverno e narrano il mistero del silenzio, la solitudine che sempre accompagna ciascuna esistenza, l’importanza del bastare a se stessi qualunque cosa accada. Nello stesso tempo evocano il bisogno di calore e la necessità di cercarlo.

Modena, quartiere Buon Pastore. Via Peretti in direzione di Strada Morane:

Via Peretti in direzione di viale Buon Pastore:

Via Peretti vista da viale Buon Pastore:

Via Solieri:

Viale Buon Pastore:

E questa è via Savani, dove ho vissuto dai cinque ai diciassette anni:

Torniamo ora nel parchetto vicino a casa mia:

Via Pagliani, svoltando a destra alla fine del parco:

E per chiunque desideri passeggiare insieme a me, ecco un breve video che ho girato verso la fine del parchetto sopra citato. Il video dura solo 57 secondi.

Quando non esistevano

Quando non esistevano gli smartphone e l’adsl, le comunicazioni erano più lente e perciò i rapporti interpersonali suscitavano alcune emozioni forse sconosciute agli adolescenti di oggi. Incontrarsi con amiche e amici, darsi appuntamenti, rendersi rintracciabili erano tutte operazioni che avvenivano senza l’eterna presenza di cellulari, whatsapp e simili. Esisteva un’intensa vita di relazione, declinata in forme differenti rispetto al presente.

Ad esempio, non c’era l’opportunità di scattare fotografie in ogni secondo della propria esistenza e di postarle, a qualsiasi ora del giorno e della notte, su Instagram o Faccialibro. E forse è quasi superfluo aggiungere che non si perdeva tempo a fotografare infinite immagini di cibi e bevande – pizzette, calici di vino, piattini di pesce e alimenti vari. Non si sprecavano i limitati scatti delle vecchie pellicole per cose di questo genere: le fotografie, infatti, erano oggetti un po’ preziosi, proprio perché non immediatamente fruibili, e guardarle in compagnia costituiva un piccolo avvenimento. Il dato interessante è che non stiamo parlando di molti anni fa.

Ecco, qualche volta è bello e fonte di calde emozioni non poter avere tutto e subito.

Immagini, blog e affini: qualche riflessione

Ieri  alcune  persone  mi  hanno  detto: se  vedo  certe  foto  su  Instagram  o  affini  mi  viene  da  ridere  e  da  fare  battutacce, mentre  se  le  vedo  su  un  blog  non  ho  la  medesima  reazione. Perché? La  domanda  è  interessante  e  allora  vale  la  pena  tentare  una  spiegazione.

Scorrendo  vari  profili  su  Instagram (e  non  solo),  mi  colpisce  l’omogeneità  di  certi  contenuti: tra  le  immagini  più  frequenti  vi  sono  quelle  che  ritraggono  cibi, vestiti, scarpe  e luoghi  di  vacanza. E  sono  tante, tantissime  le  immagini  di  questo  tipo: esistono  interi  profili  basati  soltanto  su  questo  tipo  di  fotografie. Ad  esempio, mi  capita  molto  spesso  di  vedere  persone  che  si  fotografano  i  piedi  per  mostrare  le  scarpe  che  indossano, pantofole  comprese. Naturalmente simili  immagini  si  possono  trovare  anche  nei  blog; però  l’effetto  che  producono  sul  lettore  è  quasi  sempre  o  molto  spesso  assai  diverso.

Di  fronte  alle  fotografie  di  una  persona  a  noi  estranea  che  pubblica  in  continuazione  ciò  che  mangia  ogni  giorno  o  le  immagini  delle  sue  vacanze  o  quelle  delle  sue  scarpe,  la  prima  reazione  che  si  può  avere  è  banalissima, scontata  e  prevedibile: cosa  me  ne  importa  di  ciò  che  mangi  tu? Cosa  me  ne  importa  di  vedere  il  tuo  Rolex? Che  me  ne  frega  del  pinzimonio  che  hai  mangiato  la  sera  di  Natale?

Come  ho  scritto  sopra, anche  sui  blog  si  pubblicano  fotografie  del  genere. Ma  vi  sono  alcune  differenze  importanti. A  parte  i  casi  di  blog  gestiti  in  maniera  estremamente  superficiale, le  immagini  sono  spesso  accompagnate  da  testi, magari  brevi  o  brevissimi, ma  di  senso  compiuto; in  altre  parole, nei  blog  le  immagini  più  disimpegnate  e  ‘allegre’  sono  spesso  un’occasione  per  scrivere  un  pensiero, per  poter  sorridere, per  spezzare  un’atmosfera  troppo  seria, per  prendere  in  giro  se  stessi  e  per  tanti  altri  motivi. E  se  anche, in  alcuni  casi,  alle  immagini  manca  il  testo  di  accompagnamento, resta  il  fatto  che, in  un  blog  ben  gestito,  si  trovano  sempre  foto  di  vario  tipo: Tizio  può  sì  pubblicare  le  fotografie  delle  sue  vacanze, ma  poi  pubblica  anche  post  e  immagini  di  altro  genere.

In  sintesi, nei  blog  le  immagini  sono  inserite  in  un  contesto  complesso, tale  da  conferire  loro  un  significato  che oltrepassa  l’immediatezza  del  puro  dato  visivo. Invece, le  fotografie  pubblicate  soltanto  con  qualche  tag – come  avviene  nei  social –  sono  immagini  definitivamente  cristallizzate  nel  loro  significato  letterale.  Ecco  che  allora  un  profilo  colmo  di  foto  di  scarpe  e  di  cene –  più  o  meno  sontuose  o  squallide – può  dare  luogo  a  commenti  ironici. Se  vedo  Tizia  che  pubblica  a  raffica  le  fotografie  di  tutte  le  scarpe  che  è  solita  indossare  o  dei  tanti  toast  che  mangia  a  pranzo, fatico  a  trovare  un  significato  che  vada  oltre  ciò  che  mi  è  davanti: in  questo  caso, cioè, una  scarpa  è  soltanto  una  scarpa, un  toast  è  soltanto  un  toast, niente  di  più  e  niente  di  meno. Perciò  a  volte, vedendo  alcuni  profili  del  genere,  scappano  frasi  di  questo  tipo: cosa  interessa  all’umanità  dei  toast  che  mangi  a  pranzo?

Che  poi  le  fotografie  raccontino  molto  della  personalità  di  chi  le  pubblica  e  possano  sempre  rimandare  anche  ad  altro, è  ovvio. E  qui  si  potrebbe  aprire  un  discorso  molto  articolato. Senza  contare  che, di  fronte  alle  migliaia  di  foto  di  scarpe, vestiti  e  cibi  che  popolano  i  social,  si  potrebbe  anche  riflettere  a  lungo  sui  valori  preponderanti  dell’attuale  momento  storico  e  sulla  cultura  di  massa. Ma  tralascio  questi  temi. Io  qui  mi  sono  limitata  a  spiegare  il  motivo  principale  e  più  immediato  per  cui, a  mio  parere, sui  social  network  determinate  foto  possono  suscitare  battute  ironiche, oltre  che  accuse, a  volte  giuste  e  a  volte  sbagliate, di  mero  esibizionismo.

2015: autunno in città

So  di  ripetermi, ma  non  posso  farne  a  meno: l’autunno  sta  fuggendo  via  e  io  me  ne  rammarico. Come  sempre – come  ogni  anno – ho  la  sgradevole  impressione  che  sia  stato  troppo  breve. Ma  non  voglio  insistere  su  questo  tema; preferisco  lasciare  qualche  immagine  concreta  del  mio  autunno, quello  che  ho  fotografato  nei  ritagli  di  tempo, quello  in  cui  mi  sono  immersa  durante  intervalli  troppo  brevi, sottratti  al  fluire  di  giornate  molto frenetiche.

Comincerò  da  ottobre, il  mese  in  cui  l’autunno  si  dispiega  con  estrema  dolcezza  e  sensibilità. Una  mattina  luminosa  in  Via  de’  Fogliani:

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E  poi  una  cupa  domenica  di  novembre. Senza  sole, intrisa  di  profonda  malinconia  eppure  avvolgente  e  misteriosa:

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I rancorosi-social e l’estroverso-patologico

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Una  delle  tante  caratteristiche  di  Facebook  è  la  presenza, in  esso, dei  cosiddetti  rancorosi-social. Eh  sì, su  Faccialibro  non  abbondano  soltanto  i  profeti  intenti  a  dispensare  pillole  di  saggezza  alle  povere  pecorelle  smarrite, ma  c’è  anche  una  nutrita  schiera  di  individui  che  usa  il  mezzo  per  sfogare  ira  e  rabbia   verso  persone  come  amici, ex  fidanzati/e, ex  compagni di  scuola, parenti  e  affini.  Che  ciascuno  di  noi, nella  vita,  prima  o  poi  provi  rabbia  e  rancore  verso  qualcuno, è  un  dato  noto; e, lasciando  da  parte  inutili  moralismi,  è  naturale  volersi  vendicare  di  qualche  torto  o  volersi  sfogare  a  parolacce. Solo  che  tutti  questi  sentimenti, senza  dubbio  legittimi  e  umani, vengono  inevitabilmente  banalizzati  se  ridotti  al  linguaggio  tipico  di  Faccialibro, cioè  alle  solite   frasette  sentenziose,  e  possono  suscitare – ahimè – qualche  risata.

Il  rancoroso-social  si  alza  di  mattina  abbastanza  torvo  e, dopo  aver  trangugiato  malamente  il  cappuccino  della  prima  colazione, rischiando  di  soffocarsi  per  la  rabbia  che  cova, si  collega  a  Faccialibro  col  cellulare  o  con  lo  smart-qualcosa, e  digita  in  fretta  il  pensiero  che  non  riesce  a  tenersi  in  corpo, condividendolo generosamente  con  tutti  gli  abitanti  del  globo.

Alcuni  esempi  di  frasi  tipiche  del  rancoroso-social:

– tanto  lo  so  che  mi  leggete, ma  io  non  ho  paura  di  nessuno! (Rancoroso  appartenente  alla  sottospecie  del  coraggioso-social).

– tanto  la  ruota  gira  e  quello  che  è  capitato  a  me domani  toccherà  a  voi! (Della  serie: chi  la  fa, l’aspetti! Questo  è  il  rancoroso  jettatore)

– non  credere  che  non  me  ne  sia  accorto/a! Ci  siamo  intesi, eh! (Rancoroso  in  salsa  criptica: sa  di  essere  su  Faccialibro, sa  che  l’umanità  lo  guarda, e  quindi  sì, vuole  che  gli  altri  sappiano, ma  anche  no, che  non  sappiano  fino  in  fondo)

– ci  sono  delle  persone  che  fanno  sempre  una  doppia  faccia, ma  io  me  ne  frego! (e  se  te  ne freghi, perché  allora, di  grazia,  lo  scrivi  qui?)

– non  farti  illusioni  se  hai  1000  amici  su  Facebook! Gesù  ne  aveva  solo  12  ed  è  stato  tradito. (Rancoroso  pessimista  affetto  da  manie  religiose)

– potete  accusarmi  di  tutto, ma  non  di  mentire. Io  sono  sempre   sincero/a  e  perciò  vi  dico  in  faccia  ciò  che  penso  di  voi! (Sì, sì, in  faccia  lo  dici, cioè  su  Faccialibro)

– c’è  della  gente  che  non  sa  quello  che  dice! Ma  io  tiro  dritto  per  la  mia  strada! (E  fai  bene! Pensa  un  po’  se  tirassi  storto!)

 

Su  Faccialibro  è  presente  anche  un’altra  tipologia  di  utente: il  social-viveur  altrimenti  detto  estroverso-patologico. Costui  vuole  dimostrare  al  mondo  intero – che  in  effetti  avverte  l’esigenza  di  tale  dimostrazione – di  essere  un  soggetto  che  partecipa  a  tante  feste, che  si  riunisce  con  caterve  di  amici, che  trascorre  l’esistenza  fra  un  divertimento  e  l’altro  e  che  ride, ride  sempre, non  smette  mai  di  ridere. Allora  che  fa? Semplice: pubblica  a  raffica  le  foto  delle  cosiddette  feste  cui  partecipa. Attenzione, però: non  sto  parlando  di  chi  pubblica  un  po’  di  simpatiche   fotografie;  mi  riferisco  a  quelli  che, per  ogni  singola  festicciola  alla  quale  partecipano,  pubblicano  un  intero  book  fotografico, un’orgia  incontenibile  di  fotografie  che  li  ritraggono  in  tutte  le  situazioni  possibili  pur  di  eternare  la  magnificenza  di  simile  riunione: foto  vicino  all’amico  con  birra  in  mano, poi  con  un  bicchiere  di  vino  e, in  seguito, con  un  pezzo  di  pizza  nella  medesima  mano; successivamente, foto  con  dito  indice  puntato  verso  una  una  specie  di  torta, e  almeno  due  o  tre  foto  ancora  con  il  medesimo  dito  puntato  verso  i  resti  di  un  panino  e  alcuni  tramezzini; a  seguire  altre  foto  con  l’amico  che  gli  fa  le  corna  sulla  testa  e  con  tutti  gli  altri  amici  che, a  turno, si  esibiscono  nel  medesimo  rito  delle  corna. Non  può  mancare, ovviamente, la  foto  clou  della  serata, quella  in  cui  sono  tutti  sdraiati  a  mucchio  sul  divano, quasi  uno  sull’altro.

Ecco, dopo  aver  visto  un  centinaio  di  foto di  questo  tipo,  sorge  il  sospetto  che  al  social-viveur  o  estroverso-patologico  non  interessi  nulla  della  festa  in  sé, ma  che  vi  abbia  partecipato  al  solo  di  scopo  di  fare  le  foto  per  postarle  poi  su  Faccialibro.

L’estroverso-patologico  non  teme  di  mostrarsi  Urbi  et  Orbi  nella  propria  intimità. Ne  ho  visto  uno – lo  giuro, non  sto  mentendo –  sdraiato  sul  suo  letto  in  pigiama, coi  piedoni  in  primo  piano  e  alcuni  piatti  di  vari  cibi  accanto  a  sé, anch’essi  sopra  al  letto; e  poi, in  un  angolo, la  visione  mistica: una  porta  aperta  sul  bagno  e, in  bella  vista, il  trono, altrimenti  conosciuto  come  water.

Autunno in città (IV)

Ecco altre dieci fotografie. Le prime due risalgono alla metà d’ottobre e sono state fatte in un giorno particolarmente squallido e triste. Le rimanenti otto, invece, sono state scattate lo scorso sabato, 31 ottobre. A differenza di quelle pubblicate qualche giorno fa, sono state fatte di pomeriggio, dopo le sedici, e quindi la luce è diversa: c’è meno “splendore”.
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Fine d’ottobre

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Secondo le previsioni meteorologiche locali, domani l’autunno si presenterà nella sua veste più malinconica: ci aspettano pioggia, umidità e squallore. Dobbiamo sopportare e abituarci, considerando che siamo stati fortunati ad aver avuto un ottobre splendido, soltanto a brevi tratti un po’ capriccioso.
Quando sabato se ne è andato, ottobre ci ha salutato con un sorriso smagliante, regalandoci una giornata indimenticabile grazie a un sole allegro e tiepido. A causa di questa fortunata circostanza, mi sono dedicata a scattare molte foto in due parchi cittadini, cercando di catturare la bellezza degli alberi con le foglie gialle e rosse.

Sono stata contenta di vedere molte altre persone intente a fare fotografie proprio come me: sembra che la magia dei colori autunnali colpisca l’immaginario di tanti.
Ai giardini pubblici ho potuto camminare su un lungo tappeto di foglie tutte gialle, sotto alberi che sembravano completamente dorati; assistere poi alla caduta delle foglie in tempo reale è uno spettacolo che adoro. Ho trascorso uno splendido sabato, dunque, ammirando con calma il volto più bello dell’autunno, e sono contenta di averlo fatto dal momento che ci attendono giornate grigie.
Tutte queste parole solo per dire che appena avrò le foto disponibili ne pubblicherò alcune. 🙂