Come tutti sanno, alcuni giorni fa Andrea Crisanti, Matteo Bassetti e Fabrizio Pregliasco, un trio di onnipresenti medici televisivi, si sono esibiti con la canzone Sì sì vax, modulandola sulle note della celebre Jingle Bells natalizia.
Tale esibizione non mi stupisce, anche se – l’ammetto – forse non me la sarei aspettata da Crisanti, che a tratti, mentre cercava di cantare, appariva un po’ a disagio. Non mi stupisce, dicevo, lo scivolone canoro del terzetto delle meraviglie, perché il narcisismo medio di molti accademici, e di altri vari professionisti tutti votati alla carriera, è sconosciuto soltanto alle persone più ingenue. E se un narcisista finisce tutti i giorni in televisione, la frittatina è fatta: megalomania e mancato riconoscimento dei propri limiti diventano pane quotidiano.
Chiaro: la canzoncina maltrattata dai tre stonatissimi medici non può convincere i no-vax e i negazionisti a mutare le proprie opinioni; al contrario, può soltanto renderle più granitiche. Lo pensavano, i tre artisti, che avrebbero gettato discredito sulla categoria cui appartengono? No, non lo pensavano, perché il loro ego straripante li aveva confusi.
Aspettiamo di vederli a Ballando con le stelle, marciando a tempo di tango o di samba, magari insieme ai noti filosofi Cacciari e Agamben, ché così la pandemia sarà definitivamente sconfitta. Sì, sì.
Loro sono i Rimbamband, un quintetto comico pugliese in viaggio in Trentino per alcuni spettacoli. Qui si esibiscono in una gustosa parodia di Salvini che citofona in cerca di spacciatori.
Ebbene sì, il forno è in funzione a pieno regime: agosto, infatti, è iniziato con temperature estreme. L’unico dato positivo, per così dire, è il silenzio che caratterizza buona parte delle giornate, un silenzio dovuto al fatto che molti sono già in vacanza e quindi la città è più tranquilla.
Da ragazzina, in questo periodo ero già in montagna e quindi al riparo dal terribile clima della pianura. In appennino, anche durante i giorni più caldi non sapevamo cosa fosse l’afa e comunque, di sera e di notte, si stava bene, si respirava, si poteva dormire. Riandando con la memoria a quel periodo, mi vengono in mente alcuni passatempi con cui io e le mie cugine riempivamo le nostre lunghissime giornate. Come ho scritto altre volte, quando si è così giovani e pieni di vitalità, e ci si sente travolti da quel senso di piena libertà che soltanto l’estate sa regalare, ogni occasione è buona per divertirsi, fare sciocchezze, inventarsi qualche novità. E sì, anche per restare vittime della cretinite. La cretinite, a una certa età e in alcune occasioni, diventa quasi inevitabile.
Ricordo che una sera andammo a passeggiare lungo un bellissimo sentiero. Non eravamo sole, io e le mie due cugine, ma c’erano con noi amici e amiche. Era buio, era fresco ed era davvero un piacere camminare avvertendo l’intenso profumo dell’erba. Improvvisamente, giunti abbastanza vicini al punto in cui il sentiero si allargava in una sorta di piccola piazzola, ci accorgemmo della presenza di un’automobile ferma. Probabilmente si trattava di una coppietta in cerca di solitudine; ma il buio e la lontananza da casa ci fecero immaginare scenari molto inquietanti, spingendoci a una reazione. Fu così che qualcuno propose di “difenderci” cantando; allora, con voci forti e sicure, cominciammo a intonare: “Allaaarmi! Allaaarmi! Allarmi siam fascisti, terror dei comunisti!”. Questo canto sortì subito l’effetto sperato: dopo pochi secondi si sentì una bella sgommata e la macchina filò via in fretta, mentre noi sghignazzammo senza remore per questa fuga tanto repentina. Naturalmente nessuno di noi era fascista, per carità; si trattava soltanto di cretinite acuta, effetto del buio, della situazione e del desiderio di divertirci, ossia di fare qualche marachella.
Ma a chi non è mai capitato di fare e dire sciocchezze nelle splendenti giornate estive dell’estrema gioventù?
Fra le canzoni di Natale, Jingle Bells è senz’altro una delle più famose. Come sempre capita per le canzoni così popolari, ne sono state fatte molte versioni. Oggi ne scelgo una particolarmente raffinata, una versione di classe, come di classe è l’interprete che l’ha cantata in un disco del 1957: Frank Sinatra.
Con il suo straordinario senso dello swing, la perfetta dizione e l’estrema disinvoltura mostrata nel “giocare” con le note musicali, Frank Sinatra è stato e rimane un artista eccezionale, un talento indiscutibile, un grandissimo professionista. Con lui, persino una canzone senza pretese come questa diventa un piccolo gioiello. Ovviamente l’ottimo accompagnamento musicale è adeguato al livello dell’artista.
Buona domenica a tutti. 🙂
Questo è un post particolare, perché allegramente dedicato a due argomenti distinti. Iniziamo dal primo.
Alex l’ariete
Nell’Italia attuale, dove si respira quotidianamente lo sgradevole olezzo di un decadente clima da basso impero, ci sembra quasi d’obbligo ricordare un film che sarebbe oltraggioso definire tale se vivessimo in tempi normali e dignitosi; tuttavia, considerando che dignità e decoro hanno abbandonato da un pezzo la Penisola, in questo innocuo blog casalingo possiamo permetterci di perdere tempo a citare Alex l’ariete (2000), pellicola che annovera, come straordinari protagonisti, Alberto Tomba e Michelle Hunziker. 😐
Alessandro Corso (Alberto Tomba) è un giovane carabiniere del Gis, il Gruppo Intervento Speciale delle forze dell’ordine. Soprannominato “l’ariete” perché molto bravo in azioni di sfondamento, durante un blitz si allontana e un suo collega resta ucciso. In seguito al fatto, viene trasferito in uno sperduto paesino in cui non capita mai nulla.
Magari non capitasse nulla! Così almeno il film finirebbe. Ma siccome non possiamo sperare di avere tanta sorte, un giorno ad Alex viene affidato l’incarico di scortare una ragazza, tale Antavleva (Michelle Hunziker), per una deposizione davanti a un giudice. Costei è stata arrestata in quanto sospettata dell’omicidio di una sua amica, ma in realtà è solo la testimone del delitto. Alcuni uomini hanno tentato di ucciderla e continuano a inseguirla per impedirle di deporre davanti al giudice.
D’ora in poi, Alex dovrà cercare d’incastrare una persona potente, che nel film viene soprannominata con finezza “il Grande Maiale”.
Dopo la lettura dell’imperdibile trama, siamo così buoni di cuore da citare una celeberrima frase, pronunciata da Alex nel film:
«Per prendere il Grande Maiale mi mettete in pericolo la Eva! Porcaccia la miseria!» 😕
Ora, dopo tale lettura non affermiamo che chi ha scritto i dialoghi del film avrebbe meritato il carcere, perché non intendiamo spingerci a simili livelli; pensiamo però che un periodo d’esilio, unito ad atti di sincera e pubblica contrizione, avrebbe potuto aiutarlo a riflettere su quanto compiuto.
E ora vi chiedo di guardare questo video, che dura solo 36 secondi, per ascoltare l’incredibile dialogo che si svolge fra i due protagonisti. In modo particolare, soffermatevi sulle battute pronunciate da Alberto Tomba, perché resteranno nella storia del cinema grazie al tono con cui le ha declamate. 😥
Dopo il fausto ascolto, ci si può consolare pensando che questa pietra miliare della settima arte è stata un autentico flop. Sembra infatti che al cinema il film sia stato visto da meno di mille persone, un fatto che forse ci fa sperare in un futuro migliore. Forse.
Sugli sugli bane bane
No, state tranquilli: non sono impazzita. Inoltre non mi sono mai drogata in vita mia e sono astemia; pertanto il titolo che vedete non è effetto dell’assunzione di qualche strana sostanza e nemmeno frutto di una sbornia, ma si riferisce a una canzone che fu presentata a Sanremo nel 1973.
Ho scoperto l’esistenza di questa gemma preziosa per caso, navigando in libertà su internet. Secondo alcuni, Sugli sugli bane bane avrebbe aperto la strada al cosiddetto filone demenziale. Sulla scorta di tale intuizione, c’è chi ha cercato persino di rivalutare la canzone, considerando che in effetti si tratta di un brano divertente. Rispetto l’opinione di tutti e in più ammetto di aver apprezzato, nel corso della mia esistenza, alcune canzoni “demenziali”; tuttavia confesso che mi riesce assai difficile apprezzare questa perché mi sembra indifendibile sotto ogni punto di vista. Ma si tratta di un’opinione personale, niente di più. 🙄
Non ho né la pazienza né il coraggio di riportare l’intero testo del brano. Mi limiterò a qualche esempio.
Con i primi immortali versi, apprendiamo i rudimenti di una strana arte culinaria: sugli sugli bane bane
tu miscugli le banane,
le miscugli in salsa verde
chi le mangia nulla perde.
Chi le lascia lascia il gatto
ma dev’essere un po’ matto,
lo diceva un livornese
che tornò da quel paese.
Indubbiamente l’ultima frase attira la nostra attenzione: tornò da quel paese. In realtà noi sostituiremmo volentieri tornò con mandiamo, perché siamo convinti che, in questo modo, il senso della canzone diventerebbe più pregnante, ossia denso di significati. Ecco la prova: lo diceva un livornese
che mandiamo a quel paese.
Ovviamente ci mandiamo pure chi ha scritto la canzone, ma è quasi superfluo aggiungerlo. 😀
Un blog come questo non ha soltanto il compito d’intrattenere i lettori in maniera semplice e senza pretese, ma deve anche svolgere una funzione sociale, contribuendo a salvare dall’oblio opere d’arte d’inestimabile valore.
Parlando allora di opere d’arte, come si può dimenticare Donna Rosa? Ai fortunati che hanno raggiunto l’anno di grazia 2009 completamente ignari di tutto, ricordo con sadico piacere che si tratta del titolo di una canzone composta, insieme ad altri, da Pippo Baudo. Secondo le autorevoli fonti da me consultate, il Sommo Presentatore fece questo splendido dono alla nazione italiana nel 1969, l’anno fatidico in cui il primo uomo sbarcò sulla luna. Coincidenza o imperscrutabile disegno divino? Ai posteri l’ardua sentenza!
Che il numero di canzoni imbarazzanti, partorite dalle menti di vari “artisti”, sia scandalosamente alto, è un dato di fatto; perciò non vogliamo essere ingenerosi e qualificare la canzone di Baudo come la peggiore in assoluto. Del resto siamo adulti e vaccinati, quindi sappiamo che al peggio non c’è mai fine. Inoltre l’ascolto di una canzonetta non fa male a nessuno e tutti noi, almeno una volta, ci siamo dati alla pazza gioia ascoltando con piacere brani incommentabili.
Quello che ci preme rilevare con sgomento, e che costituisce il motivo principale di questo post, è piuttosto il moto d’incontenibile orgoglio con cui, in qualche trasmissione televisiva, il presentatore ha parlato di questa sua creatura. A tale proposito, non vogliamo peccare di eccessiva durezza: ci limitiamo soltanto a sospettare che non sia il caso di ostentare orgoglio per aver contribuito a scrivere musica e parole di tal fatta. Ma si tratta solo di un sospetto, per carità!
Ecco ora qualche strofa a titolo dimostrativo. Il suo nome è Donna Rosa,
cara, bella,
sorridente e deliziosa
e vuole me.
Qui a inquietarci è soprattutto l’ultima frase: e vuole me. Difficile comprendere, infatti, come una donna sana di mente possa volere un uomo che scrive canzoni simili. Tuttavia la divina provvidenza non conosce limiti, e poi una femmina ridotta alla canna del gas può anche accontentarsi di un Pippo Baudo che scrive versi tanto sublimi.
Andiamo avanti con coraggio e rassegnazione. Sono sincero,
confesserò,
non ce la faccio
a dirle di no. Mando mille telegrammi,
compro cesti di lillà,
canto cento serenate
tutti i giorni,
lei però fa marameo
e poi ritorna da mammà.
Ottima l’inserzione del marameo, segno di buon gusto e soprattutto di sforzo teso a ricercare contenuti nuovi e profondi. Dopo tale vetta poetica, preferiamo non proseguire nell’esame del testo.
Quando la canzone uscì, si registrarono reazioni contrastanti fra chi la detestava. Alcuni si convinsero che, attraverso lo sforzo artistico di Baudo, Dio volesse punire gli esseri umani per le tante malvagità compiute; perciò costoro si dedicarono con fervore ad autoflagellarsi, nella speranza di un rapido perdono da parte dell’Onnipotente. Altri, i più razionali e disincantati, colsero invece nella creazione di Baudo la prova definitiva dell’inesistenza di un Dio buono e misericordioso. Si seppe poi che un ragioniere di Bagnacavallo, poco incline ai rapimenti estatici e alle riflessioni filosofiche, denunciò Baudo per crimini contro l’umanità.
Nel corso degli anni, il Festival di Sanremo non ci ha risparmiato nulla: stecche a profusione, canzoni orrende o ridicole o insensate, deprimenti banalità e altro ancora che per fortuna mi sfugge.
Nel 1989, gli italiani ascoltarono una delle canzoni più brutte che mai furono concepite da mente umana, almeno nella nostra amata Penisola. A cantarla furono Al Bano e Romina e, chissà per quali reconditi motivi, ciò non mi stupisce. A differenza dei precedenti capolavori della coppia, tutti incentrati sull’amore eterno e le gioie della famiglia, tale canzone affrontava i gravissimi problemi dell’inquinamento e dei disastri ecologici che affliggono il globo; tuttavia, se c’è una cosa che determinati cantanti dovrebbero evitare come la peste bubbonica è il presunto “impegno”, perché il risultato che ottengono è come minimo sconcertante.
Questa gemma preziosa dell’italica musica, intitolata Cara terra mia, lasciò di stucco anche i più pessimisti e disincantati fra gli spettatori del Festival. Alcuni non si ripresero mai del tutto e il loro pessimismo aumentò fino a sfociare in tentativi autolesionistici; altri, i più miti e ottimisti, scelsero di abbandonarsi a una patetica illusione, convincendosi per molti anni che l’agghiacciante canzone fosse soltanto un buffo scherzo di carnevale. Ci fu poi chi decise di affrontare il grave danno emotivo ricorrendo agli psicologi.
Passiamo ora a qualche dato concreto. Si possono forse dimenticare i versi con cui Cara terra mia inizia? No, non si può, sono incancellabili, sono entrati nel nostro inconscio e non ne usciranno più. Eccoli: come va, come va? Tutto ok, tutto ok?
Proseguiamo poi con una parte “impegnata”:
“ogni sera dal telegiornale
vedo che c’è tutto che non va.
Mafia, droga e gente che sta male.
E la colpa di chi mai sarà….”
Se posso permettermi, la colpa del fatto che c’è tutto che non va è anche di gente che ha il coraggio di presentarsi su un palco e di cantare certe amenità. La rima di quest’ultima frase, visto il contesto, è puramente voluta.
Ascoltare Cara terra mia nella sua interezza può produrre un effetto contrario rispetto agli intenti della ex coppia felice: la canzone, infatti, stimola il desiderio d’inquinare il pianeta senza freni né rimorsi, per puro spirito di vendetta, e quindi si raccomanda di ascoltarla con prudenza. Si astengano invece dall’ascolto i più sensibili, i depressi e i cardiopatici.