Verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso e all’inizio del Duemila, qualche amministratore di questa città fu preso dalla smania di organizzare eventi al fine di rivitalizzare il centro storico. Io, che sono residente in centro storico da parecchi anni, sinceramente non ho mai avvertito questo impellente bisogno di rivitalizzazione; tuttavia, si accettano volentieri certe iniziative quando sono ben fatte.
Ecco, questo è il punto: quando sono ben fatte. Purtroppo, nel periodo che ho citato, in città ci siamo distinti per eventi come minimo stravaganti, tali da suscitare molte perplessità e anche un po’ di sanissimo sdegno. Non ricordo esattamente quando, ma ci fu un anno in cui fu organizzata la cosiddetta festa di primavera. Ammetto che, quando sentii per la prima volta che sarebbe stata fatta questa festa, fui colta da un inopportuno soprassalto d’ingenuità, perché attesi con leggera trepidazione quanto sarebbe avvenuto. Ebbene, un pomeriggio andai in piazzetta della Pomposa e vidi una serie di fogli di carta da disegno – i soliti Fabriano che tutti abbiamo usato alle scuole elementari per disegnare – dipinti ad acquerello con immagini floreali e appesi sul muro di un palazzo della piazzetta. Da quello che, con grande sorpresa, riuscii a comprendere, si trattava della coreografia della festa di primavera. Ricordo che, una volta tornata a casa, non ebbi neppure la forza di commentare.
Non ricordo se accadde nello stesso anno, ma comunque eravamo ancora nella seconda metà degli anni Novanta e sempre di primavera (e ti pareva!). Un sabato pomeriggio avvertimmo d’improvviso un grandissimo baccano: sentimmo musica da tutte le parti ad altissimo volume, ma non riuscimmo a capire di che musica si trattasse perché il frastuono era allucinante e in apparenza insensato, caos allo stato puro. Fu poi mio padre, giungendo a casa con la faccia stravolta, a spiegarci che in Via Emilia c’erano tante orchestrine, a pochi metri di distanza le une dalle altre, che suonavano. Peccato però che ciascuna suonasse una propria musica, distinta dalle altre: per fare un esempio, c’era un palco in cui cantavano a squarciagola canzoni napoletante stile O sole mio e, a soli venti metri di distanza, c’era chi si scatenava col rock duro. Così non ci si capiva nulla, era la confusione totale, una situazione da pazzi. Mio padre, che detesta il chiasso quanto me, disse così: “Questa non è una città, ma un manicomio a cielo aperto“.
Naturalmente non finì qui, perché al peggio non c’è mai fine. Forse fu nel Duemila – ma non ricordo bene – che, nella solita ottica di voler rivitalizzare il centro storico, qualcuno ebbe l’idea geniale (partorita di notte?) di far dipingere onde marine nella centralissima Via Farini. Questa è la strada, tanto per darne un’idea:
Ho scattato questa foto nel dicembre del 2009, dopo una forte nevicata. Ma immaginatela in tarda primavera, col sole e una giornata limpida. Ebbene, sul grigio asfalto a destra, vicino ai portici, furono disegnate, per l’intera lunghezza della strada, le onde del mare. Colti da irrefrenabile entusiasmo (gli ormoni di primavera!), i geniali fautori di cotanto capolavoro pensarono bene di aggiungerci pure qualche sfumatura (il realismo!), per cui sull’asfalto c’erano le onde blu scuro e poi quelle celesti: il mare disegnato e colorato in una grigia strada stretta di una città padana. Sarebbe come mettere palme di cartone con noci di cocco di plastica in una strada di Stoccolma.
Naturalmente si sa come procedono certe cose: non ci si accontenta mai degli orrori fatti, ma bisogna esagerare, andare oltre, eccedere, in un vortice d’attivismo mai pago di se stesso. Siccome al mare, come ognuno sa, ci sono anche le spiagge, sul mare dipinto della povera Via Farini posero addirittura dei piccolissimi recinti con sabbia e delle cabine in legno, quelle che servono per cambiarsi quando si soggiorna al mare vero.
Se adesso pensate che tutto sia finito qui, siete inutilmente ottimisti. Al termine di Via Farini e giunti in piazzale San Giorgio, ecco l’apoteosi dell’iniziativa: una piscina gonfiabile, di quelle che in genere vengono messe nei giardinetti privati per far divertire i bambini della famigliola felice. Secondo la pubblicità fatta al fausto evento (ebbero persino la faccia tosta di celebrare ‘sta meraviglia), i cittadini avrebbero potuto bagnarsi con gioia e disinvoltura nella piscina gonfiabile, il tutto in pieno centro storico e a due passi dall’Accademia Militare. Inutile dire che l’iniziativa fu un flop clamoroso e raccolse molte critiche. Le proteste costrinsero gli organizzatori a togliere tutta questa baracconata, onde comprese, nell’arco di tre giorni. E fu così che Via Farini riacquistò la sua dignità di grigia strada stretta di una media città padana.
Ricordo ancora le risate che facemmo quando andai dal parrucchiere vicino a casa mia: ci divertimmo tutti, parrucchiere e clienti, a chiederci con sadismo dove avessero preso la sabbia dei recinti, se a Rimini o a Riccione, e chi avessero obbligato a dipingere la strada, magari nottetempo come un ladro.
Dopo le orchestrine a tutto volume, i disegni fatti a mano sui fogli delle scuole elementari e il finto mare con sabbia e cabine, finalmente le iniziative per salutare la primavera sono diventate dignitose. Da alcuni anni, infatti, a fine marzo in centro storico c’è un bel mercato dei fiori con esposizioni di piccoli giardini, e, all’inizio di giugno, per tre giorni si tiene il mercato europeo, con commercianti provenienti da ogni parte del nostro continente. Come si suol dire, dopo aver toccato il fondo, si risale.