Cambiare gli abiti al blog è una trasformazione importante, che segna un passaggio anche nella mia esistenza, un prima e un dopo, come un compleanno. Comincia una nuova stagione, la primavera meteorologica, e arrivano nuovi pensieri, fantasie colorate e il desiderio di correre fuori, incontro alla vita, nonostante il vento di guerra e lo sgomento l’accompagna – e il non sapere come, quando, dove.
La primavera torna col freddo dell’inverno addosso, forse impaurita ma decisa a restare. Questi mutamenti sono confusi, faticosi, un passo avanti e due indietro, il sentiero che si dirama, la direzione da prendere, da che parte vado. E le margherite, le violette, il ricominciare.
Ecco, si ricomincia. Con qualche consapevolezza in più e l’idea confusa del farcela a qualsiasi costo.
Viviamo in un’epoca dominata dalla precarietà in ogni aspetto della nostra esistenza. Tutto appare provvisorio, sfilacciato, superficiale: relazioni interpersonali, forme di comunicazione reali e virtuali, impegni di vario genere. Molti degli oggetti di cui ci serviamo ogni giorno sono programmati per rompersi in fretta, per sfaldarsi e rovinarsi quanto prima, persino quando costano parecchio; del resto, se così non fosse, il ciclo produttivo fondato sul soddisfacimento di bisogni fittizi, indotti dalla pubblicità martellante e onnipervasiva, sarebbe destinato ad arrestarsi. Il fatto stesso che politici, economisti e persino alcuni intellettuali parlino sempre della necessità di una crescita costante del Pil, fingendo di dimenticare che non possono esistere crescite all’infinito, la dice lunga sul mondo in cui viviamo.
Tutto questo mi riconduce, con un percorso mentale solo in apparenza bizzarro, a un ricordo piacevole. Quando andavo in vacanza in Appennino, nel nostro paese c’era un negozio che vendeva una grande varietà di prodotti. Il negozio era alla buona, modesto, privo di orpelli scenografici, e vi si acquistavano prevalentemente generi alimentari; tuttavia vi si trovavano anche numerose cartoline, bei quaderni a righe e a quadretti e addirittura stoffe. Può far sorridere l’idea di un negozio di questo tipo, un luogo strano in cui prosciutti e pomodori convivevano felici con pile di quaderni e stoffe; ma all’epoca nei paesi di montagna ciò era normale, un’ovvietà di cui nessuno si stupiva.
Ricordo che, quando qualcuno glielo chiedeva, la proprietaria del negozio, di nome Santina, andava svelta in un angolo e voilà!, sul bancone comparivano all’istante numerosissimi tagli di stoffe in stile provenzale, con disegni a fiori di mille colori: c’era soltanto l’imbarazzo della scelta. Soprattutto, per quanto possa sembrare strano, quelle stoffe erano di ottima qualità, cotone purissimo e resistente che non si sarebbe mai scolorito dopo pochi lavaggi. E siccome all’epoca molte donne sapevano usare bene le mani e cucire begli abiti, la cara Santina non era mai sprovvista di stoffe.
Considerando che attualmente è frequente imbattersi in capi di abbigliamento e, più in generale, in prodotti di pessima qualità anche in negozi considerati di buon livello, mi capita spesso di riandare col pensiero alla simpatica e ruspante Santina e al suo negozio un po’ scassato ma utile e ben fornito, specchio di un’epoca più semplice e più ingenua, ma ancora in grado di produrre qualcosa di duraturo e di prezioso.
Il potere delle immagini è straordinario. Le immagini evocano infiniti mondi interiori, sensazioni inattese, memorie di ogni tipo. Le immagini stimolano riflessioni, calmano, guariscono, preparano strade nuove, annunciano il domani. Non bisogna sottovalutarle mai, queste compagne benefiche.
Le immagini parlano di noi, della nostra essenza più profonda, dei nostri desideri, persino di ciò che sarà, perché lavorano silenziosamente nelle profondità del nostro essere influenzandoci, guidandoci, tessendo trame nascoste che, prima o poi, verranno alla luce. Io scelgo sempre belle immagini perché so che il loro potere è immenso, la loro forza rigenerante, la loro compagnia insostituibile.
La densità cromatica della stagione autunnale è talmente evocativa da poter ridisegnare una giornata intera o addirittura l’esistenza – tutta quanta, istante dopo istante.
L’estate meteorologica è cominciata e, lo si voglia o meno, è già diventata parte di noi. Non si resta mai indifferenti di fronte all’arrivo di una nuova stagione, ma ci s’interroga, si fanno i conti col presente e col passato, si tessono trame per il futuro. Una nuova stagione è sempre un ricominciare, il dover necessariamente lasciare alle spalle un periodo per abbracciarne un altro. La nuova stagione s’impone, non ci è consentita la facoltà di rifiutarla: accade, è un fatto, è un dato. Non la scegliamo, ma con essa dobbiamo fare i conti. Ecco che si apre, allora, il problema dell’accoglienza, del farespazio, del permettere al diverso di entrare nella nostra quotidianità per diventarne parte.
Non è mai semplice accogliere, perché ciò richiede una certa apertura mentale, uno sforzo, la capacità di modificare abitudini radicate, la volontà di ascoltare e di capire senza rinchiudersi nella fortezza del proprio ego, delle proprie opinioni, della propria meschinità. In questo senso il passaggio da una stagione all’altra ci pone di fronte a noi stessi, a ciò che siamo veramente, alla nostra grandezza e ai nostri limiti, come sempre accade nei momenti decisivi dell’esistenza.
Al di là di tutte queste considerazioni, resta il dato essenziale che niente e nessuno può scalfire: il passaggio arriva, il cambiamento è in atto, la nuova stagione è qui. La saggezza consiste nel cercare di adattarsi, inventando strategie, recuperando memorie, prendendosi cura di ciò che siamo.
Ieri sera è arrivata la nebbia e ho girato un brevissimo video per immortalarla. La qualità della ripresa non è memorabile, per usare un eufemismo, ma – come si dice di solito per giustificarsi – conta il pensiero.
Di notte, però, la nebbia ha lasciato spazio a un’intensa pioggia, e il mattino è cominciato gelido, pungente, com’è tipico dell’autunno in questi ultimi giorni di novembre. L’atmosfera si fa di giorno in giorno più malinconica, e richiede uno sforzo di comprensione e di adattamento che è il segreto del buon vivere, dell’averla capita davvero, quest’esistenza bizzarra.
Abbiamo avuto tutto il tempo necessario per abituarci a questo lento trapasso, a questo scivolare silenzioso verso l’inverno, che non è ancora arrivato, che dovrà lottare contro la forza dell’autunno per imporsi, ma che è nell’aria, nei pensieri, forse persino nei desideri – o forse no, ma poco importa. A sedurci è infatti l’attesa e quel movimento incessante che nasconde sotto la sua apparente, rarefatta immobilità.
Intanto novembre resiste con forza, come dimostrano gli alberi del parco sotto casa mia, quelli che non sono ancora spogli e che s’intravedono fra i bruttissimi ponteggi:
I colori di primavera hanno la tenera freschezza dell’ingenuità, l’ingenuità di chi è appena sbocciato all’esistenza e mostra il proprio splendore con fiducia e quieta serenità. Poi capita qualcosa – capita sempre qualcosa -, e quei colori, quella freschezza, quella meravigliosa apertura all’esistenza vengono meno. E allora la primavera ha il compito di ricordarci ciò che eravamo, risvegliando in noi qualche emozione profondamente addormentata negli angoli più remoti dell’anima.
A ottobre, la nebbia leggera del mattino è una lieve carezza, che ammorbidisce l’orizzonte e persino l’esistenza. Gli alberi non sono ancora spogli: le foglie cadono lentamente per regalarci il tempo di ammirarle. Nei viali silenziosi, passa una vita intera: immagini, frammenti, il passato, il presente, l’eternità.
A ottobre, si può vagare senza fretta sotto gli alberi stanchi e trovare infinite risposte.
Succede d’improvviso, almeno in apparenza. Succede d’improvviso e regala un’emozione nuova, una sensazione mai avvertita prima, forse un misto di nostalgia e di gioia insieme a un brivido di confusione: tornano volti di persone che ormai non sono più; tornano parole dette al momento giusto, come sprazzi di luce in un’estenuante oscurità. Voci remote che appartengono a un tempo lontano, a inverni e primavere di molti anni fa, e che ora acquistano una luminosità inaspettata. Si scopre così l’importanza di persone che sono rimaste sullo sfondo, persone con le quali non si è mai avuto un legame profondo, ma che hanno contribuito a dipingere a colori il mosaico della nostra esistenza.
Tornano come sorridenti fantasmi in queste giornate di tempo incerto, tornano con decisione, insistono con la loro presenza e non si sa perché. Tornano come se avessero qualche parola da aggiungere e qualche altro gesto da compiere. Si tratta soltanto di capire e senza temere.
Tutti vorremmo che fosse così: limpida, fresca, un po’ ingenua nel suo entusiasmo, accogliente, rilassante, generosa. L’inizio di primavera è un’emozione che sa di vita pura, è un ritorno all’ebbrezza dell’esistenza, è un sogno necessario per riuscire a proseguire. Bisogna colorare l’esistenza, bisogna inventarsi nuovi toni e altri incantesimi per non lasciarsi andare. Bisogna creare la primavera, aiutarla a manifestarsi, esserle complici; bisogna comprendere che richiede il nostro impegno, che da sola non può farcela. La primavera siamo noi quando sappiamo cogliere nuovi profumi, quando scorgiamo un fiore nascosto sotto la polvere, quando l’azzurro del cielo pervade i nostri pensieri.
Primavera. Dolcezza, divertimento, leggerezza, allegria. E allora divertiamoci un po’. L’amica Valentina mi ha assegnato un premio “goloso”: si chiama Super Sweet Blogging Award e lo ricevo con gioia.
Ecco il regolamento del premio:
1. Visita e ringrazia il blogger che ti ha nominato;
2. Ringrazialo nel tuo blog e crea un link al suo;
3. Rispondi alle domande “Super Dolci”;
4. Nomina una “Dozzina di panini” a cui dare il premio, crea un link al loro blog nel post e avvisali postando un commento nel loro blog;
5. Copia e sposta il premio nel tuo blog.
E ora le domande Super Dolci:
1. Biscotti o torta? Indubbiamente torta, con la preferenza per i gusti semplici.
2. Cioccolato o Vaniglia? A seconda dei casi e dei momenti.
3. Qual è il tuo spuntino dolce preferito? Non ne ho uno preferito, tutto dipende dalle occasioni. Mi piace molto, però, mangiare la torte che faccio io, tipo la mitica “7 vasetti”.
4. Quando hai maggior voglia di cose dolci? Di pomeriggio o dopo cena.
5. Se tu avessi un soprannome “dolce”, quale sarebbe? Mhm…difficile rispondere. Sono una frana in queste cose, mi arrendo. 😀
Come faccio sempre in questi casi, non nomino altri blogger ma invito chiunque lo voglia, fra i miei amici del web, a ritirare questo premio e a scrivere un post in tema. L’immagine è una vera delizia:
Ormai è per me diventato irrinunciabile. E pensare che, fino all’età di diciannove anni, non potevo neppure sentirlo nominare e mi rifiutavo persino d’assaggiarlo.
Iniziai a berlo durante il primo anno d’università, quando, essendo costretta a fare ogni mattina la pendolare Modena-Bologna, pensai che fosse un buon modo per darmi una sferzata d’energia. E così, la prima volta che bevvi un’intera tazzina di caffè non fu nella tranquillità di casa mia, ma in un caotico bar bolognese. Il bello è che, dopo averla bevuta, mi giudicai sciocca per non averlo fatto prima.
Adesso, a distanza di anni, questo evento in apparenza molto banale mi colpisce e mi sembra importante, quasi un momento cruciale della mia esistenza. Probabilmente fu una sorta di rito di passaggio verso l’età adulta o, almeno, sono io che ora lo considero tale.
Tornando però al presente, adesso è mattina e quindi vi offro virtualmente un caffè per augurarvi buongiorno. 🙂