Di solito, quando l’inverno finisce, cambio la grafica del blog all’inizio di marzo. Ma quest’anno scelgo di farlo oggi, 27 febbraio, perché la nuova stagione sembra avanzare con sicurezza, come se la forza dell’inverno si fosse sfaldata bruscamente per ragioni ignote. Anche il vento improvviso, che infuria ora sulle strade, sembra uno dei tanti volti della primavera.
Mi chiedo allora come sarà. Spero che la stagione dei fiori possa dispiegare tutte le sue sfumature, che possa commuoverci con le sue incertezze e le sue ingenuità, che possa farci arrabbiare con i suoi scoppi d’ira inattesi e i suoi capricci ingiustificati; e mi auguro che riesca a trasmetterci la sua inesauribile vitalità, il suo costante ottimismo, le sue tante illusioni. Spero che la primavera sia, quest’anno, come un arcobaleno dopo la tempesta.
Se gli alberi non fossero soltanto scheletri scuri, questa giornata di febbraio sarebbe un perfetto frammento di novembre, uno di quei giorni autunnali stanchi, esangui, che narrano di lenta dissoluzione come di un fatto ineluttabile e persino rassicurante. Febbraio è così, assume coloriture differenti in maniera inaspettata, perennemente indefinito e incerto, forse a disagio nella sua mancanza d’identità.
Quest’atmosfera inattesa, questo sussulto d’autunno affascinante e commovente, mi ha colpita con rara intensità mentre passeggiavo, stamattina, nei pressi della strada in cui ho vissuto per tanti anni, in centro storico. Mi sono ritrovata di colpo nel passato, come in una di quelle tante giornate scure che hanno accompagnato i miei infiniti passi.
Comincio con una foto che ho già pubblicato. Via Castelmaraldo ripresa da via Emilia lo scorso dicembre:
E adesso passo alle foto scattate oggi. Ho voluto fotografare via Castemaraldo partendo dall’area della movida, da cui si risale per arrivare a via Emilia:
Torno indietro verso l’area della movida, adesso molto depressa a causa del Covid. Non descrivo il caos che si creava qui nei fine settimana, e non solo, quando il Covid non c’era: il delirio totale. Come si può vedere ci sono molti locali, birrerie e affini:
Proseguendo dritto lungo via Castelmaraldo, si arriva a piazza della Pomposa, con la sua chiesetta, Santa Maria della Pomposa, di origine medievale e poi rifatta tra Sei e Settecento:
Un altro scorcio della piazzetta fuori dalla chiesa:
Decido poi di lasciare la Pomposa e di proseguire lungo via Taglio. A sinistra, mentre percorro la strada, ecco Via Ganaceto:
Vado avanti lungo via Taglio:
Adesso sto per arrivare in via Farini:
Arrivati in via Farini, troviamo la chiesa di San Giorgio, dedicata alla Beata Vergine Ausiliatrice del popolo modenese. Non sono entrata perché c’era la messa:
Via Farini collega via Emilia e l’Accademia militare, che sorge su piazza Roma. In passato la piazza era usata come parcheggio, ma adesso questo scempio è finalmente terminato:
Dalla piazza vado in Corso Canal Grande, una delle vie più importanti del centro, perché sede del teatro comunale e del tribunale:
Questo è il teatro comunale:
Scelgo di terminare questo tragitto con gli alberi di viale Muratori, alberi che parlano ancora d’inverno, di chiusura, di pace interiore, di memorie che si perdono nel tempo:
Questa mattina, al risveglio, ho trovato la neve, soltanto una lieve spruzzata sull’erba del parco e sulle automobili, ma abbastanza per ricordarmi che l’inverno è ancora qui.
Travolta da ingenuo ottimismo a causa del cielo azzurro e del sole, sono uscita da casa con un certo entusiasmo, pensando che avrei potuto fare una gradevole passeggiata; ma, appena uscita dal cancello del palazzo, sono stata investita da raffiche di vento gelido. Così ho preso l’autobus, il mio amato 6, che per fortuna è arrivato subito.
In centro storico mi sono limitata ad andare dalla mia fornaia di fiducia, in Largo degli Erri, e a controllare la mia cassetta postale, perché ho ancora la residenza in centro nonostante abbia cambiato casa. Ecco qui la mia vecchia strada, via Castel Maraldo, fotografata lo scorso dicembre in una triste giornata piovosa:
Dopo queste commissioni sbrigate molto rapidamente, sono andata con moto accelerato a prendere l’autobus in corso Duomo, per tornare subito a casa: il vento gelido non dava tregua e non avevo alcuna intenzione di diventare un ghiacciolo. Ne ho approfittato per fotografare la cattedrale romanica.
Anche questa volta, come lo scorso sabato, ho girato un breve video che mostra il percorso dal centro storico a viale Buon Pastore, percorso diverso rispetto a quello ripreso nel video precedente.
Il video è amatoriale e senza alcuna pretesa. Com’è facile intuire, può interessare soprattutto chi legge questo blog da molto tempo, ed è quindi curioso di vedere i luoghi che cito spesso nei miei post. Il video serve insomma a dare sostanza, a dare spessore concreto ai riferimenti sparsi sul blog.
Ho cominciato a girare il video in corso Canal Chiaro, in pieno centro storico. A un certo punto compare anche la chiesa di San Francesco. Finito il corso, l’autobus s’immette in piazzale Risorgimento e poi si ferma al semaforo: ormai siamo usciti dal centro. Al minuto 2:56, l’autobus comincia il percorso lungo via Carlo Sigonio; al minuto 4:12 svolta a destra in viale Buon Pastore e io scendo alla prima fermata. Il video s’interrompe bruscamente prima che io scenda, perché non ho voluto riprendere le altre persone presenti sull’autobus. La voce che si sente in sottofondo non è la mia.
Scoprire d’improvviso qualche margherita, quando febbraio è soltanto all’inizio, suscita stupore, infantile meraviglia. Ma la giornata è tiepida, quasi un preludio della stagione che verrà, e le margherite fanno parte dell’insieme, di questo inatteso messaggio primaverile.
Probabilmente tornerà il gelo invernale, e febbraio precipiterà di nuovo fra le braccia del grigio e del marrone intenso; ma intanto apprezziamo questo delicato intervallo di quiete.
Ma che dispiacere quest’inattesa primavera a febbraio! L’inverno arranca, messo da parte da un sole troppo mite, da uno splendore inconsueto. E quanto durerà, allora, la bella stagione? Quanti mesi di caldo verranno? Se oso pensarci, mi metto a tremare. Certo, queste giornate sono spiazzanti.
A febbraio, alcune giornate sono talmente cupe da mutarsi in vane attese, speranze inconsistenti aggrappate a un mondo chiuso in se stesso, rannicchiato nello spazio angusto della sua incomprensibile apatia. In altri momenti, invece, febbraio sembra destarsi dal suo torpore: improvvisamente lieto, talvolta persino vivace, comincia a narrare allegre storie di primavera.
Febbraio è, nello stesso tempo, l’immobilità opprimente della crudeltà invernale e la gaia dolcezza della stagione che verrà. Eppure, nonostante tutto, non riesce a incantare – febbraio no, non riesce a stupire -, perché in fondo è un’anima semplice, un’anima cui mancano certi improvvisi sussulti, le tante screziature autunnali – e quei silenzi, gli interminabili silenzi di ottobre, che racchiudono segreti e discorsi infiniti.
Il fastidio che ho sempre avvertito nei confronti di febbraio deriva, almeno in parte, dall’evidente allungarsi del giorno accompagnato però dal grigio insignificante e opaco dell’inverno. A febbraio, infatti, quando alle 17:30 del pomeriggio a dominare è ancora la luce, i brevi pomeriggi di fine autunno costituiscono ancora una memoria ricorrente, ed è impossibile evitare di paragonarli a quelli presenti: se le tante ore di buio del tardo autunno sono un complemento indispensabile del declino della natura, l’attuale dilatarsi del giorno, mentre l’atmosfera è gelida e incolore, se non addirittura cupa, rende squallido questo strano mese invernale.
Tuttavia, negli ultimi due giorni febbraio sta mostrando il suo volto più mite: il sole e la luce, deboli ma costanti, sembrano un presagio di primavera, tanto che ci si sente pervasi da una vitalità che il gelo invernale aveva smorzato o ridotto al silenzio. Ma quanto durerà? L’inverno ha davvero deciso di comportarsi con dolcezza? Difficile pensarlo. Probabilmente, ricomincerà presto a esibire i suoi tanti malumori, fatti di pioggia, freddo, arroganza e indistinguibili toni scuri. Così, si oscilla fra il rimpianto nei confronti della complessa, sfuggente, raffinata atmosfera autunnale e il desiderio della capricciosa e immatura freschezza delle tonalità primaverili.
Martedì 31 gennaio abbiamo festeggiato la ricorrenza del nostro patrono, san Geminiano. Come ogni anno, il centro storico è stato invaso dalla tradizionale fiera e dai riti che immancabilmente scandiscono questa giornata: la visita ai resti del santo, la messa solenne in Duomo, la sfilata delle varie autorità cittadine. Questo intreccio tra sfera religiosa e sfera civile ha il compito di riaffermare e consolidare il sentimento identitario che anima ogni città, ossia il suo patriottismo civico.
Come al solito, sono andata alla fiera ma non l’ho visitata tutta perché, arrivata in Via Emilia centro all’altezza di Piazza Mazzini, si è formato l’immancabile, odioso ingorgo: era impossibile passare. Non avendo né il tempo né la pazienza per procedere a un ritmo più lento di quello di una lumaca, sono tornata indietro. Così, la mia visita alla fiera si è limitata a Corso Canal Chiaro, a Piazza Grande e a quella parte di Via Emilia che conduce a casa mia. Un’ora e mezza d’immersione nell’atmosfera tipica della città in questa giornata particolare. E così gennaio è fuggito via, travolto dall’arrivo di febbraio.
Questa mattina, quando mi sono alzata ho trovato una sorpresa: una fitta nebbia, densa, spessa, tipicamente invernale. Ma l’atmosfera è quella di febbraio, insignificante, malata, incolore: è l’inverno senza carattere, senza personalità, senza sussulti degni di nota. Però questo è anche periodo di Carnevale, una festa che è il trionfo assoluto dei colori e, volendo, del divertimento. Allora sorge una domanda: sono forse soltanto i bambini a doversi divertire a Carnevale? Penso di no, penso che qualche sanissima stravaganza si addica anche a noi adulti e adulte. E io, che in fondo un po’ stravagante lo sono, sono stata attirata da questa bella parrucca rosa:
Febbraio è un mese particolare perché pienamente invernale ma instabile, ossia capace di sorprese: a volte ci regala grandi nevicate e freddo gelido, altre volte è grigio, quasi disperato e del tutto incolore, e in alcuni, rapidi momenti ci dona qualche piacevole preludio di primavera. Ma non lo amo e fatico a spiegarne i motivi. Non suscita in me intense emozioni, non mi coinvolge, non mi ‘racconta’ nulla.
E allora mi capita di non decidermi, di non saper scegliere l’argomento di un post: non so se abbandonarmi a pensieri severi, forse persino opprimenti, o se disegnare con la mente cerchi colorati e tuffarmi nei sogni più stravaganti. Non c’è neppure la neve ad addolcire certe sensazioni, a suggerire spazi inesplorati, a giustificare l’amore per gli interni, per la casa, per le stanze chiuse.
La stanza. Bisognerebbe sempre averne una tutta nostra – sempre quella, arredata come piace a noi. Il nostro mondo più vero, quello in cui nessuno ci chiede di recitare una parte. E che è indispensabile in ogni stagione: d’autunno, per consentirci di sprofondare lentamente nell’inquieto mare di ricordi, speranze, attese; d’inverno, per restare calmi e sereni mentre fuori è oscurità dolente; in primavera, per intrecciare fantasie e riposarci dopo l’entusiasmo del primo sole, dei fiori e dell’azzurro; e d’estate per difenderci dalle ore più torride e prepararci alla festa che verrà.
Ieri, 31 gennaio, è stata la festa del nostro santo patrono, San Geminiano. Come ogni anno, si è ripetuto il rito: grande fiera in centro storico, cioè sotto casa mia, e spensieratezza, desiderio di approfittare dell’occasione per respingere i pensieri legati alla quotidianità e per trastullarsi un po’ come bambini o adolescenti.
La giornata è stata bellissima, nonostante il freddo, e ciò mi ha consentito di fare il giro d’ordinanza alla fiera. Che in questa occasione si metta mano al portafoglio è cosa ovvia: qualcosa si compra, qualcosa bisogna comprare, altrimenti non ci si sente soddisfatti, altrimenti è come se non ci fosse stata alcuna festa. Io ho comprato un bellissimo mobiletto portachiavi in stile shabby chic e due graziosi cuscini color lavanda. Poi, come al solito, non ho resistito e ho acquistato un bel gatto grigio e bianco di peluche, che va ad aumentare la mia nutrita collezione di bestiole simili.
Come scrissi anche lo scorso anno, in queste cose non conosco il concetto di vergogna, sono letteralmente spudorata: non m’interessa se qualcuno può ritenermi infantile o strana o altro ancora. A me piacciono gli animali di peluche e me li compro, nonostante l’età adulta. E quando li compro mi sento felice, il che significa che continuerò su questa lieta strada.
Anche oggi la giornata è stata luminosa, con un bel cielo azzurro che fa pensare alla primavera. Però mi dispiace parecchio vedere che le giornate si stanno allungando. So di essere impopolare, ma rimpiango quei bei pomeriggi dei primi giorni di dicembre, quando alle diciassette è già buio; senza contare che oggi è iniziato febbraio, che considero insignificante e che non ho mai amato, e ciò aumenta il mio dispiacere. Ma, non potendo eliminare questo mese dal calendario, farò in modo di sopportarlo e di vedere se riuscirà a regalarmi qualche emozione, magari breve ma intensa. Intanto, buon inizio di settimana a tutti.