Succede d’improvviso, almeno in apparenza. Succede d’improvviso e regala un’emozione nuova, una sensazione mai avvertita prima, forse un misto di nostalgia e di gioia insieme a un brivido di confusione: tornano volti di persone che ormai non sono più; tornano parole dette al momento giusto, come sprazzi di luce in un’estenuante oscurità. Voci remote che appartengono a un tempo lontano, a inverni e primavere di molti anni fa, e che ora acquistano una luminosità inaspettata. Si scopre così l’importanza di persone che sono rimaste sullo sfondo, persone con le quali non si è mai avuto un legame profondo, ma che hanno contribuito a dipingere a colori il mosaico della nostra esistenza.
Tornano come sorridenti fantasmi in queste giornate di tempo incerto, tornano con decisione, insistono con la loro presenza e non si sa perché. Tornano come se avessero qualche parola da aggiungere e qualche altro gesto da compiere. Si tratta soltanto di capire e senza temere.
Non è un esercizio da poco. Non è semplice farlo e ad alcuni può sembrare ozioso. Invece è fondamentale. Conoscere a fondo la propria interiorità, ossia i propri più intimi bisogni e desideri, è necessario per evitare di compiere scelte dettate soltanto dalla volontà di conformarsi alle regole che l’ambiente in cui viviamo c’impone.
Conoscere la propria interiorità, cioè la propria autenticità, è indispensabile se si vuole essere individui davvero liberi. Condizione fondamentale per esercitare la libertà, infatti, è la conoscenza, ossia la consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si fa: nessuna nostra scelta è davvero libera se non è dettata dalla piena conoscenza di quello che davvero desideriamo; una scelta non è libera se è soltanto frutto d’un asservimento alle pressioni sociali, ai desideri dei propri familiari o alla volontà di apparire come tutti gli altri.
Quando ci si costringe a compiere azioni o a prendere decisioni importanti sulla base di un piatto conformismo, si decreta la morte di una parte di sé, ci si ritrova a vivere in una dimensione inautentica e si rischiano infelicità, nevrosi e frustrazioni. Oltre a ciò, si rischia anche di provocare dolore ad altri.
La confusione interiore non appartiene a pochi, ma è condizione più frequente di quanto s’immagini. È un po’ come trovarsi di fronte a un paesaggio autunnale, del quale non si vogliono o non si possono cogliere le tante sfumature. Ma purtroppo non si può afferrare l’essenza d’un paesaggio autunnale se si eludono le sue sfumature.
Le sfumature della nostra interiorità sono altrettanto importanti perché, soltanto conoscendole in pieno e senza temerle, si possono compiere, nel tortuoso cammino dell’esistenza, scelte giuste. Giuste per noi.
Avrei voluto scrivere un post sulla Befana, ma poi ho lasciato perdere. In seguito avrei voluto scrivere una riflessione sul mio insano desiderio di risolvere sempre ogni questione, di cancellare le oscurità e i dubbi che spesso avvolgono fatti e persone, ma poi ho compreso che oggi è meglio per me evitare di elaborare post. Mi sento stanca e annoiata, forse per colpa di tutte queste feste che hanno creato un po’ di caos nel ritmo delle mie giornate. Ho sonno ma non riesco a dormire, ho fame ma non ho fame, ho sete ma non ho sete, vorrei scrivere ma nel contempo non desidero farlo, vorrei leggere ma non desidero applicarmi. In sintesi: oggi sono un disastro totale – che vergogna!- e quindi termino qui, con la speranza di tornare in me stessa, fresca, attiva e razionale, entro domani mattina. 😀
(In foto, Via Farini dopo la nevicata del 18 dicembre)
Correva l’anno 1987 e il regista Joseph Merhi partorì l’horror Follia omicidia, detto anche Epitaph, noto a tutti i cinefili come uno dei più brutti film mai realizzati, una vergogna di proporzioni incalcolabili. Prova ne sono le numerose recensioni che lo stroncano senza pietà.
Aggiungo che nel 1987 fu girato anche il mitico trash per eccellenza, Un lupo mannaro contro la camorra, di cui ho già riferito con coraggio su questo blog.
Anche nel caso di Follia omicida, vale quanto ho esposto in altri post dedicati alle super-ciofeche cinematografiche: mancando all’opera – e mi scuso con il termine “opera”- un filo logico degno di questo nome, la mia sintesi sarà per forza caotica.
Una graziosa famigliola, composta da padre remissivo, madre psicopatica e ninfomane, figlia immatura e nonna semi-catatonica, cambia casa trasferendosi in una bella villa isolata. Seguono alcune scene al limite della confusione totale, nonché dialoghi che probabilmente sono stati improvvisati in fase di recitazione. Tutto ciò ci fa comprendere che la prosecuzione della visione del film si configura come uno strazio difficilmente sopportabile.
Giunge alla villa un imbianchino e la madre, cioè la signora Fulton, fredda come il ghiaccio con il marito ma stranamente assatanata quando vede altri uomini, tenta un vigoroso abbordaggio. Sorge però un problema non indifferente: l’imbianchino è un caso anomalo di maschio in quanto, invece di cedere senza farsi scrupoli, protegge con commovente convinzione la propria virtù, provocando così la scomposta reazione della tenerissima donna, che lo sventra con almeno una decina di pugnalate.
Il bello è che il marito di costei, giunto a casa, seppellisce l’uomo in giardino come se niente fosse. 😮
Normalmente capita che una persona sventrata da numerose pugnalate, e poi sepolta per ore, tiri le cuoia definitivamente. In questo film no. L’imbianchino infatti, dopo il gentile trattamento ricevuto, si ripresenta bello e pimpante e uccide il marito della pazza. La donna però spara all’imbianchino che stavolta muore davvero.
Sì, lo so, in fondo è una bella cosa: due in meno. Sempre meglio che niente!
Intanto una psichiatra, cui il marito della pazza si era rivolto prima di morire, si finge una vicina di casa di costei per poter diventare sua amica. Da notare che la casa degli orrori è una villa isolata e quindi non si capisce come la psichiatra possa definirsi una “vicina”. Vabbè, non indaghiamo, tanto è inutile.
A questo punto l’esilissima e ridicola trama del film si dissolve completamente.
La figlia adolescente prende la solita cotta per un compagno di liceo, che l’affettuosa madre ovviamente detesta. Poi costei scopre che la psichiatra non è una vicina di casa, ma appunto solo una psichiatra, e decide di torturarla e ucciderla. La conduce in cantina, le lega un secchio intorno alla vita con dentro un topo affamato, e usa la fiamma ossidrica per scaldare il secchio e costringere il topo a farsi strada, per fuggire, nello stomaco della donna. 😥 Non ho guardato la scena, e del resto non guardo mai scene splatter o troppo violente perché non ne sopporto la visione: le detesto con tutte le mie forze. Però quanto ho descritto corrisponde a ciò che accade nella pellicola. Disgusto totale.
In seguito la pazza chiude la figlia in una stanza sporca, lasciandola priva di cibo e di acqua per vari giorni. Senza alcuna ragione plausibile, la nonna semi-catatonica comincia a girare per il giardino con un piccone in mano, e poi, mentre telefona alla polizia, resta uccisa dal piccone medesimo. 😕
Finalmente giunge sul posto l’innamorato della ragazzina. La madre, tanto per non farsi mancare niente e per non deludere le aspettative, tenta di sedurre persino lui, ma anche questo è un maschio anomalo, tipo Maria Goretti, e rifiuta di concedersi. Ovvio che la dignitosa e casta donna non tolleri lo sgarbo e reagisca tirandogli addosso un bel po’ di benzina e minacciando di dargli fuoco. Ma il giovane non si scoraggia e le assesta un bel pugno sul viso, facendola svenire e regalandoci un po’ di sadico piacere.
Dopo la fausta impresa si reca a liberare la ragazza che, nonostante il digiuno di giorni e giorni, è in ottima forma. 😮
I due piccioncini raggiungono così l’automobile, credendo di potersi mettere in salvo. Ma qui accade la follia pura: la madre, pur essendo ancora svenuta in casa, si trova anche sulla macchina. Si tratta forse di un caso di bilocazione o di pura pazzia da parte del regista? Non scrivo la risposta, è facile intuirla.
La psicopatica accende un cerino e, al colmo della bontà, dà fuoco al ragazzo che muore. Anche costui viene sepolto in quello che dovrebbe essere il giardino, ma che ormai si è trasformato in un cimitero. A questo punto, la ragazzina dà un bel colpo alla madre con la pala, uccidendola, la carica in macchina e se ne va.
Fine del film. 😐
Recitazione indegna, dialoghi puerili, regia pessima, trama assurda. La visione di questo film può tuttavia diventare, in un certo senso, consolatoria: ci fa infatti comprendere che, qualsiasi cosa brutta ciascuno di noi abbia fatto, c’è qualcuno che ha senz’altro operato peggio.
Inoltre, dopo aver visto questo film si possono rivalutare molte esperienze che siamo inclini a giudicare negative, tipo darsi una violenta martellata su una mano, perdere i risparmi in investimenti sbagliati e altro ancora. Sì, perché tutto ciò è niente rispetto allo strazio che produce assistere a Follia omicida.