Passeggiata fra città e campagna

Stamattina ho approfittato della giornata serena per concedermi una lunghissima passeggiata. Dei giorni festivi come questo, amo la calma e il silenzio, ideali per camminare senza stress.

Viale Buon Pastore, ancora addormentato, mi ha accolta senza traffico e con i colori tipici di questo mese straordinario:

Il pregio di questo viale è la bassa densità abitativa, dovuta alla presenza di parchi e aree verdi che impediscono la speculazione edilizia selvaggia. I pochi palazzi sono interrotti da ville e villette, in alcuni casi di notevole pregio, e il viale è sempre tranquillo, a parte il traffico dei giorni feriali. E poi è il “mio” viale, teatro della mia infanzia e adolescenza, e, nonostante i lunghi anni trascorsi in centro storico, ritrovarmi a vivere qui d’improvviso è stato un fatto sconcertante, inatteso ma bellissimo.

Stamattina sono uscita presto, per cui ho trovato il parco Buon Pastore vuoto. Non è bellissimo, ma con l’erba alta e i fiori gialli mi è sembrato persino grazioso:

Ho proseguito sul viale girando poi a destra, lungo via Sassi, per raggiungere il mio parco preferito, il Bonvi Park o parco Amendola vecchio:

Ho camminato lungo tutto il parco per uscire poi su viale Amendola, che è un incubo di traffico in ogni stagione e a qualsiasi ora del giorno. Qui, però, basta attraversare la strada per entrare nel parco Amendola nuovo, molto grande e assai frequentato. Come ho già scritto altrove, io non lo amo molto, ma d’autunno è davvero suggestivo. Stamattina il mio scopo era percorrerlo tutto e uscire su via Panni, per dirigermi in campagna verso la chiesetta di Saliceta San Giuliano.

E così ho fatto. La prima campagna alla fine della città mi ha avvolta con lo splendore del silenzio:

A differenza dello scorso autunno, oggi la chiesetta era vuota:

Così sono entrata e sono rimasta stupita, perché la chiesa è molto curata e ha un’atmosfera allegra:

All’uscita ho fotografato una casa di campagna a pochi metri dalla chiesa. L’ho fatto perché aveva il cancello aperto, e mi ha stupita per la sua aria d’altri tempi:

Sulla via di ritorno, mi sono accorta di una presenza discreta, molto defilata:

Fra andata e ritorno, ho camminato per circa sei chilometri. Spero di arrivare anche a dieci, in futuro.

Ricordi di aprile: comunione e cresima

Intanto Buona Pasqua e buona primavera a chiunque passi sul blog:

Della primavera m’incantano i colori, soprattutto quelli di aprile, freschi, vivi e un po’ ingenui. Sono toni brillanti, alcuni molto decisi e altri più delicati, tipici della vita all’inizio del suo percorso, la vita che splende di luce infinita, ignorando ancora quanto le accadrà.

Questo mese meraviglioso evoca sempre, in me, ricordi d’infanzia. Ai miei tempi, aprile era dedicato alla celebrazione delle prime comunioni, che erano ancora avvenimenti di grande rilievo, quasi cruciali. Bastava passare davanti a una chiesa di domenica, per vedere intere frotte di cuccioli umani ben vestiti e circondati da gruppi di parenti, tutti in festa per il lieto evento, che prevedeva grandi libagioni e tanta allegria.

Anch’io feci la prima comunione nel mese di aprile. Ciò che mi colpisce, a distanza di tanti anni, fu che assomigliò in modo impressionante a un matrimonio. Indossavo un abito bianco bellissimo, addirittura ricamato e di stoffa molto raffinata, un autentico abito da sposa. E venne persino il fotografo, che mi obbligò a posare nella cappella della mia parrocchia, come una piccola modella. Ricordo ancora quando mi disse di congiungere le mani e mettermi in ginocchio. Io eseguii tutto meccanicamente perché era mattina, non mi sentivo bene e avevo un gran sonno.

Dopo la cerimonia fui costretta a partire per l’appennino, perché guai a non coinvolgere tutta la parentela in quest’evento epocale. Per l’occasione fu invitato persino Amos, che era il cugino del cognato di mio padre, peraltro una persona simpaticissima, molto aperta e generosa, sempre felice di poter stare in compagnia. Andammo in un ristorante che ci accolse con un menù ricco di ottimi piatti, e io ebbi anche la gioia di collezionare molti regali sotto forma di catenine, braccialetti e tanto denaro contante.

Purtroppo, a fine giornata mi sentii molto male. Ero sotto antibiotici a causa di una bronchite asmatica e molto indebolita dalla malattia. Un farmaco mi fece allergia, mi gonfiai tutta come un otre, tanto da non riuscire ad aprire gli occhi per un giorno intero, e trascorsi due settimane orribili con uno sfogo cutaneo su tutto il corpo e un prurito indescrivibile. Non so come ne uscii, perché fui in pericolo di vita e nessuno mi portò all’ospedale: il medico mi curò a casa, mentre, se accadesse ora, mi trascinerebbero di corsa al Pronto Soccorso. Ma tant’è. Per fortuna, da allora abbiamo fatto molti progressi in campo medico.

Il ricordo della cresima, invece, è quasi del tutto sbiadito. Mi torna in mente soltanto l’abito che indossai e qualche frammento della mia permanenza in chiesa. Non ricordo invece cosa accadde dopo.

Al di là di tutto ciò, se ripenso alla mia infanzia, aprile mi appare come un mese da sogno perché rappresentava la fine dell’inverno, con i suoi colori cupi e spenti, e l’inizio di un periodo colmo di colori e di gioia di vivere. Un periodo in cui poter stare all’aperto, incontrare gli amici, correre nei parchi e, perché no, sognare in libertà.

Una passeggiata a novembre

Passeggiare nel primo pomeriggio di una domenica nebbiosa significa incontrare la quiete assoluta. Ho approfittato di questa giornata di festa per abbracciare novembre in alcune delle strade più belle del quartiere Sant’Agnese vecchia. Ho già mostrato alcuni angoli di questo quartiere la scorsa estate, quando il sole brillava di entusiasmo; adesso, con i colori autunnali, l’atmosfera è cambiata, densa di malinconia, struggente e bellissima.

Finora non ho mai pubblicato le foto di viale Medaglie d’Oro, che è un punto di riferimento di primaria importanza per Sant’Agnese. Il viale collega piazza Manzoni, dove si trova la cosiddetta stazione piccola, e viale Muratori, a ridosso del centro storico. Viale Medaglie d’Oro nacque come strada signorile ed è rimasta tale, nonostante, a quanto sembra, qualche segnale di decadenza. Il suo grande difetto risiede nel traffico insostenibile, che rende molto difficile l’attraversamento dei pedoni; inoltre il viale è caratterizzato da un’alta densità abitativa:

Qui viale Medaglie d’Oro verso la già citata stazione piccola, dove passano i treni che collegano Modena a Sassuolo. La stazione è l’edificio in lontananza, offuscato dalla nebbia:

Qui, invece, il viale in direzione del centro storico:

Via Vedriani è splendida e silenziosa:

Via Bellinzona, che fotografo ora per la prima volta, è una delle strade più famose del quartiere Sant’Agnese, ma appare in affanno perché i segnali di decadenza sono evidenti: alcuni palazzi sono poco curati e la via non è pulitissima. Qui si trovano anche un discount e alcuni negozi cinesi:

Lasciando via Bellinzona e attraversando via Vignolese, si arriva in via Valdrighi, un concentrato di ville e di palazzi di pregio. A sinistra si apre piazzale Riccò, dove sorge la chiesa di Sant’Agnese:

Ed ecco villa Torti, all’angolo con viale Moreali, abbandonata, in disfacimento e a volte vittima di sciacallaggi. Ho pubblicato qualche foto anche lo scorso settembre, ma adesso, con l’atmosfera novembrina, la villa è bellissima nonostante il suo sfacelo senza speranza:

Viale Moreali è uno splendore di ville che si susseguono l’una dopo l’altra, ma lo riprendo solo nell’insieme:

Passo in via Malmusi, elegante e assorta nel grigio di novembre:

Via Malmusi ospitava il più bel cinema di Modena, l’Olympia, una sala davvero elegantissima. Purtroppo il cinema è chiuso da molti anni ed è in rovina:

Di fronte al cinema ho scoperto una villa abbandonata:

Via Malmusi sfocia in viale Trento e Trieste, a ridosso del centro storico:

Attraversato il viale, via Malmusi riprende vita e mostra qualche sua piccola miseria:

Volto le spalle alla spazzatura per immergermi nell’atmosfera della strada, qui ormai alla fine:

Via Malmusi s’incontra con via Andreoli, una delle più belle strade di Sant’Agnese vecchia, a due passi dal centro storico. C’è da dire che, nonostante la via sia tra le più nobili della città, la situazione accanto ai cassonetti non sembra un perfetto modello di decoro:

Proseguiamo lungo la via:

Via Andreoli si dissolve in via Contri:

Qui sorge una delle più belle ville del quartiere:

Tracce di novembre in città e in campagna

Il primo giorno di novembre ci ha regalato nebbia e oscurità, come a voler suggerire che la stagione sta entrando nella sua fase intensamente malinconica e misteriosa: è l’autunno profondo, l’autunno che non dissimula i suoi tormenti interiori. Ho approfittato del giorno festivo per camminare fino in campagna, in località Saliceta san Giuliano, arrivando fino alla piccola chiesa del borgo. Il percorso è stato lungo, ma ne è valsa la pena perché il foliage è ora nel suo massimo splendore.

Per arrivare a Saliceta ho attraversato una parte del parco Amendola sud, che frequento raramente perché non mi piace molto; stamattina, però, era incantevole grazie all’atmosfera brumosa e al giallo delle foglie. Ho compreso subito che sarebbe stato opportuno fissare certi contrasti cromatici prima che fosse troppo tardi:

Ed eccomi verso Saliceta, dopo aver percorso via Panni. La campagna è piatta e monotona:

Qui sono accanto alla chiesa. Si avverte il distacco dal paesaggio urbano:

La chiesa è molto piccola e semplice. Non sono entrata perché c’era una funzione religiosa e si sentiva cantare: non mi sembrava il caso d’introdurmi e mettermi a fotografare. A causa del fitto passaggio di automobili lungo la stradina davanti alla chiesa, non ho potuto fotografare ogni angolo né riprendere tutto l’edificio – farmi ammazzare per scattare foto no, non se ne parla proprio. Perciò bisogna accontentarsi di queste due immagini:

Freddo, sole e centro storico

Questa mattina, in centro storico, ho scattato alcune foto. La giornata è luminosa, sebbene freddissima, e le foto possono testimoniarlo. In via Emilia le luminarie natalizie, sotto ai portici del collegio, erano ancora accese:

Via Canalino, a pochi passi da via Emilia, era molto tranquilla a causa della chiusura dei bar:

Da via Canalino ho svoltato a sinistra lungo via San Pietro:

Così sono arrivata fino alla chiesa di San Pietro, la cui facciata è questa:

La navata centrale:

La via ripresa all’uscita dalla chiesa:

Proseguendo per pochi metri lungo la strada, ho raggiunto il parco delle Rimembranze, che circonda il centro storico come un grande abbraccio e che è anche uno spartitraffico, visto che divide due viali. Qui una veduta:

Eccolo qui all’altezza dell’incrocio con via de’ Fogliani:

Ed ecco qui il semaforo che, dal parco, segna il passaggio fra il centro storico e il quartiere Buon Pastore:

Oltrepassando il semaforo si arriva in via de’ Fogliani, che sfocia in viale Buon Pastore. E il piccolo tour, per oggi, termina qui. 🙂

Todo modo

Todo modo para buscar la voluntad divina (Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali)

Trama

Sicilia. Un famoso pittore, per puro spirito d’avventura, decide di fermarsi presso un albergo gestito da un certo don Gaetano. L’albergo, a quanto pare, sorge là dove un tempo c’era un monastero. All’albergo stanno per arrivare ministri, deputati, vescovi e altri personaggi importanti per partecipare ad alcuni esercizi spirituali. Durante la recita di un rosario, l’ex senatore Michelozzi viene ucciso. Cominciano le indagini, molto difficili dato l’ambiente in cui è maturato il crimine, e la situazione si complica ulteriormente quando avviene un altro omicidio. In apparenza il mistero è irrisolvibile, ma l’astuto pittore forse comprende la verità, pur non rivelandola. O, meglio, rivelandola in maniera molto enigmatica.

 

Commento

Todo modo (1974) è un breve romanzo di Leonardo Sciascia, un romanzo in cui i delitti sono soprattutto un’occasione per far emergere il volto agghiacciante dei rapporti di potere, declinati secondo cerimoniali ipocriti fra persone che non affermano mai ciò che realmente pensano. Persone che nascondono, eludono, recitano con estrema disinvoltura pur di mantenere le proprie ragguardevoli posizioni sociali.

Don Gaetano è senz’altro il personaggio più stupefacente: coltissimo, freddo, razionale, cinico, ironico, è un abilissimo manipolatore, scaltro, narcisista, impietoso nei suoi giudizi taglienti. Anche il pittore, che narra le vicende in prima persona, sperimenta ben presto,  quasi all’inizio della storia, la ferocia di don Gaetano:

«Un pittore…Già, mi pare di riconoscerla…Aspetti, non mi dica il suo nome […]. Giulio Cesare Vanini, che è stato bruciato come eretico, riconosceva la grandezza di Dio contemplando una zolla; altri contemplando il firmamento. Io la riconosco dall’imbecille. Non c’è niente di più profondo, di più abissale, di più vertiginoso, di più inattingibile…Solo che non bisogna contemplare troppo…Ecco, ci sono arrivato: lei è…» e disse il mio nome.

Fra il pittore e don Gaetano si instaura una relazione singolare, a suo modo profonda, perché don Gaetano è a volte affascinato dal suo ospite, e con lui si lascia andare a lunghe conversazioni ricche di citazioni dotte. Il pittore, feroce anticlericale, lo provoca spesso, ma don Gaetano non si scompone mai. Al riguardo, è emblematico l’episodio in cui il pittore si mostra stupito del fatto che nell’albergo alloggino anche le amanti di alcuni dei convenuti agli esercizi spirituali; don Gaetano spiega allora il suo peculiare punto di vista:

«Ebbene: questi cinque disgraziati hanno mogli, figli, elettori, avversari, amici e nemici che li ricattano, amici e nemici che controllano i loro passi e i loro telefoni…Si sono fatta la loro amante, come d’uso. E per tutto un anno vagheggiano questa settimana, qui, degli esercizi: e finiscono col farli davvero…Mandano prima le loro donne, raccomandandomele, si capisce, ché non le accetterei senza le loro raccomandazioni, come persone dai nervi a pezzi, che cercano serenità e riposo alle loro vicissitudini familiari, alle loro sventure, in un ambiente confortevolmente religioso. Io faccio finta di non capire, di non sapere: e le accetto. Perché so bene che quel loro vagheggiamento di una settimana di amore si risolverà in una settimana d’inferno […]. Se lei va ad ascoltare dietro le loro porte (lo fanno tanti, in questo momento), li sentirà litigare: più che una qualsiasi coppia legittima, con più furore, con peggior crudeltà […] ».

Il pittore, di cui non viene mai fatto il nome, è anche uno scrittore di gialli e, quando Michelozzi è assassinato, comincia a riflettere sull’omicidio e a stimolare le indagini, guidate da un suo ex compagno di liceo, l’ottuso procuratore Scalambri. Sia Scalambri sia il commissario, se potessero, arresterebbero tutti, essendo consapevoli della fitta rete di affari loschi e criminali che forma la trama dei rapporti fra gli ospiti dell’albergo. È il commissario a dirlo, ottenendo l’approvazione del procuratore:

«Li arresterei tutti, don Gaetano compreso […].Tanto sono tutti nella condizione di quel tale che quando gli lessero la sentenza di condanna disse “per tanti che ne ho fatto mai mi avete incastrato, per questo che non ho fatto mi state condannando”»

Gli inquirenti, in sintesi, comprendono di non poter abbattere il muro di omertà su cui si reggono le precarie relazioni degli uomini di potere presenti nell’albergo.

I dialoghi del romanzo sono acuti, spesso destabilizzanti per la crudezza con cui rivelano le dinamiche che legano i vari personaggi della storia. Il ritmo della narrazione è rapido, quasi incalzante, e la suspense è creata con maestria. Lo stile è essenziale, a tratti molto asciutto ma forbito. 

 

Perché leggere questo romanzo

-perché svela in maniera sintetica, con sguardo rapido ma acutissimo, gli aspetti squallidi e crudeli degli intrecci di potere politico ed economico, in cui ovviamente anche la Chiesa è coinvolta.

-perché la trama è scorrevole e accattivante, ben costruita e tale da suscitare interesse sino alla fine.

-perché non è vero ciò che si dice spesso, e cioè che in questo romanzo il finale è vago. La soluzione forse c’è, nel senso che è possibile comprendere o ipotizzare chi siano gli assassini, ma bisogna leggere con estrema attenzione soprattutto le ultime pagine, soffermandosi sull’uso delle parole e sulla posizione della pistola. Si tratta quindi di un interessante esercizio di riflessione.

-perché è una lettura colta e, com’è tipico della narrazione di Sciascia, densa di riflessioni profonde e realistiche sul potere, sugli esseri umani, sulle relazioni interpersonali. C’è tutto un mondo, un mondo intero nei romanzi di Sciascia, e una saggezza che oltrepassa sempre le singole trame per assumere valore universale e atemporale.

Il pensiero politico altomedioevale (1)

All’origine  del  pensiero  politico  altomedioevale  si  colloca  il  passaggio  del  cristianesimo  da  culto  clandestino  a  religione  ufficiale  dell’Impero  romano. Tale   passaggio  è   sancito  dall’Editto  di  Tessalonica (380), emanato  dall’imperatore  Teodosio. Si  tratta  di  un  fatto  di  grande  rilievo perché, da  questo  momento,  la  Chiesa  inizia  ad  assumere  un  vero  e  proprio  ruolo  politico. Ciò  comporta  il  suo  progressivo  allontanamento  dallo  spirito  che  aveva  animato  le  prime  comunità  cristiane, uno  spirito  permeato  da  ideali  di  povertà  evangelica, uguaglianza  e  giustizia.

Sul  piano  della  riflessione  teorica, il  ruolo  istituzionale  assunto  dalla  Chiesa  implica  l’emergere  del  problema  centrale  del  pensiero  politico  altomedioevale, quello  relativo  al  rapporto  fra  i  poteri  temporale  e  spirituale.

Nei  150  anni  circa  che  seguono  la  morte  di  Teodosio, il  vescovo  di  Roma  consolida  la  propria  egemonia  sulla  cristianità,  soprattutto  perché  la  fine  dell’Impero  romano  d’Occidente  apre  un  vuoto di  potere  che  consente  alla  Chiesa  buoni  margini  di  manovra  politica. In  un  mondo  in  rovina, caratterizzato  dalla  perdita  delle  possibilità  materiali, dallo  sfacelo  delle  forme  del  vivere  civile  e  dall’impotenza  di  fronte  alle  invasioni  delle  popolazioni  barbariche, la  Chiesa  riesce  a  svolgere  una  funzione di  potere  “supplente”.

Con  il  crollo  definitivo  della  parte  occidentale  dell’Impero (476), la  più  grande  autorità  temporale  rimasta  sulla  scena – l’unica, cioè, a  configurarsi  come  ovvia  interlocutrice  della  Chiesa –  è  quella  dell’imperatore  di  Costantinopoli, che  si  erge  a  rappresentante  di  Dio  in  Terra  anche  a  proposito  delle  questioni  riguardanti  la  sfera  spirituale.  In  tale  situazione,   il  primo  a  porsi  esplicitamente  il  problema  del  tipo  di  rapporto  che  dovrebbe   sussistere  fra  i  due  poteri  è, sul  finire  del  V  secolo, Gelasio I (492-496).  Il  papa, a  scopo  soprattutto  difensivo, ossia  per  proteggersi  da  eventuali  ingerenze  dell’imperatore  bizantino,  elabora  la  teoria  del  dualismo  dei  poteri, secondo  cui  ciascuno  dei  due  poteri  è  autonomo  e  superiore  all’altro  nella  propria  sfera  di  competenza, mentre  è   sottomesso in  quella  che  non  gli  appartiene. Tuttavia, per  Gelasio  il  potere  spirituale  è  più  importante  di  quello  temporale  perché  gravato  da  una  responsabilità  maggiore, visto  che  i  sacerdoti  dovranno  rispondere, nell’aldilà, anche  dei  comportamenti  che  i  sovrani  hanno  tenuto  sulla  Terra.

Se  il  dualismo  dei  poteri   evoca, più  o  meno, l’ottimistico  scenario  di  due  autorità  distinte  che  riescono  a  convivere  in  maniera  pacifica,  senza  che  l’una  interferisca  nelle  decisioni  dell’altra,  nel  concreto  svolgimento  della  pratica   politica   le  cose  vanno  invece  diversamente. Infatti, a   mano  a  mano  che  procede  la  cristianizzazione  dei  nuovi  Regni  romano-barbarici,  sorti  dalle  macerie  dell’Impero  occidentale, i  due  poteri  tendono  sempre  più  a  confondersi  fino  a  giungere, col  tempo, all’assorbimento  del  diritto  dello  Stato  entro  quello  ecclesiastico.

Già  con  Gregorio  Magno (590-604)  si  assiste  a  una  decisa  rottura  del  precario  equilibrio  stabilito  dal  dualismo  gelasiano: nei  suoi  rapporti con  il  sovrano  d’Oriente  Gregorio  rispetta  la  distinzione  dei  poteri, mentre  nei  confronti  dei  nuovi  Regni  romano-barbarici  afferma  esplicitamente  la  supremazia  del  potere  spirituale, arrivando  a  sostenere  che  i  sovrani  temporali  hanno  il  compito  di  difendere  i  buoni, ossia  i  cristiani, dai   cattivi. In  altri  termini, i  sovrani  temporali  altro  non  sono, per  Gregorio  Magno, che  una  sorta  di  braccio  armato  della  Chiesa.

(continua)