Come ho già scritto altre volte, quando, durante l’infanzia e l’adolescenza, trascorrevo il mese di agosto nella casa in appennino, io e le mie cugine ne inventavamo di cotte e di crude pur di sollazzarci.
All’epoca io ero dotata di molta fantasia, tanto che una volta, mentre me ne stavo seduta a guardare le mie cugine che giocavano a tennis, mi venne l’idea di fare la radiocronaca della partita: cominciai a fingere di essere una giornalista sportiva e iniziai a commentare a modo mio – in un modo molto particolare – ciò che vedevo. Il risultato fu davvero esilarante, con le mie cugine che non smettevano di ridere sentendo ciò che inventavo. In sintesi, le descrivevo come due campionesse famose nel mondo intero per il loro look stravagante e certi vezzi, oltre che per la tecnica di gioco. Ripensandoci ora, mi stupisce il fatto che, durante questa recita, non mi fermavo: parlavo, parlavo e parlavo in continuazione senza alcuna incertezza, come se tirassi fuori da un cilindro magico ogni parola che pronunciavo. E questo gioco piacque così tanto che, durante altre partite, le mie cugine mi obbligarono a replicarlo.
Ricordo poi che un giorno, dopo ore di corse e trastulli in giardino, eravamo particolarmente annoiate. Era il tardo pomeriggio e ormai disperavamo di poter arrivare all’ora di cena facendo qualcosa di stimolante; ma d’improvviso arrivò mio nonno che ci disse di voler provare un’automobile. Il fatto era questo: mio nonno voleva acquistare una macchina e, proprio in quel momento, stava per fare un lungo giro di prova su un’auto ferma sulla strada, con un individuo dentro che doveva guidarla per mostrarne tutte le presunte qualità. Per noi fu come trovare un’oasi nel deserto: immediatamente seguimmo mio nonno, che in verità ne avrebbe fatto volentieri a meno, per provare la suddetta automobile. Ci trovavamo, per così dire, in tenuta da giardino, nel senso che non indossavamo i nostri abiti migliori ed eravamo anche un po’ spettinate. Insomma, non avevamo un look adeguato a un lungo giro in macchina con uno sconosciuto. Ma non ce ne curammo: corremmo in strada come tre indemoniate, salimmo in macchina sul sedile posteriore e, tutte allegre, partimmo per il giro di prova fingendoci interessate all’auto, della quale in realtà c’importava meno di nulla. Però durante il viaggio, per darci un contegno, cioè per non sembrare tre scellerate in cerca di una gita gratis, ogni tanto esprimevamo un (ehm) preziosissimo parere tecnico sull’auto, sulla sua perfetta stabilità durante le curve ( sic!) e sul bellissimo rumore del motore (ancora sic!). Ebbene, quel viaggio di prova fu molto divertente perché, al contrario delle nostre aspettative, fu lungo, tanto che tornammo a casa dopo le venti, felicissime di aver scroccato una bella gita. Poi mio nonno non acquistò l’auto, ma intanto la gita era stata fatta.
A quell’epoca, nel mese di agosto, l’ultima cosa che avremmo voluto vedere era la pioggia. Ma in montagna, prima o poi, anche solo per un giorno la pioggia arriva. E così, proprio in un pomeriggio malinconico e piovoso, mentre eravamo inquiete alla prospettiva di dover restare in casa, la mia cugina maggiore ebbe un’iniziativa: filò in cantina e prese un’orrida coperta, vecchia e persino un po’ bucata, che mio nonno aveva intenzione di gettare via. Con questa coperta color melanzana e tre bastoni corremmo in giardino e lì, su uno dei due prati in cui c’erano cipressi e piccoli abeti, piantammo i bastoni e creammo una specie di tenda. Sedute sul prato bagnato sotto la tenda, cioè sotto l’orrida coperta vecchia destinata alla spazzatura, ci sembrò di rivivere: la pioggia non era più una nemica ma un’occasione per divertirci. Tralascio di descrivere lo stato dei nostri abiti dopo questa incauta avventura, visto che si può immaginare con facilità. Però fummo molto soddisfatte perché, nonostante il grigio e la pioggia, eravamo riuscite a starcene per un po’ all’aperto.
Di quel nostro ridere a crepapelle fatto di niente, di quell’ arrampicarci sudando lungo i sentieri della nostra indimenticabile giovinezza, di quegli amori sognati, perduti, mai nati, di quei filari d’ alberi all’ ombra dei quali noi, col cuore in tumulto, aspettavamo lei, di quei baci rubati o mai dati … cosa resta ??? Talvolta una indicibile tenerezza, o l’ ombra di un sogno mai ridestato, o un sapore amaro che verte, inevitabilmente, al rimpianto !!! 😐
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Questi racconti sono sempre bellissimi. Ma quanta fantasia avevi? Anche la radiocronaca… 😀 Però la tenda in giardino la feci anch’io con alcuni miei amici, ma era tutta di plastica trasparente. Siamo stati lì sotto a gridare come disperati mentre pioveva.
Bruno e platone@
Il fatto è che, quando torna l’estate, diventa inevitabile ripensare a certi momenti, non si riesce proprio a farne a meno perché, sotto sotto, si vorrebbe rivivere, almeno per qualche istante, le medesime emozioni. 🙂