Stagioni e saggezza esistenziale

Accadde tanti anni fa, quando frequentavo le scuole elementari. In una fredda mattina di novembre, presi un quaderno e cominciai a descrivere tutti i mesi dell’anno per mezzo di disegni e frasi o frammenti di frasi. Dei disegni, ricordo soltanto una sciarpa colorata che, nella mia immaginazione infantile, rappresentava una delle caratteristiche fondamentali di novembre, insieme a un ombrello. E così, per un’intera mattinata di un giorno festivo, mi divertii a definire mesi e stagioni ricorrendo a colori e a pensierini sparsi.

Oggi, ripensandoci, mi accorgo che questo blog è la riproposizione, in forme diverse, di quel piccolo svago di tanti anni fa, uno svago che rispondeva a un’esigenza profonda, a un modo di afferrare la realtà e d’interpretarla che non è svanito col tempo, ma si è riaffermato ora in tutta la sua urgenza. Perché nel corso degli anni tutti noi cambiamo, è vero, ma la nostra essenza più profonda non va perduta.

Parlare delle stagioni non è soltanto un’occasione per suscitare emozioni, ricordi e fantasie. Il flusso delle stagioni è parte integrante del mondo della natura, di cui noi siamo frammenti; osservare le stagioni, allora, significa anche osservare se stessi e comprendere molto di ciò che si è.

Dalle stagioni possiamo ricavare numerosi insegnamenti sul modo migliore per compiere il viaggio della vita, pericoloso, ambiguo, irto di complicazioni ma affascinante.

Primavera: inizi, entusiasmo, semplicità

La primavera è il principio, il necessario inizio, perché, si sa, tutto comincia. E l’inizio reca con sé grande entusiasmo, un’energia istintiva e un po’ scomposta. La primavera è il camminare incerto fra timori e curiosità, fra l’osare e il trattenersi, tra l’andare avanti e il tornare bruscamente indietro. Ne sono prova le giornate miti e serene che d’improvviso si fanno cupe, il sole alto che si ritrae di colpo a causa della pioggia, il caldo e il freddo che si rincorrono in maniera caotica.

Il grande insegnamento della primavera è il valore della semplicità, rappresentato dai suoi fiori di campo, bellissimi e modesti, e dai suoi colori freschi, vivi e un po’ ingenui. Basta poco per essere felici: il cielo sereno, un bel campo verde, un albero rigoglioso, le margherite, il rumore della pioggia sui tetti. Non occorre affannarsi a cercare lontano: è tutto lì, davanti ai nostri occhi.

Estate: divertimento, spensieratezza, eccesso

L’estate è un desiderio profondo, una necessità cui non si sfugge: è la voglia di abbracciare il mondo senza riserve, di divertirsi, di fare baccano, di tralasciare imposizioni e doveri. L’estate è il giorno che vince sulla notte, il vivere randagio a scapito della permanenza, l’insofferenza alle regole, lo scherzo e la follia di una serata magica. L’estate è la giovinezza dopo l’adolescenza, il calore intenso delle passioni che bruciano fino a consumarci, la presunzione del sentirsi immortali, il bisogno di esagerare. L’estate è ostentazione, vacanza, senso di onnipotenza che sa trasformarsi in crudeltà.

L’estate c’insegna il valore del mondo esterno e della fisicità. C’è un momento in cui bisogna uscire nel mondo, osare, scontrarsi con esso, fare qualche follia. E non pensare troppo.

Autunno: introspezione, mistero, complessità

Ormai il mondo si è svelato, con le sue luci abbaglianti e le sue pochezze. Così, il fuoco dell’estate è destinato a spegnersi adagio, giorno dopo giorno. Scompaiono superficialità e ardori momentanei, e subentra la riflessione, lenta ma decisiva. L’autunno è il ripiegarsi per capire, chiedere spiegazioni, cogliere sfumature e differenze. È il piacere intenso dell’introspezione, ma senza severità, è il senso profondo del mistero che ci avvolge tutti, la vita indissolubilmente legata alla morte e la sensazione che non è tutto qui e ora. Adesso si cominciano a chiudere alcune porte e ad apprezzare le ombre, la nebbia, le distanze.

L’autunno c’insegna il valore della complessità. Dopo l’ebbrezza del mondo esterno, è indispensabile rientrare in se stessi e soffermarsi a capire, senza stancarsi, andando fino in fondo.

Inverno: severità, rigore, autosufficienza

Con l’inverno tutto è ormai compiuto: l’introspezione ha portato i suoi frutti, la comprensione è definitiva, le incertezze sono scomparse. Il freddo è molto intenso, i giorni sono scuri: adesso bisogna difendersi. L’inverno è rigore, severità, giudizio tagliente e senza appello, decisione irrevocabile. Non si può più procrastinare. È il momento di bastare a se stessi, di affilare le proprie armi, di preparare strategie per non farsi trovare impreparati.

Bisogna liberarsi di tutto ciò che è inutile e che impedisce di procedere, bisogna fare pulizia e conservare soltanto l’essenziale, per camminare senza fardelli. Tutto è chiaro e affilato come una lama lucente, che ci chiede di tagliare, tagliare subito e senza tentennamenti. Ora le porte sono davvero tutte chiuse.

L’inverno c’insegna il valore dell’autosufficienza, che è la condizione indispensabile per vivere senza farsi troppo male. Per essere sereni a dispetto di tutto.

Un misterioso adagio

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Oggi  è  la  prima, vera  giornata  d’autunno: l’atmosfera  intorno  è  grigia  e  spenta  ma  senza  l’oppressione  di  una  tristezza  priva  di  speranza; nel  frattempo,  la  pioggia  cade  lieve, silenziosa  e  costante.

È  lo  sprofondare  dolcissimo  e  lento  nella  nuova  stagione – serenamente, senza  scosse, senza  lacrime  o  rancori. Allora,  si  pensa  a  ciò  che  verrà, alla  bellezza  rarefatta  dei  giorni  che  ci  attendono, alle  brume, ai  brividi  sempre  più  intensi. Questo  è  soltanto  il principio, un  adagio  misterioso  che  incatena, seduce, accoglie  e  lusinga. È  il  tempo  per  chi  ama  i  chiaroscuri, per  chi  non  teme  la  complessità, per  chi  non  si  ferma  mai  soltanto  alle  apparenze, per  chi  guarda  sempre  oltre  e  per  chi  ha  compreso  ogni  cosa  – ma  la  custodisce  nel  prezioso  scrigno  del  silenzio.

Di lento declino

After a Chilly Rain I

Oggi  è  stata  una  tipica  giornata  autunnale  piovosa  e  un  po’  malinconica. Non  mancano  i  giorni  di  sole, ma  questo  alternarsi  di   pioggia  e  bel  tempo  ci  conferma  che  la  luce  si  sta  spegnendo  a  poco  a  poco.

Ottobre  è  il  mese  che  amo  di  più  perché  ha  in  sé  l’ambigua, irrisolta, seducente  bellezza  della  complessità: non  può  essere  racchiuso  in  una  rigida  definizione  a  causa  dei  suoi  tanti  colori  e  di  quell’atmosfera  di  quieta  agonia  che  lo  pervade  con  discrezione, insinuandosi  fra  le  pieghe  sottili  delle  ombre  che  aumentano  di  giorno  in  giorno. Ottobre  è  privo  di  reali  asprezze; persino  nei  giorni  più  scuri  è  incapace  di  arroganza, persino  nelle  ore  più  tetre  sa  essere  accogliente. Ottobre  evoca, richiama, annuncia, accarezza, soccorre, non  delude; ottobre  è  il  declino  senza  timori, la  maturità  felice  di  se  stessa, la  speranza  che  resta  salda  anche  quando  il  vento  e  la  pioggia  si  accaniscono  lungo  le  strade  vuote.

A  ottobre  si  vorrebbe  che  le  serate  non  avessero  fine, che  il  tempo  potesse  dilatarsi  all’infinito  per  abbandonarsi  a  ogni  sorta  di  pensiero, per  poter  parlare, capire, guardare  il  buio  oltre  la  finestra  senza  avvertire  inquietudini  o  tristezze.