In questi giorni – più che altro nel poco tempo libero che ho a disposizione – sto valutando un romanzo inedito. Devo scriverne un commento dettagliato, soffermandomi su tutti i suoi aspetti: fabula, intreccio, personaggi, ambientazione, stile e così via. Come lavoro mi piace moltissimo, ma sto sperimentando tutta la fatica che si prova nel doversi soffermare attentamente su un testo pieno di difetti stilistici. Fra le altre cose, ciò che mi stupisce è trovare nell’opera numerosi suoni onomatopeici, quelli presenti in abbondanza nei fumetti di Paperino e Topolino, tipo sniff, crash, cling, patapuffete e moltissimi altri.
Approfitto di questa mia esperienza per fare qualche osservazione a proposito della difficilissima arte di scrivere. In generale, un’ottima regola cui conformarsi quando si vuole scrivere un racconto o un romanzo è cercare di essere semplici, ossia evitare uno stile improntato all’estenuante, continua ricerca di metafore, immagini e similitudini bizzarre. Inventare immagini strane, paragoni troppo arditi e metafore incomprensibili non significa essere originali e perciò creativi; al contrario, operando in questo modo si rischia di scadere nella sciatteria e nel vorrei tanto ma non posso. La semplicità, quando è frutto di una scelta oculata e razionale, è sinonimo di eleganza ed è anche il risultato di una buona conoscenza della lingua e del suo uso. Si è semplici e ci si fa capire proprio quando si è padroni della lingua. E soltanto quando si è davvero padroni della lingua immagini e metafore esteticamente gradevoli emergono senza alcuno sforzo; solo quando si è padroni della lingua si può pensare di non rispettare più determinate regole.
Ma questo è un risultato che si ottiene esclusivamente in un modo: leggendo parecchio, leggendo opere scritte bene, classici della letteratura, libri che molti e molte snobbano considerandoli monotoni o pesanti o antipatici perché li abbiamo studiati a scuola e che pizza! In realtà, quei libri fanno la differenza e chi li ha letti ha appreso cose che molti ignorano, ossia un bagaglio di conoscenze indispensabili per chiunque voglia cimentarsi con l’arte della scrittura.
…Temo che non sarò mai uno scrittore…..
Si vive tranquillamente e bene anche senza essere scrittori.
Capacità, proprietà di linguaggio, cultura, sintesi e tanta sensibilità che sai trasmettere a noi che ti leggiamo.
Traduci in scrittura i sentimenti più intimi dell’animo umano.
Non penso tu abbia problemi perché hai tutti gli ingredienti dentro te.
Filippo
Grazie, Filippo, sei molto gentile. Un caro saluto.
Leggo di tutto da quando ero ragazzo: narrativa, saggi, classici ecc., e in passato mi è pure capitato di scrivere dei racconti, raccolti in un apposito spazio nel mio blog. Da quell’esperienza ho capito che non sarò mai uno scrittore, e neppure qualcosa gli vada vicino, ma va bene così. È giusto che scriva chi ha le capacità e chi ha una predisposizione naturale a farlo. A tutti gli altri, scrivente compreso, rimane il gusto di farlo per diletto, senza pretese.
Io invece ritengo che tu abbia buone idee, perché ho letto alcuni racconti che hai scritto. Il problema è che scrivere richiede molto, molto tempo e parecchia concentrazione, e quando si lavora tutto il giorno e si ha una famiglia da mandare avanti, non ci si può dedicare a revisionare, riscrivere, correggere all’infinito, tutte cose che uno scrittore professionista fa o almeno dovrebbe fare. Intendo dire che non si può avere la concentrazione necessaria per dare il meglio di sé.
Però scrivere fa sempre bene, anche solo per diletto personale; allenarsi a scrivere non è mai sbagliato.